E' tempo di leggerezza, finalmente. Un po' di anni fa l'aveva presagito Italo Calvino, che proprio con la leggerezza intendeva aprire i suoi memos for the next millennium, le Norton Lectures impedite da una morte dispettosa. Ma nessuno ci aveva fatto davvero caso, almeno da noi, abituati a sopravvivere in un paese bizantino nelle forme, greve nei meccanismi, torvo nelle relazioni, privo di senso autocritico. (Questo lo pensava Flaiano, quando amaramente diceva: la situazione è grave ma non è seria).
Che c'entra la cultura con la leggerezza? con il gioco? con la novità ? Ancora qualche giorno fa un importante quotidiano italiano manifestava una feroce nostalgia per il passato, unica possibile culla della cultura. Senza radici, non c'è identità . A furia di pensarlo, e di proteggerci dietro questo dogma indimostrato ma comodo e rassi-curante, abbiamo reso il paese come un gigantesco frigorifero senza cucina, un luogo nel quale si conserva tutto ma non ci si riesce a nutrire.
Così, mentre il fermo immagine del patrimonio culturale ne congela indefinitamente valori e capacità dialogica, la realtà procede scompostamente in cerca di nuove ragioni, scrollandosi di dosso - sia pure senza autorizzazioni istituzionali - la polvere degli abiti sacerdotali, e rilassandosi non poco in un mondo inedito e intrigante. Un mondo, soprattutto, talmente variegato da aver preso le distanze dalla convenzione unanime, dalla gerarchia consolidata dei valori. Relativo e relativista? Certamente sì, per fortuna.
Non è più il caso di darci importanza, sembrano dire le coorti dei nuovi produttori di cultura, cui basta uno spazio urbano da conquistare, un laptop e una connessione per generare contenuti spesso di grande valore. E se la cultura può avere un senso nel mondo contemporaneo, non è certo perché ci salva l'anima; al contrario, lo snodo valoriale risiede nella nostra capacità di specchiarci con ironia e acutezza in segni e simboli che ci tengono svegli, ci fanno sognare, ci inteneriscono quando li riconosciamo e ci affascinano quando li scopriamo.
Gli articoli di Paola Borrione e di Antoine Leonetti offrono, da sponde diverse ma in buona parte convergenti, questa prospettiva. È il gioco, la cosa più seria e profonda che l'umanità abbia inventato, a fornire la chiave di volta delle nostre relazioni culturali. A ben guardare, si tratta di un'attitudine ludica che pervade la produzione culturale "colta" da sempre, dalle illusioni e invenzioni visuali della pittura e della scultura medievale ai giochi di parole della lirica ottocentesca; attitudine presente ma spesso trascurata nella creazione, e bandita con rigore talebano dalla fruizione, che nella vulgata deve essere "seria" e possibilmente tediosa.
La parola stessa indica l'allegria o, secondo alcuni, l'atto del lanciare - magnifica metafora di dinamismo e prioezione verso il futuro. Non dimentichiamo che giocando da bimbi abbiamo acquisito le nostre prime esperienze culturali, senza accorgercene quasi, ma metabolizzando con piacere immagini, melodie, trame e visioni. Sarebbe il caso di ricordarcene adesso, da adulti, per restituire valore dialogico alla cultura. Quando, qualche anno fa, il Codice da Vinci albergava su tanti entusiasti comodini italiani, a nessuno è venuto in mente che con una caccia al tesoro tra i luoghi leonardeschi la serissima Milano avrebbe potuto farsi un po' più godere dai suoi cittadini e dai suoi visitatori, coinvolgendoli in un gioco di mappe e segni capace di conciliare conoscenza e divertimento.
Il gioco digitale e la digitalizzazione dei musei hanno più tratti in comune di quanto il supporto tecnologico possa già suggerire di per sé: attivano e concretano intenzioni creative, invitano ad associazioni inconsuete e sorprendenti, funzionano soltanto a patto di abbandonare i pregiudizi. E ci ricordano, con una strizzata d'occhio, che le due accezioni di cultura (come processo, secondo gli studi antropologici; come prodotto, secondo la convenzione estetica), per due secoli gerarchicamente contrapposte, tendono a fondersi e a somigliarsi sempre di più. Adesso comincia il bello: possiamo goderci la realtà standoci dentro anziché estraniandocene, in un gioco leggero e profondo.
Â
Da: Tafterjournal n. 29 - novembre 2010
___________
Â
Vedi Tafter Journal, numero 29 - novembre 2010 www.tafterjournal.it
Vedi Tafter Journal, numero 29 - novembre 2010 www.tafterjournal.it