Riprodurre e immortalare poeticamente, prosaicamente, visivamente, musicalmente e coreuticamente le espressioni che dalla tradizione sedimentata andavano alla mente e dalla mente al corpo tutto quanto, fuoriuscendo in pose, passi e discorso danzato fu senza dubbio una delle più provocanti sfide che i viaggiatori italiani in Italia o stranieri in Italia accettarono e su cui si cimentarono. Anche nei Castelli Romani, una volta ricchi di codeste, tangibili offerte artistiche.
E non solo in loco o provenienti dalla secolare pratica delle singole comunità ! Ma anche, ricordiamo! la via Appia (regina viarum) conduceva da Roma a Venosa (in seguito, fino a Brindisi) e ... viceversa: quindi sia i passi di marcia che i passi di danza potevano esser «di andata» e «di ritorno», ovvero anche portati ed acquisiti caratteristicamente dalle viciniori terre a sud o poco più a nord. Comunque ed ahimé, furono prevalentemente orecchi stranieri a riportare su carta da musica quei soni dai passi visti e ascoltati nell' area dei Romani Castelli.
Perché a "La Riccia" i disegnatori raffigurano danze pastorali almeno fin dal secolo XVIII? e perché ad Albano si balla con tanto di gran tamburello (tammorra nelle lingue campane) la tarantella (oltre al saltarello alla contadina)? e perché di lì, a pochi chilometri di distanza, a Marino ed a Genzano si danza soprattutto il saltarello? C. Blessig, espertissimo viaggiator tedesco, in Römische Ritornelle (Leipzig, 1860) ne trascrive uno ad hoc dalla campagna:
Alla Viola!
La tamburella è venuta da Roma,
Benedisco la mamma, che la sona.
Ovvio invece che via Appia, Acquedotti e Capannelle continuavano e continuano a tramandare marce. (Ricordiamo qui che processione e marcia sono ancestrali forme musi-choreutiche.) Costantino Acquasanta scrive Sui Colli Tuscolani, Marcia per canto e pianoforte o pianoforte solo (Roma, 1894), "Ai Comitati per le Feste Pubbliche in Frascati in occasione del Congresso Medico" ... solo per ricordarne una. Valga sempre e comunque di Ottorino Respighi il movimento di marcia ne I Pini della via Appia, ultimo brano della quadriade Pini di Roma, poema sinfonico di cui abbiamo accennato già nella precedente trattazione Il pianoforte racconta i Castelli Romani 1.Sensazioni (VIVAVOCE N.93).
Palagi e ville nei Romani Castelli assistevano nel secolo mondano XIX a valzer, polke, mazurke, quadriglie e ... pure balli popolari che tanto sfiziavano nelle apposite sale borghesia ed aristocrazia (in vero anche il clero!) : come per dire "Pure di queste cose noi ne sappiamo!"
Un americano, William Wetmore Story, giunto a Roma per la prima volta nel 1847, scrive in Roba di Roma ( 2 volumi, London 1862):
"Di molte di queste riunioni, cui partecipai durante una deliziosa villeggiatura trascorsa a Castel Gandolfo, serbo un bellissimo ricordo. In queste occasioni il pavimento in cotto del salone principale veniva lavato con abbondante acqua e spazzato a fondo. S' invitavano le contadine più belle della zona, ed esse arrivavano vestite nei loro splendidi costumi locali, adorne di scintillanti collane e orecchini. Un barile di vino veniva posto in un angolo del salone con accanto un vassoio ricolmo di ciambelle e bicchieri, affinché chiunque avesse voluto si potesse servire da solo. Le famiglie più importanti della zona erano anch' esse presenti, alcune vestite in costume, e in queste occasioni ogni differenza di ceto, ricchezza e titolo veniva messa da parte. La banda del villaggio suonava un' eccellente musica e tutti noi ballavamo polche, valzer, quadriglie e il saltarello romano. Questi balli iniziavano nel pomeriggio, alle cinque circa, e terminavano alle nove di sera, quando tutti se ne andavano." (Traduzione: a cura di Alessandra Pinto Surdi e della di lei figlia Paola, Roma 1999.)
