Accade sovente, da parte di chi non è addetto ai lavori e forse anche per responsabilità di una legislazione sovrabbondante, che si faccia di tutta l’erba un fascio e si mettano nello stesso calderone consorzie patti territoriali, prust e accordi di programma, gal, intese e piani d’area, contribuendo in tal modo a creare sfiducia e scarsa credibilità verso istituti che se fossero invece ben utilizzati, potrebbero agevolare l’avvio di un modo innovativo di fare sviluppo dentro un territorio.
Non crediamo pertanto superfluo riparlare del Distretto culturale dei Castelli Romani, nonostante il nostro giornale se ne sia occupato diverse volte e il sito delle biblioteche www.romacastelli.it riporti in tempo reale la produzione di documentazione relativa a tale progetto. Tale termine, infatti, oltre ad evocare, stando alla abbondantissima letteratura di riferimento, diversi modelli di sviluppo locale culture oriented, propri della cosiddetta economia della conoscenza, rappresenta, qui ed ora, nel nostro territorio, una realtà in costruzione, con sue specifiche caratteristiche, nonché una scommessa, squisitamente politica, tutta da giocare. Gli attori sono molti: intanto i Comuni, i primi ad essere stati interpellati e sollecitati, le loro forme di cooperazione, gli enti sovraordinati (Regione e Provincia), l’associazionismo locale e le associazioni di categoria ed ognuno prova a fare la sua parte per il buon esito dell’operazione, senza nascondere le difficoltà e i rischi insiti in un progetto tanto innovativo e work in progress, sempre aperto all’ingresso di nuovi partner, tanti quanti sono necessari a disegnare il profilo complessivo del territorio e delle sue potenzialità.
Ognuno prova a fare la sua parte, nel senso che fare distretto significa soprattutto mettere a sistema l’esistente ovvero le esperienze, le competenze e le conoscenze di cui gode il territorio, innescando quel circolo virtuoso necessario a produrre nuovi capitali e nuove risorse. La spinta a muoversi in tale direzione è venuta da alcuni studi effettuati su quest’area, individuata come particolarmente adatta ad attivare logiche distrettuali, che sono essenzialmente logiche di rete e in quanto tali già presenti, sotto molteplici forme, ai Castelli Romani, più che in altri territori, pur dotati di un ricco patrimonio artistico e monumentale. La volontà espressa dalle amministrazioni locali, in più occasioni, di rispondere positivamente alle sollecitazioni provenienti da tali studi, si esprime oggi in un progetto che vede i Sindaci aver già preso delle significative decisioni: la prima è quella di far coincidere il percorso per arrivare al Progetto dell’Area integrata prevista dalla L.R.40/99 con quello che punta a far marciare lo sviluppo delle comunità locali utilizzando come punto di forza la cultura (leggi distretto culturale).
Sono partite dunque le attività di un laboratorio permanente di programmazione territoriale, che sta coinvolgendo gli attori locali per definire il piano strategico di sviluppo pluriennale dell’area, indispensabile strumento di cui dotare il territorio, che sarà capace di esprimere una più alta qualità della governance, solo se tale piano verrà elaborato attraverso la reale condivisione degli obiettivi da parte del maggior numero possibile degli stakeholder locali, il tutto affiancato da fondate strategie di marketing del territorio.
Vogliamo ricordare infatti che un Distretto culturale, per le premesse da cui è nato qui ai Castelli Romani, è intanto una modalità innovativa di governance, che si sperimenta nel tentativo di mettere a sistema le risorse, i capitali esistenti nell’area, e prima di tutto quelli di carattere immateriale fatti di idee, competenze, saperi tradizionali e codificati per garantire ai territori e alle imprese competitività e quindi sviluppo.
Secondo le più avanzate teorie sui Distretti culturali, essi mettono al centro del processo di creazione del valore non più la materialità dei beni, bensì il capitale simbolico e identitario ad essi strettamente connesso.
Nell’economia postfordista la fonte del vantaggio competitivo dei sistemi territoriali sta manifestandosi nella capacità sia individuale che collettiva di accedere utilizzare sviluppare conoscenza.
In tal senso assumono un ruolo strategico il sistema scolastico e formativo, i centri di ricerca, le università, i media, i servizi informativi in senso lato e in primo luogo, nel nostro caso, le biblioteche e la loro capacità di garantire ad un pubblico sempre più largo tale accesso.
In tal senso ci piace parlare di distretto, come si usa dire in letteratura, knowledge oriented, ma questo non significa che i servizi culturali del territorio ne assumono la direzione, significa al contrario che i servizi culturali destinati a trasmettere, mediare, favorire l’accesso alla conoscenza assumano tutto l’onere della loro mission e diano in tal senso il contributo che loro spetta.
Altrettanto ci auguriamo possano fare gli altri soggetti coinvolti in tale processo, che mettano a disposizione il loro bagaglio di idee, progetti e competenze all’interno di una logica di rete che solo la politica – intesa, passatemi la citazione, nel suo senso più alto, quello di tecnica regia, in quanto “conosce ciò che è meglio, e perciò è capace di far trionfare la giusta causa attraverso il coordinamento e il governo delle singole tecniche” - deve e può governare.
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- Numero 52 maggio 2006