Sergio Tidei? Un artista autentico. Non solo per il suo eclettismo, che lo rende brillantemente efficace in ambito figurativo, musicale, letterario (è pittore, grafico, cartellonista, illustratore, cantautore, poeta...), ma anche e soprattutto perché, per lui, essere artista coincide con la sua stessa quintessenza, cioè con l'autenticità più significativa e originaria del suo essere uomo. Artista dentro, dunque. Uomo creativo perché libero, e libero perché creativo. Consapevolmente oltre i condizionamenti mass-mediatici e l'imperante schiavitù tecnologica; mode e tendenze che, viceversa, decidono e ordinano (studiate a tavolino per fini economici) i movimenti ciechi del gregge massificato, laddove distinguersi è una macchia difficilmente lavabile (sul bucato bianco che più bianco non si può) perché conta l'omologazione al "must" e la dimostrazione pubblica e continuata del proprio aggiornamento: perché appunto è "must" essere "up to date", alla disperata rincorsa della moda, del suo fantasma evanescente, del suo fronte estremo "in progress", giorno dopo giorno, con ricaduta a pioggia di feticci pubblicitari e surrogati esistenzial-merceologici, supportati da slogan memorabili e banalissimi tormentoni, non solo estivi, da rimasticare anche in silenzio, anche da soli. Altrimenti si è tagliati fuori. Esclusi dal giro. Di più: presi in giro. È la "società dei simulacri", dove vegetano gli uomini-stampino, i burattini ingessati che sgomitano ferocemente (e s'indebitano tragicamente) pur di comprare, possedere, indossare e infine esibire l'uniforme, lo "status symbol" attraverso cui raggiungere la bramata identificazione con la massa, vale a dire il fatto di sentirsi finalmente accettati, dalla parte giusta, figli non degeneri del proprio tempo.
Come spezzare questo circolo vizioso? Tornando all'essere: riattivando lo spirito critico e riaccendendo la scintilla negli sguardi. Ecco la scelta di Tidei. Allergico ai riti collettivi di un mondo dominato dalla volgarità materialistica e dal consumismo di ennesima generazione, Tidei esce dal coro: si sottrae alle dinamiche maggioritarie del "politicamente corretto", per ritagliarsi uno spazio - personale e insieme universale - di riflessione e approfondimento del quotidiano. Dove guardare meglio, alla luce intelligente dell'ironia, ciò che altrimenti - avendolo continuamente dinanzi agli occhi e vivendolo "in presa diretta"- si rischia, infine, di non vedere più. Oltre la superficie: alla ricerca dei valori autentici, delle cose davvero importanti da tutelare (come l'amicizia, la lealtà , la fedeltà all'idea).
Eccolo dunque assemblare e confezionare, con perizia artigiana prima che artistica, questo prodotto genuinamente pop che è Libbero de parlà , un'opera da leggere, guardare, ascoltare: la silloge eponima di ventidue poesie in romanesco (sia pur con qualche deroga in lingua, qua e là , e qualche generosa imperfezione metrica); le spassosissime vignette illustrative; i tre frammenti in prosa, stralunati, sulfurei, surreali; e le undici canzoni raccolte del CD La vita intorno (un titolo, un programma), allegato in terza di copertina. Un lavoro nel complesso godibile, arguto, penetrante: caustico talvolta. Vi scocca la scintilla creatrice del sorriso, se non del riso, che apre la scorza delle cose, che ne smonta la struttura, e le mostra sotto un'altra prospettiva.
Sergio Tidei, "romano" di Grottaferrata, mi sembra erede dell'antico spirito stoico, che è parte non indifferente della nostra storia. Per molti aspetti. Ad esempio, per questa meditazione sull'uomo nella sua realtà concreta, nella tensione dirompente delle sue passioni, nelle miserie dei suoi vizi, delle sue debolezze. C'è nell'uomo, in ogni uomo, un contrasto fra natura (condizionamento e limite) e ragione (principio e fondamento di conoscenza). Saggezza è rendersi conto di non essere saggi, o almeno non ancora: è umiltà di saperlo riconoscere. È dunque capacità di prescindere dalle passioni, che ci rendono scissi, prepotenti, egoisti... Uscire anche dalle perniciose abitudini, che ci rendono schiavi. Emerge così l'ideale (già stoico) di una vita secondo ragione, utile a collocare l'uomo nell'armonia del cosmo: un equilibrio di cui noi stessi siamo responsabili. E dunque colpevoli, in caso di squilibrio. Come oggi, che lo squilibrio domina sovrano: nell'ecosistema, nella società , nell'individuo. «A voi che avete fatto er monno pazzo», ammonisce e accusa Tidei, «le còrpe per avello disastrato». Che non è un modo (fin troppo facile) per scaricare la croce addosso agli altri. «L'animaccia vostraaa!... Anzi miaaa!!», rettifica la vignetta di State in campana! dove l'omino con l'ombrello è quasi travolto dall'"inondazzione", logica inesorabile conseguenza del "monno pazzo". «'Sta vita è diventata 'na rincorsa» che non concede più il "giusto tempo" a niente e a nessuno: anche la frutta si raccoglie prematura per la fretta di venderla, laddove invece - è risaputo - natura non facit saltus: salvo poi accollarsi e pagarne le risultanze, a rischio e a danno di tutti. «Perché 'sta corsa stupida?... è un mistero!» Perché affannarsi tanto? Perché affrettare i processi naturali? Perché forzare l'ordine intrinseco delle cose? «Tanto alla fine a quer "traguardo vero"/ce ariveremo tutti e in modo uguale!».
Tidei vive la realtà nei suoi aspetti paradossali e parossistici, nelle sue più assurde contraddizioni: talvolta come incubo, o almeno come "morsa" che «me se strigne fortemente 'ntorno». Da qui l'invito a cambiare rotta, a trasformarsi verso un'altra direzione (Rinnovamose). L'artista ha il dovere etico di denunciare quello che non va, per fungere da pungolo e da sprone. Sia pur consapevole (ma in fondo orgoglioso) di esser combattente isolato, se non solo, tra i molti addormentati e indifferenti: «Me devo da adeguà , si vojo regge, / siccome solo io ciò da ridire / Me sento uno straniero in mezzo ar gregge, / chinà la testa... e all'ordini obbedire!...»
Dalla ragione, che è un misto di buon senso e di misura, procede il dono inestimabile della libertà , che infine coincide col valore della vita tutta, nella pienezza massima del suo significato. Ma la libertà , proprio perché così preziosa, non è affatto scontata: è un compito che ci viene affidato. Una conquista da raggiungere, anzi: da realizzare. Un criterio di giudizio attraverso cui dividere il mondo in due "città ": da una parte gli uomini come sono; dall'altra come dovrebbero o potrebbero essere. Servi o padroni? Scrive in proposito Aldo Onorati: «Gli uomini liberi non saranno mai né l'uno né l'altro. Ecco perché sono scomodi a tutti, combattuti ovunque senza tregua. Gli uomini liberi però sono la coscienza del mondo».
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Sergio Tidei
Libbero de parlÃ
EdiLet - Edilazio Letteraria, 2008
88 pagine + CD allegato € 15,00