Ricordando dell' Infiorata a Genzano, su quel che succedeva in piazza Cesarini scrive prima:
"Mentre si avvicina il crepuscolo, al rumore ritmico dei tamburelli e delle nacchere, ritroviamo numerosi gruppi intenti a ballare il salterello- il ballo nazionale romano che prende il nome dal piccolo passo saltellante che lo caratterizza. Non vi è limite al numero di coppie che può danzarlo, sebbene il ballo sia perfetto anche se danzato in due soli. Alcuni dei movimenti sono molto aggraziati e provocanti, specialmente quando una delle ballerine s' inginocchia e, tenendo le braccia tese in alto, fa schioccare le nacchere, mentre il suo compagno le gira intorno, battendo le mani e avvicinandosi sempre più, fin quando è abbastanza vicino da darle un bacio, che lei rifiuta. Naturalmente è la storia tipica di qualsiasi danza nazionale: amore e rifiuto, fino a quando la ragazza cede. Appena una coppia, col fiato corto e rossa per la sforzo, si ritira, viene sostituita da un' altra, mentre i loro accompagnatori suonano sulla fisarmonica [?] la trascinante e volteggiante melodia della Tarantella che 'riesce a infondere giovinezza in chiunque'." (Traduzione: ibidem.)
August Bournonville, maestro di danza danese, incontra l' Italia nel 1834 e nel 1841: la prima volta a Parigi, dagli scritti di viaggio di Victor Hugo e la seconda volta di persona, in tour. Conoscerà in ambedue le occasioni i Castelli Romani. Dai romanzi-verità di Hugo scaturirà nel 1839 il balletto idillico Festen i Albano (Festa ad Albano), su musica di Johannes Frederik Frølich, anch' egli danese, nel quale si rivive una vera e propria Tarantella napoletana come riconduzione popolare; tal balletto, in vero pressoché sconosciuto in Italia, fu ricostruito da Fridericia Allen e Elsa Marianne von Rosen per il balletto scandinavo: esecuzione moderna nel 1961 a Kalmar in Svezia. Dal periodo di vita in Italia e da Impressions de voyage di Hugo creerà nel 1858 il balletto Blomsterfesten i Genzano (La festa dei fiori a Genzano) su musica di Edvard Mads Abbe Helsted e Holger Simon Paulli danesi: qui squarcia scena visiva e spazio sonoro un sorprendente (per autenticità musicale) Saltarello di Paulli, lungo una danzata trama da storia popolare accaduta realmente: quella di Paolo e Rosa. Effettivamente, i temi popolari di questo «scatenato» Saltarello risultano talmente atipici rispetto alla scrittura de genre da far pensare ad un' autentica, documentata «inserzione» de 'u sartarellu genzanese. Ascoltare per credere!
Anche in Frascati si danzavano saltarelli nelle ville e sui belvedere, ma solo iconograficamente ci sono stati tramandati ad eccezione di di Fête à Frascati, Saltarella (Paris, sec. XIX) per violino e pianoforte di un «misterioso» J. Harold Henry e di Frascati, ultimo movimento in Castelli Romani (Wien, 1930) per pianoforte e orchestra, anche per 2 pianoforti, autore l' austriaco Joseph Marx. E per di più le considerevoli iconografie sul saltarello a Frascati risultano a colpo d' occhio dilettevole passatempo di illuminata intelligencija e annoiata nobiltà . Interessantissimo invece un disegno e stampa dal vero (1893?) di E. Zanetti, da una scena di coppia (uomo-donna) in saltarello a Marino (che qui è riprodotta). Senza dimenticare i saltarelli in cui sfociavano le musiche a bifera (piffero) e zampogna dopo le intonazioni di religiosa ricorrenza (su cui riporteremo appositamente in un prossimo numero riguardante Feste tradizionali e religiose).
Andrea Doria, nobile e musico per diletto, ci ha lasciato dai suoi soggiorni in Villa Doria e vigneti Albano, Ricordi campestri in forma di Walzer per pianoforte a 4 mani (Milano, 1875-77), in quella sfrenata e culminante consecutio propria ai tersicorei divertimenti sociali dell' epoca, allargati anche a gradite presenze autoctone.
Lo sconosciuto musicista e villeggiante C(arlo) Loquenzi (toscano?) ci riporta in manoscritto (poi pubblicato a fine '800) un' orecchiabilissima Mazurka per pianoforte dal titolo Una gita a Monte Cave.
Il Circolo dei Villeggianti di Frascati riunito è stato immortalato da una difficile (anche choreicamente presumo!) polka composta, eseguita e danzata per l' occasione dal titolo 23 Agosto? Polka Brillante per Pianoforte (Bologna, tra il 1880 e il 1886), ai suoi Componenti dedicata: autore il musicista Cesare Panizza. Di quale anno si tratta?
