(...) La viticoltura nei Castelli Romani era già diffusa nei primi anni dell'Impero, tanto che il vino laziale si esportava in tutte le regioni: per questo motivo Ostia era diventata un emporio vinario di grande importanza. L'intensa attività di coltivazione della vite nella campagna romana e l'enorme importanza del suo frutto spremuto sono attestate anche dai culti praticati nella zona, la cui diffusione è testimoniata da numerosi ritrovamenti. Nel 1908, nel corso di lavori agricoli, fu scoperto, in località Torre del Padiglione, nell'Ager Lanuvinus, un pregiato bassorilievo in marmo pentelico raffigurante Antinoo (l'amasio dell'imperatore Adriano, annegato nel 130 d.C. nelle acque del Nilo) in probabili sembianze di Silvano, la divinità agreste romana assimilata al Sileno greco, che tagliava i grappoli della vite con un falcetto impugnato a destra, mentre nella mano sinistra teneva forse un grappolo d'uva. Anche la presenza di statue di culto di Dioniso attesta la diffusione e, dunque, l'amore per il vino nutrito dagli abitanti dell'Ager Lanuvinus. Ad esempio, all'incrocio tra via del Bottino e via Colle del Cavaliere a Lanuvio, si rinvenne una statua di Dioniso in più frammenti, in marmo bianco venato: il dio, dall'aspetto giovanile, rivestito di una nebride (pelle di cerbiatto), venne rappresentato proprio nell'atto di versare vino da un kantharos ovoide, mentre sorreggeva con l'altra mano una piccola pantera.
I tratti di Dioniso incarnano lo spirito di tutto ciò che è vita: egli è il dio agreste della vegetazione rigogliosa, nonché dio della fertilità , il principio per cui le cose vive generano i viventi. Non solo: Dioniso è il dio dell'uva e del vino e, quindi, è il nume tutelare dell'ebrezza e della perdita della ragione. Dioniso toglie le inibizioni, riconduce gli uomini al loro stato primordiale e selvaggio, li fa ballare, gridare, agitare, li spinge a un'esaltazione che porta all'orgia e alla violenza: tutto questo è però privo di ogni significato negativo, in quanto nulla può ritenersi giusto o ingiusto nell'enthousiasmòs delirante. In Grecia Dioniso era l'unico dio che concedeva alle donne e agli schiavi di partecipare ai suoi riti: nella terra degli dei il vino era di tutti e per tutti, indistintamente. Per le donne - che normalmente non erano ammesse ai simposi - i misteri bacchici costituivano forse l'unica occasione per evadere dalle rigide limitazioni imposte dal loro ruolo sociale e sentirsi, finalmente, libere.
A Roma, invece, il vino era loro vietato e bevuto e gustato solo da uomini liberi e maturi. Se per i Greci Dioniso era il patrono dell'evasione controllata e rappresentava la valvola che garantiva la stabilità del sistema, non era così per i Romani. In prospettiva ellenica i riti bacchici avevano una funzione doppia: a livello individuale quella di procurare sollievo nella vita e preparare a una buona morte, a livello comunitario di garantire la pace sociale.
Simbolo di un tale profondo senso di libertà poteva essere anche l'omologo latino Liber, patrono della prosperità , tuttavia il senato romano percepiva la diffusione del culto dionisiaco tra la gente come estremamente pericoloso per la stabilità sociale al punto che, nel 186 a.C., decretò disposizioni legislative tendenti a limitare sia a Roma sia in Italia il culto dei Baccanali, le feste orgiastiche in onore di Dioniso. Nonostante le misure restrittive della ritualità bacchica, a Lanuvio la diffusione della ritualità bacchica è attestata, in maniera straordinaria, dal dipinto ad affresco con scena di iniziazione dionisiaca, risalente a età augustea, i cui frammenti sono conservati in una teca del Museo civico lanuvino, vero tempio della memoria della storia e delle tradizioni di questo antico territorio.
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In: Renato Mammucari - Susanna Rossi Esser (a cura di) Il pane degli angeli. Ideagraph, 2009 pp.86-87
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