Carlo Vinciguerra, marinese, noto e apprezzato in tutto il comprensorio castellano e non solo, è un enologo, formatosi presso la gloriosa Scuola di Conegliano Veneto, amministratore e comproprietario con il collega Marco Ciarla della S.E.A. (studio enologico agrario di Marino) .
Lo incontriamo nel suo Laboratorio, immerso tra alambicchi, burette, pipette e apparecchiature di analisi sofisticate e di alta precisione. Ci accomodiamo nella adiacente, bella ed attrezzata sala di degustazione vini.
Accettiamo volentieri di assaggiare un Marino superiore doc che presenta un giusto equilibrio organolettico di profumi e sapori. Cerchiamo, a questo punto, di formulare la nostra prima domanda ma senza averne il tempo, perché il Vinciguerra inizia subito e spontaneamente a parlare delle problematiche viticole enologiche dei Castelli Romani e della Regione Lazio in generale.
È un vulcano irrefrenabile: decanta fatti storici, ipotizza soluzioni, propone riflessioni.
Qui di seguito ne riportiamo una sintesi.
Un po' di storia e qualche enoriflessione
Nel Lazio si coltivavano, dice il Vinciguerra, un'infinità di vitigni perché ogni Papa portava a seguito i propri villici ed i propri vini. (1)I marchigiani di Sisto V, ad esempio, trapiantarono il Verdicchio che poi, adattandosi al nuovo ambiente, è diventato il Trebbiano verde.
Nel 1870 Roma divenne Capitale d'Italia. Rilevante fu l'urbanizzazione di tutto un indotto poco abbiente che cercava nel vino più la quantità che la qualità per cui (2) i vini dei Castelli Romani, storicamente rossi molto pregiati, divennero dei bianchi beverini. I produttori che volevano fare "qualità " non trovarono più clienti disposti a pagarla, pertanto si dovettero adeguare al nuovo mercato: trebbiano toscano e malvasia di Candia "superiore" a ... 200 quintali/ettaro!
Ancora oggi si subiscono le conseguenze di quella politica e nelle transazioni commerciali dei vini del Lazio (compresi, quindi, i vini dei Castelli Romani) si parla, soprattutto nella grande distribuzione, del prezzo, del battage pubblicitario e dell'importanza dell'etichetta. È cosa rara che qualcuno assaggi il prodotto!
In altre regioni si parla di prezzo solo dopo aver constatato una qualità soddisfacente. Pertanto il produttore è costretto ad un adeguato standard minimo.
(3)Recentemente alcuni produttori volenterosi, riscoprendo alcuni vitigni autoctoni, hanno ritrovato la strada dei vini di pregio, proponendoli però a prezzi ingiustificatamente alti, fuori dal giusto rapporto valore/qualità .
Il consumatore romano è molto sensibile al richiamo della moda (vedi Falanghina e Pinot grigio, tra i vini i bianchi, Nero d'Avola e Morellino di Scansano per quelli rossi) e si illude di essere protagonista e di fare tendenza, al contrario ne è semplicemente vittima.
Conseguenza: la media italiana del consumo dei vini nella ristorazione rimane per l'80% nell'ambito territoriale e lascia il 20% a vini di altre regioni; nel Lazio si registra l'esatto contrario, cioè 80% proviene da altre regioni e/o nazioni e rimane un misero 20% ai prodotti regionali.
I ristoratori romani (non tutti per fortuna) ricaricano anche il 1000% portando al tavolo una bottiglia di vino (il cui prezzo di acquisto è compreso da un minimo di 0,85 ad un massimo di 2 euro) a non meno di 10 -12 euro. Il cliente, dato l'elevato prezzo, non arriverà a soffrire la sete, ma prima di ordinare una seconda bottiglia ci penserà due volte. E l'effetto è una contrazione dei consumi.
(4) Nel primi anni '60, quando fu promulgata la legge sui vini D.O.C. si scatenò una violenta contesa tra i viticoltori castellani perché si voleva rivendicare la denominazione "Castelli Romani", mentre i produttori dell'area frascatana desideravano ed ottennero, solo per loro, la denominazione Frascati.
Contro ogni logica qualitativa si aumentò la produzione per ettaro ed il Frascati divenne il vino più famoso nel "doppio litro" con tappo a vite.
Dopo interminabili diatribe si arrivò all'obbligo dell'imbottigliamento in zona: "così se controllemo da soli e quill'atri non ponno fa li zozzi".
I risultati sono stati alquanto deludenti e nel 2009, eliminate anche quelle ultime aziende che in deroga potevano imbottigliare "fuori zona", il mercato è completamente crollato.
Negli anni '70 il Comune di Marino stanziò 30 milioni di lire divisi in 2 anni per promuovere l'agricoltura. Io proposi, continua nella sua esposizione l'enologo Vinciguerra, la creazione del Consorzio di Tutela del Marino doc, ma non si trovò un accordo tra i produttori e il Comune stornò i fondi. Il Consorzio rimase nel limbo per 25 anni quando il "treno" era ormai passato.
