Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Sagre & Profane

Antiche divinità del grano

Il santuario di Demetra e Kore ad Ariccia

...In area albana il culto di Demetra e Kore, verosimilmente collegato alla presenza dell'acqua, è attestato lungo la riva occidentale del bacino di Vallericcia, in località Casaletto.
Qui nel 1927 si rinvenne una platea in opera quadrata di peperino delimitata da muri nella stessa tecnica, nei pressi della quale vennero alla luce numerosi oggetti votivi, tra cui, oltre ai consueti anatomici, animali, teste, coppe e vasellame in ceramica a vernice nera, anche statue e busti fittili di eccezionale qualità, rappresentanti le due dee.
La scarsità di elementi architettonici fece ipotizzare che ci si trovasse davanti a un temenos (recinto sacro) con muri e copertura in mattoni crudi o materiale deperibile. In realtà è probabile che si trattasse di un vero e proprio tempio, con elevato in legno rivestito in terracotta; si sono infatti rinvenuti elementi di decorazione fittile frontonale e antefisse architettoniche.
Questa stipe, che si inquadra cronologicamente tra il IV e il II sec. a.C., con una maggiore concentrazione nel corso del III, anche se non mancano oggetti che farebbero risalire la produzione al V sec. a.C., pur avendo connotazioni agricole si distingue dalle altre della zona per la qualità superiore delle statue e dei busti, per i quali è stata individuata una provenienza siciliana o magnogreca, mediata dall'ambiente campano di Paestum e Capua o di Taranto. Gli studiosi che esaminarono i materiali ritennero che i busti di Demetra e Kore si ispirassero ad originali bronzei, nella fattispecie alle statue, opera dei greci Damophilos e Gorgasos, che decoravano il Tempio di Cerere, Libero e Libera sull'Aventino, a Roma.
Secondo Fausto Zevi in una prima fase il luogo di culto avrebbe avuto una natura esclusivamente salutare e solo successivamente, a seguito di una rifondazione, sarebbe stato collegato al culto di Demetra e Kore, commissionando alcune opere di particolare valore artistico, come il busto di Cerere e la statua acroteriale femminile, a maestranze esperte, di provenienza o influsso meridionale, e in particolare siceliota, forse attraverso una mediazione falisco-ceretana.
Giova ricordare che rapporti tra Latini dell'area albana e Sicilia sono attestati anche nella vicina Lanuvio, gemellata alla siciliana Centuripe, in ricordo della sua leggendaria fondazione da parte del siculo Lanoios, compagno di Enea.
Lo studioso ritiene che i busti delle due dee, che simboleggiavano il loro riemergere dagli Inferi, potessero essere esposti insieme agli altri oggetti votivi su appositi banconi all'interno di un piccolo sacello.
La maggior parte dei reperti fu trovata ammucchiata presso l'angolo nord-est del podio, all'interno di una favissa (fossa votiva), dove forse erano stati concentrati quando il Santuario venne abbandonato, nella speranza di salvarli da una sicura distruzione, che forse è da mettere in relazione alle rappresaglie operate dal figlio di Mario nel territorio di Ariccia, che aveva parteggiato per Silla durante le guerre civili. Gli attributi delle statue e dei busti (il porcellino, le spighe, il torques serpentiforme) permettono di identificare senza dubbio il Santuario come un luogo di culto alle due divinità femminili agricole, preposte al rinnovamento della natura e con evidenti connotazioni ctonie, ovvero legate al mondo sotterraneo.
Se effettivamente il luogo di culto nasce già agli inizi del V sec. a.C., esso è probabilmente da porre in relazione all'emissario nemorense, che sboccava sul versante nord-orientale di Vallericcia, per poi proseguire fino al Fosso dell'Incastro, in territorio ardeatino, alla cui realizzazione operarono probabilmente maestranze greche provenienti da Samo, esuli nella magno-greca Dycearchia (Pozzuoli)....