La campagna romana, con le sue gelose comunità , si prestava incredibilmente a preservare antiche ed antichissime musiche e danze «d' incontro» fra culture itineranti: nei Castelli era conosciuto anche il bolero, danza spagnola di gran dignità , che riporta Jeanne Leleu, francese, nel brano pianistico Le Dimanche dans une osteria dalla raccolta En Italie (Paris 1928) e Joseph Marx a sorpresa intermedia un saltarello frascatano nel terzo movimento di Castelli Romani, opus già citato, con un inaspettato bolero.
Voler distinguere fra espressioni musicoreutiche a diversa area culturale (musica e danza di campo, vigna, strada, piazza; musica e danses de salon e di palazzo; musica e danza teatrale; musica e danza di aulica cerimonia; musica e danza di ricerca e d' avanguardia) è importante, così come lo è dichiarare la dimostrata interazione ed il «nutriente» incontro fra esse aree culturali. E, proprio riferendoci ai Romani Castelli, abbiamo riscontrato che almeno nel secolo XIX, in palazzi e ville, nobili e borghesi si cimentavano nel rustico e popolano saltarello, mentre belle figlie del contado animavano danses nobles.
Il compositore Henry Charles Litolff (nato in London, ma di origine alsaziana) sparge per l' 800 sonoro un Frascati-Valse per pianoforte (Paris, 1875), nello stesso anno arrangiato per pianoforte a 4 mani dal francese Alphonse Zoé Charles Renaud de Vilbac; abbiamo già accennato in tutt' e due le trattazioni precedenti sulla musica dei Castelli dal pianoforte riferita (VIVAVOCE, NN. 92 e 94) dell' appena percettibile tango ne Le viole del lago di Nemi di Oskar Linden. E come non citare fra le danze di acquisizione la farandole diffusa dai francesi nelle loro promenades dans la campagne romaine: una danza di gruppo con caratteristica serpentine che comunque ascende anche ad antiche pratiche mediterranee nel Phalangium Apuliae! Infatti, una farandole completa i divertimenti bacchici ai Castelli nel Deuxième Tableau di Promenades dans Rome, divertissement choréographique en un acte et quatre tableaux su musica di Marcel Samuel-Rousseau (un' altro dei vincitori del Prix de Rome, nel 1905, i quali, risiedendo presso l' Académie de France a Roma, nei suoi dintorni si recavano e si «attardavano»), scénario di Jean Louis Vaudoyer, coreografia di Serge Lifar, rappresentato a Parigi nel 1936; è purtroppo uno sconosciuto opus musicoreografico, edito in stupenda "conduzione" per pianoforte a 2 e (ove non basta) a 3 mani, ricco per ciò che riguarda le ambientazioni nei dintorni di Roma, ai Castelli, di autentiche e rare danze ivi riproposte, quali due Danses des vendangeuses e una Tarentelle, oltre ad una sconosciuta melodia a voce sola ivi ascoltata (di cui tratteremo nel futuro rispettivo scritto sulla vox humana).
E pur «trasalendo» nelle auliche cerimonie di palazzo e di villa nei Castelli Romani troveremo un' antica «popolar» Contraddanza di Pietro Tulli, detta La Frascati, anno 1776, che allietava e riferiva di quella vita e di quell' estro ...; ci è stata conservata in unicum manoscritto per «istromenti», ma riconducibile e rieseguibile con basso continuo al cembalo o al forte-piano.
Ancor oggi la coinvolgente pratica del ballo è assai viva e seguita nell' area dei Castelli romani: lo comprovano le numerose scuole di danza nelle varie sue discipline e la comunque strenua presenza di gruppi folclorici e folcloristici, nonché le rinomate, locali bande che tanta musica «a danza» ancor tramandano, anche ri-creandola. Ma quod prius erat ci è dato hodie sapere? come qui spontaneamente ci si esprimeva con gesti, pose e movenze a ritmo di musica? e ad usum futurum ci interessa?
Forse, per saper continuare a vivere (meglio), preziosi ci sarebbero quei trascorsi momenti di espressiva libertà (anche con il nostro corpo), momenti che una volta proprio per la loro unicità ed importanza di accadimento convogliavano inaspettate capacità ed energie da ognuno, facendo così intravedere fantastiche fantasiose realizzazioni humane di sé pur nell' otium: se non la via alla felicità , perlomeno alla contentezza!
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Roma, 12 settembre 2010