La barca del Consorzio di tutela del vino D.O.C. Castelli Romani naufragò ancor prima di essere varata in una riunione tenutasi a Velletri tra produttori nel 1998. La manifesta non volontà portò a differire la riunione successiva di 5 anni !
Altro argomento a cui tiene molto l'enologo Vinciguerra è (5) la Strada dei vini dei castelli romani.
È stata la Strada dei Vini con la gestazione più lunga di ogni altra (infatti è arrivata ultima).
Lanciata l'iniziativa ben oltre 30 anni fa dall'allora prof. Giovanni De Angelis, essa ha avuto un ruolo esclusivamente demagogico in tutte le faide socio-elettorali delle forze politiche di tutti gli schieramenti che si sono avvicendate al potere nei diversi livelli.
Come l'araba fenice è morta e risorta dalle proprie ceneri infinite volte e le uniche realizzazioni sono state le inaugurazioni ed i cartelli stradali.
È vanto l'estensione di oltre 500 Km (ogni azienda pretende che passi davanti al proprio cancello) che le conferisce il primato di Strada dei Vini più lunga del mondo!
Quale è la sostanza di questa Strada se priva di ogni richiamo turistico-culturale-economico-commerciale? Non c'è una "bottega del vino" ufficializzata, non c'è un niente di niente se non qualche sparuto segnale che indica: "sei sulla Strada dei Vini dei Castelli Romani".
(6) Una Strada dei Vini deve avere, tra l'altro, le "botteghe del vino". Belle, caratteristiche, eleganti o rustiche, dove l'avventore possa trovare oltre alla ospitale accoglienza, vini selezionati delle diverse aziende del comprensorio e i prodotti tipici castellani.
Sarebbe sufficiente prendere esempio da chi ha ideato e realizzato certe iniziative già nei primi anni '60, come quella veneta della Strada del Prosecco Conegliano-Valdobbiadene, di soli 40 Km. Lungo il percorso non serve domandare dove si possa degustare il vino perché viene offerto nel migliore dei modi ad ogni piè sospinto.
(7) Alcuni Comuni dei Castelli stanno realizzando iniziative lodevoli, ma in modo autonomo e quindi al di fuori dello spirito comprensoriale della Strada. Ad Ariccia, ad esempio, sono state aperte (o riaperte) numerosissime osterie-trattorie, punti di ristoro diversi, attaccati gli uni agli altri nelle stradine che si snodano sotto i ponti della famosa cittadina. Iniziativa che richiama numerosi turisti che fanno la fila per trovare un posto. Ciò dimostra che la concorrenza è sinonimo di pluralità e di successo nel commercio. Dove, invece, ciascuno zappa e pensa solo al proprio orticello non si crea aria di festa e, senza attrazione, non c'è richiamo.
A questa Caporetto laziale, ma soprattutto castellana, si aggiunge il divieto (per la salvaguardia del patrimonio viticolo e la custodia della storia e delle tradizioni) di vendere i diritti di reimpianto al di fuori della regione! Nel Lazio la viticoltura è in crisi e allora a chi si potranno vendere i diritti?
Vendemmia 2009: è difficile capire quale sia la differenza tra un terreno espiantato ed un vigneto abbandonato con l'uva non raccolta, perché non si è trovato un acquirente neanche per 15 euro al quintale!
Il Vinciguerra così conclude.
Non è mia intenzione fornire una ricetta pontificale, ma solo alcune riflessioni, dettate dall'esperienza vissuta in prima persona, forse utili per evitare il ripetersi di certi errori:
- Innanzitutto cercare di capire che tutti gli operatori vitivinicoli onesti
sono nella stessa barca che presenta, purtroppo, numerose falle;
- Uscire dal proprio guscio per scoprire altre importanti realtà che ci
circondano;
- Emarginare gli imbroglioni;
- Rendersi disponibili alla collaborazione con tutti gli operatori della
filiera;
- Coinvolgere anche i grandi gruppi che fanno il mercato;
- Incentivare la concorrenza, evitando però di considerare gli altri dei
"nemici".
Grazie all'enologo Carlo Vinciguerra per la sua schiettezza.
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Note
(1)La SEA è un Laboratorio Autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, accreditato presso l'Ente Nazionale ACCREDIA per il rilascio dei Certificati di analisi ai fini dei controlli ufficiali e dell'esportazione dei vini.
La S.E.A si occupa anche di altri importanti settori: assistenza tecnologica e legale (LegVin) vitivinicola ed elaiotecnica, consulting engineering, divulgazione con corsi teorico-pratici per professionisti e non (formazione cantinieri e Vino per Hobby). Lo Studio, insomma, è un attendibile riferimento per sentire il "polso" della enologia nazionale e di quella dei Castelli Romani in particolare.