Simbolismo


...Quello della coppia delle dee è uno dei racconti più ricchi di simbolismo della mitologia greca e anche uno dei più studiati, non solo dal punto di vista storico-religioso, ma anche per le sue implicazioni psicologiche.La scomparsa sotto terra di Kore (che è il femminile di Koros = germoglio, virgulto) rappresenta la morte, ma è anche il presupposto del suo ritorno, che è come una resurrezione.Si potrebbe obiettare che la permanenza della dea sotto terra per un terzo dell'anno non corrisponde ai cicli stagionali (in tal caso sarebbe durata sei mesi); infatti si ricollega ad un concetto mitologico e alla tripartizione dei culti ctonii (kerenyi): per un terzo è Kore-Ecate, per due terzi Kore e Demetra. Demetra, quando accudisce al piccolo Demofoonte, lo tratta come fosse il grano, che viene tostato e messo a cuocere nel forno. Suo animale sacro era il porcellino che veniva sacrificato gettandolo, vivo, in un pozzo, perchè giungesse nel mondo degli Inferi, dove era relegata Kore e in una versione del mito si raccontava che la terra, quando si era aperta sotto i piedi della dea fanciulla, aveva inghiottito anche i maiali del porcaro Eubuleo, che aveva assistito alla scena e l'aveva raccontata a Demetra. I resti del sacrificio, recuparati, venivano bruciati e usati per rendere più efficace la semina. Nel momento cruciale dei misteri (eleusini n.d r.), all'interno del Telesterion, si mostrava ai fedeli la spiga recisa, che simboleggiava la figlia tolta alla madre. Senza entrare nel merito al rapporto, nella realtà spesso conflittuale ma comunque intimamnete profondo, che esiste tra madre e figlia, Demetra e Kore sono strettamente compenetrate l'una nell'altra, al punto di essere quasi identificate. Demetra è madre, ma anche Kore-vergine, intendendo con questo termine che non ha un compagno o un coniuge, anche se ha figli. All'opposto, Kore-Persefone ha un marito, con il quale tuttavia non genera prole e con il quale non viene mai rappresentata in coppia, se si eccettuano le terrecotte (pynakes) di Locri. Entrambe hanno con gli dei maschili un rapporto conflittuale: ne vengono rapite o ingannate o violentate.
Situazione non nuova nella mitologia greca (si pensi ai vari amori axtraconiugali di Zeus); la novità è in questo caso che nè Demetra, nè Kore si rassegnano: se quest'ultima si limita ad un volontario digiuno (quasi sapesse che prima o poi la madre la ritroverà e salverà), la prima nutre dentro di sè un rancore e una determinazione che le permetteranno di riavere, sia pure a condizione, la figlia amata. La sua reazione determina una crisi nell'ordine cosmico: nessuno procrea, la natura muore, nessuno sacrifica e questo ha riflessi anche nell'ordine divino: tutti gli dei si mobilitano per far ritornare Demetra sulla sua decisione. La dea sa che questa è l'unica arma in suo possesso per riottenere la figlia e solo quando la rivede accondiscende. Dopo un periodo di crisi quindi si ristabilisce l'ordine, il ritmo vitale: la terra torna a produrre e in più Demetra insegna agli uomini la cerealicoltura, che era alla base dell'economia agricola. Per questo la dea era chiamata Thesmophoròs (legislatrice) e in suo onore ad Atene si celebravano le Thesmophorie, pochi giorni prima delle grandi Eleusinie, cui partecipavano solo donnne sposate e che prevedevano una giornata di digiuno e una di danze e canti. Quello delle due dee sembra davvero un rapporto esclusivo, che le estrania dal resto degli uomini e degli dei.
In un acuto saggio Tilde Giani Gallino (Le due signore. L'archetipo della trasmissione della vita, Milano 1990) ha posto un parallelo tra le coppie S.Anna-Vergine Maria e Demetra-Kore: entrambe madri e figlie con mariti padri in secondo piano, vergini pur essendo madri, "come se le DueSignore pagane avessero ceduto il passo alle Due Signore cristiane". Entrambe impersonano situazioni apparentemente incompatibili tra loro: la vita e la morte, la fecondità e l'aspettp infero, la maternità e la verginità, la luce e le tenebre. Ma si tratta di una contraddizione solo apparente, che in realtà rientra nello scorrere ciclico della vita, sia umana che vegetazionale, in cui proprio l'alternanza garantisce la continuità. Solo la certezza che dopo l'inverno viene la primavera e, metaforicamente, dopo il dolore la gioia, dopo la morte di nuovo la vita, può permettere all'uomo di suoperare situazioni altrimenti insopportabili. "Se il seme di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore produce molto frutto" (Giovanni, 12,24).

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I testi di Giuseppina Ghini sopra riportati si trovano in: Renato Mammucari - Susanna Rossi Esser (a cura di) Il pane degli angeli. Ideagraph, 2009 pp.51-53 e 54/55

Per la rubrica Sagre & Profane - Numero 84 settembre 2009