Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Archeologia

La via Appia, REGINA VIARUM

La via Appia, definita dal poeta Stazio la regina delle strade, fu realizzata ad opera di Appius Claudius Caecus, censore nel 312 a.C., con il quale si avviò un programma di costruzione stradale che avrebbe proiettato Roma, con il primo tratto da Roma a Capua, verso l'Italia meridionale e poi, con il prolungamento fino a Brindisi, verso l'Oriente. Sebbene le spese per la realizzazione dell'Appia siano state talmente ingenti da prosciugare tutte le finanze pubbliche, la sua costruzione fu necessaria per soddisfare l'esigenza di più rapidi spostamenti dell'esercito durante la seconda guerra sannitica (326-304 a.C.). Il suo agile rettifilo sostituì un più antico tracciato già esistente, che collegava Roma alle città laziali, alcune già gravitanti nella sfera di influenza romana, e agli importanti santuari federali, come quello di Iuppiter Latiaris sul monte Cavo, l'antico mons Albanus, e quello di Diana ad Ariccia.
Il percorso dell'antica via Appia dalla omonima porta delle mura di Aureliano fino all'antico centro di Bovillae (odierna località Frattocchie), situato al XII miglio, rimane tuttora inalterato, con un perfetto andamento rettilineo. Frontino ricorda che Appio Claudio costruì la via Appia facendola partire dalla Porta Capena delle Mura Serviane: gli studiosi discutono se il settore iniziale si originasse dal tratto murario del Palatino, utilizzando come quinta scenografica il Settizodio, monumentale facciata-ninfeo di età severiana, o se, dirigendosi verso il Foro Boario, attraversasse la valle del Circo Massimo.
La via è larga circa 10, 3 m. per permettere il passaggio contemporaneo di due carri in doppio senso di marcia, con marciapiedi laterali larghi 3, 10 m, purtroppo poco conservati. La pavimentazione consiste in "basoli": pietre basaltiche di grosse dimensioni. In molti tratti il tessuto basolato è così ben conservato da restituire intatto a chi percorre l'antica via il fascino del passato: quello meglio conservato va dal III miglio, dopo l'incrocio con via di Cecilia Metella, fino all'XI miglio. Un po' ovunque sono visibili i profondi solchi del passaggio delle ruote dei carri, mentre in alcuni punti si notano le integrazioni dovute ai successivi restauri del rivestimento. In effetti, in età romana per mantenere perfettamente funzionante il complesso sistema viario, la manutenzione delle strade era costante ed estremamente efficiente: fondamentale per l'impero era assicurare la continuità dei collegamenti con le province e del trasporto statale. Augusto istituì a tal fine i curatores, funzionari addetti alla salvaguardia del sistema viario. Attestati per la via Appia fino al III secolo, i curatores di questa strada così importante, come anche quelli della via Flaminia e della via Emilia, erano scelti tra i funzionari più esperti, con una lunga carriera alle spalle. Questo attento sistema di controllo e di manutenzione mantenne la "regina delle strade" perfettamente funzionante fino all'età bizantina, circa novecento anni dopo il suo primo impianto, quando in occasione della guerra greco-gotica (537-556) lo storico Procopio la descrisse con parole traboccanti di ammirazione.
Il primo tratto della Via Appia divenne anche meta della pia devozione dei pellegrini, che dall'Alto Medioevo cominciarono a percorrerlo per visitare i numerosi santuari paleocristiani della zona e che dal 1559, in seguito all'istituzione da parte di S. Filippo Neri dell'itinerario devozionale delle Sette Chiese, risalivano l'Appia dalla basilica di S.Sebastiano fino al Celio, dove potevano rifocillarsi nella villa di Ciriaco Mattei.
Il paesaggio che si snoda lungo il tracciato dell'Appia dalla Porta Capena a Bovillae, frammisto di vetusti resti di monumenti antichi e di una ricca vegetazione tipicamente mediterranea, risulta evocativo della forma più significativa di utilizzo dell'area durante l'età antica: l'utilizzo sepolcrale. Sui lati della strada, si affollano infatti gli impianti funerari, in forme spesso monumentali, quali tombe a tumulo, a torre, a piramide e a tempio, o più modeste, come edicole o altari. Tutti furono eretti a destra e a sinistra delle crepidini in modo da essere visti dai passanti, che ammirandone la grandiosità e leggendone le iscrizioni perpetuavano la memoria dei defunti cui queste tombe erano dedicate. Frequenti sono i riferimenti a famiglie facoltose romane e a personaggi di grande rilievo nella vita politica della Roma di età repubblicana e imperiale. Tra la fine del II secolo e gli inizi del III secolo sorsero sulla via Appia due dei più antichi cimiteri ad uso della comunità cristiana di Roma, quelli di Callisto e di Pretestato. Questi cimiteri (coemeteria) prevedevano un utilizzo intensivo delle aree di superficie, delimitate da recinti, e strutture sotterranee contenute entro le medesime proprietà, caratterizzate da sepolture tendenzialmente egualitarie. In queste aree cimiteriali sopra- e sottoterra, i Cristiani potevano