Maria Lanciotti, scrittrice e giornalista di Ciampino che da anni risiede a Velletri, dopo aver pubblicato diverse opere in prosa, ritorna alla poesia con il libro Questa terra che bestemmia amore, una raccolta di 54 poesie divise in tre sezioni (Fotogrammi, Campo lungo, Panorama) che ripercorrono, con intensità e acutezza, la storia degli ultimi settanta anni. Ne risulta un agile poemetto, amalgamato dal procedere coerente dei contenuti, da una cifra stilistica omogenea e dalla costante incisività delle immagini.
La guerra degli anni '40 è il grande tema della prima sezione del libro. Il soldato la combatteva seguendo un dovere astratto e crudele, ma la sua mente non riusciva realmente a prendervi parte, "mentre sparava piangeva" e pensava alla sua donna lontana, all' "odore di pane/del suo ventre". Guerra vissuta anche come veleno per le menti più giovani, intossicati dalla propaganda della dittatura. Tempi di sofferenza, ma anche di semplicità e di povertà , affrontata con orgoglio e con dignità esemplare.
Con la seconda parte della raccolta ci proiettiamo nel periodo del Secondo Dopoguerra. Viene ancora analizzata la perversione della guerra, i suoi effetti devastanti: oltre che disintegrare i corpi, ha mutilato le menti di coloro che sono tornati esteriormente sani.
La continuità esistenziale, dopo la cesura tragica del conflitto, poteva essere garantita dalle persone anziane, rimaste nei paesi d'origine, sono loro che "custodiscono l'odore della stalla", cioè il senso atavico di convivenza pacifica e di reciproco rispetto tra l'uomo e la natura.
Però non si fa tesoro delle esperienze precedenti, c'è ancora reticenza e propaganda perché "non parlano i libri/dei padri che portano nella carne le ferite". Si è creata una lacerazione storica nuova tra i padri e i figli "che non vogliono ascoltare/la storia narrata dai protagonisti".
La scrittrice individua in questa frattura l'elemento storico alla base della mutazione antropologica cominciata dalla fine degli anni '50 del '900 e maturata a pieno nei due decenni successivi: le generazioni non possono più comunicare veramente fra loro, padri e figli si trovarono senza un linguaggio comune, nati come erano in contesti sociali, storici ed economici abissalmente diversi. Una frattura derivata certamente dalla necessità di obliare l'orrore della guerra per poterlo superare, ma che produsse la perdita di un'irrecuperabile grossa fetta di memoria collettiva, innestando così un processo fortemente contraddittorio: da un parte un forte slancio di apertura verso nuove esperienze ed obiettivi degli individui e della collettività , dall'altra il rapido prosciugarsi dei valori coesivi profondi della società , non essendo stati tali principi rielaborati e riformulati alla luce del nuovo contesto, ma semplicemente, quasi integralmente, rimossi.
Le nuove generazioni fuggono dunque l'ancestrale richiamo del lavoro della terra e le sue fatiche. Le case si riempiono di elettrodomestici, le donne cominciano a lavorare fuori casa. Tutto cambia velocemente: col benessere economico le vacanze diventano riti di massa, la case diventano più confortevoli, i condomini più silenziose e tristi, la televisione invade le abitazioni e il consumismo comincia a dettare la sua legge, facendo somigliare tutti a "polli in batteria".
Arriviamo così all'oggi. Il processo di mutazione antropologica è giunto ad uno stadio successivo: la poetessa registra in primo luogo la rarefazione del contatto umano diretto a favore di contatti "freddi" legati alle nuove tecnologie e ai nuovi media, telefoni cellulari, chat ed e-mail, che però danno la sensazione di "scrivere sulla sabbia". Poi viene evidenziato il senso di precarietà e debolezza che colpisce le famiglie, ridotte ormai all'osso in quanto a numero dei componenti, famiglie rinchiuse in piccolissimi appartamenti come ragnetti oppressi e con le sole valvole di sfogo della "shopping terapia", delle zuffe televisive e delle possibili vincite in denaro di lotterie, slot machines e gratta e vinci. In terzo luogo si denuncia il fatto che esista oggi più che mai la necessità di avere a portata di mano dei "diversi", dei nemici di facile individuazione, p.es. i trans o i clandestini, su cui poter sfogare l'inconscia e aberrante violenza che una società così frustrante necessariamente produce.
Non è dunque nel contesto del presente che la scrittrice "sente" una speranza, ma in un "futuro" che è una proiezione filosofica più che politica o storica. La sua speranza sta cioè nella potenzialità catartica e imprevedibile della vita e della natura che ogni giorno rinascendo, si rigenera, ribellandosi, in qualche modo, ai pronostici infausti del nichilismo in cui siamo invischiati.
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Maria Lanciotti. Questa terra che bestemmia amore, Roma, Edilet (Edilazio Letterario) 2009