condividere con i loro fratelli la morte in attesa della resurrezione, celebrare i riti funerari e svolgere anche le attività assistenziali caritative. Inoltre, lo sfruttamento delle aree sotterranee, reso possibile dalla secolare perizia delle maestranze romane nel cavare la pozzolana e dalla diffusione nel sottosuolo suburbano della roccia adatta, il tufo, risolveva anche il problema dell'acquisizione di nuovi spazi sepolcrali; esigenza resa più urgente dal passaggio dal rito dell'incinerazione a quello dell'inumazione, che richiedeva più ampi spazi per seppellire. Durante tutto il IV secolo lo sviluppo di nuove regioni ipogee a scopo sepolcrale costituì il fenomeno peculiare non solo di questa zona, ma di tutto il suburbio romano. Quando, all'inizio del V secolo, questo fenomeno diminuì, il sottosuolo della via Appia era caratterizzato da una fittissima rete di gallerie, pertinenti a vari nuclei unitari: le catacombe di Balbina, di Marco e Marcelliano, di Callisto, di S.Sebastiano, di Vibia, di Pretestato ed altri più piccoli. Nelle basiliche funerarie delle necropoli a cielo aperto (sub divo), contemporaneamente, le sepolture pavimentale e parietali si moltiplicarono. Dall'egualitaria omogeneità delle prime strutture funerarie si passò ad una maggiore libertà, che rispecchiava un evidente desiderio di esibizionismo sociale, con l'erezione di prestigiosi mausolei nel sopraterra e lo scavo in negativo di architetture ardite nelle catacombe.
Accanto all'utilizzo sepolcrale del territorio della via Appia, che si era sviluppato, come si è visto, sostanzialmente lungo le crepidini della via, possiamo rilevare un altro importante uso dell'area, attestato però ad una certa distanza dal percorso stradale: si tratta del fenomeno insediativo. Numerosi i complessi rurali e residenziali, costruiti dalla fine dell'età repubblicana al tardo impero lungo tutto il tracciato della regina viarum, di cui tre costituiscono i più significativi complessi residenziali di tutto il suburbio romano: tra il II e il III miglio, il Triopio di Erode Attico, ricchissimo contemporaneo di Antonino Pio e Marco Aurelio, occupante parte della valle della Caffarella; al V miglio, la villa dei Quintili, uccisi da Commodo, che si impossessò di tutti i loro beni; e al III miglio il complesso dell'imperatore Massenzio, munito di circo e di mausoleo.
Lungo tutto il percorso dell'Appia, inoltre, erano disseminati tabernae, osterie, luoghi di sosta e stazioni di servizio per i viaggiatori di questa affollata via, cui con il diffondersi del cristianesimo, e soprattutto dopo l'età costantiniana, si aggiunsero strutture per la cura del culto e per l'accoglienza dei sempre più numerosi pellegrini, che giungevano anche d'Oltralpe per venerare le tombe dei martiri e dei papi conservate nelle catacombe dell'Appia. Ma, con la traslazione delle reliquie dei martiri nelle chiese intramuranee, durante l'VIII e il IX secolo, e il conseguente abbandono dei complessi cristiani, avvenne un cambiamento funzionale del territorio nel Medioevo, con il progressivo incremento delle strutture artigianali e rurali. Si diffondono mulini, fornaci e ovunque calcare, ove i calcararii spoliavano dei preziosi marmi le illustri tombe e ville per riutilizzarli nell'edilizia coeva. Così anche il tratto più vicino all'Urbe assume la configurazione di campagna con un utilizzo prettamente agricolo, la maggior parte della quale, peraltro, era di proprietà della Chiesa, che deteneva proprio sulla via Appia uno dei più estesi patrimoni: il patrimonium Appiae, che si estendeva dal Tevere ai Colli Tuscolani.
Questi nuovi insediamenti rurali portarono allo sviluppo di un sistema di fortificazioni con torri e torrette che si impostavano direttamente sulle strutture romane disseminate lungo questa via. Si venne così a formare, forse già sotto i conti di Tuscolo nell'XI secolo, un borgo, risistemato nel XIII-XIV secolo dai Caetani, che lo circondarono di un recinto turrito, munendolo di un palazzo baronale, due chiese e una cinquantina di case.
Nonostante la quasi totale trasformazione agricola del territorio della via Appia, sin dal Rinascimento, si cominciò a diffondere tra gli eruditi la consapevolezza dell'importanza delle antiche memorie e della necessità di salvarle dall'incuria del tempo e dalla smania di antichità da parte dei collezionisti. Ma bisognerà attendere la prima metà dell'800 e la volontà dei papi Pio VII e Pio IX per vedere l'attuazione di un vasto progetto di valorizzazione e recupero, con espropriazione dell'area interessata, scavo sistematico e sistemazione urbanistica dell'area archeologica. E' nel 1965, infine, che si costituisce il parco pubblico dell'Appia antica di 2500 ettari, cercando di porre fine all'abusivismo indiscriminato che ha portato alla costruzione di numerose ville residenziali, con la privatizzazione di alcuni degli edifici antichi più importanti del territorio.

Per la rubrica Archeologia - Numero 81 maggio 2009
Maria Barbara Savo |
Per la rubrica Archeologia - Numero 81 maggio 2009