Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Musica

Il pianoforte racconta i Castelli Romani

Rumori, canti e musiche di lavoro

Il lavoro più presente nelle terre, nei campi, nei boschi ed intorno ai laghi dei Castelli Romani era agricolo e pastorale, con humana attività fisico-mentale diariamente scandita da una «sveglia» intorno alle ore 4 del mattino ed un desinare di ritorno a casa intorno alle ore 19 della sera. Unici svaghi dell'otium al mattino ed al pranzo del dì festivo (oltre alle convenute, ricorrenti e tradizionali feste.) Florido era l'artigianato che tali attività preminenti supportava, quali la maestria di muratori, bottai, fabbro-ferrai, falegnami, calzolai, idraulici, maniscalchi, sellai e di altri ... come anche di alcuni mastri facocchi, detti anche carradori, abili costruttori ed inventori di adeguati carri e carrozze. Famosa fu la bottega di Mastro Settimio Cimini a Genzano agli inizi del secolo XX; uno degli ultimi: Mastro. Nello Sabatucci di Albano, che aveva la sua bottega in via Baccelli n.9.
Il mondo del lavoro incrementò nel secolo XIX la produzione in serie e nacquero piccoli opifici che crearono nuova coscienza e nuova dignità «operaie»; il diffuso pensiero socialista prese adesioni nei Castelli Romani e dure lotte (anche per la riduzione delle ore lavorative settimanali!) sfociarono pure nella repressione con morti, poiché comunque, nonostante la feconda e generosa terra, le condizioni di vita degli abitanti rimanevano per la maggior parte quelle di miseria... anche con l'avvento del governo italiano post-unitario.
Tornando ai mestieri, ovvero alle attività del negotium, in tempi odierni il compositore Giorgio Battistelli, nato ad Albano nel 1953, ha coordinato musicalmente i rumori anche di quelle antiche e quelle sopravviventi attività dei Castelli Romani in una partitura di suoni concreti fusi pure con voci umane, sì da esser eseguiti come evento concertistico: principali interpreti dal vivo gli artigiani da lui stesso diretti. Tale è il cosiddetto Experimentum Mundi, presentato a Roma nel 1981, coinvolgente diversi luoghi italiani a tramandata attività artigiana, realizzato spettacolarmente, in Italia e all'estero.
Fra le attività di braccio e di mente, ce n' era una che nei Castelli Romani ancor oggi dà prospettive di vita «un po' meno grame»: il commercio ed il trasporto giornaliero, diretto, nella città Roma, caput mundi (!?), di quegli stessi prodotti agro-alimentari che questa fertilissima, vulcanica e raggiungibile zona (i Castelli Romani appunto) offre da secoli e secoli a chi pazientemente e sapientemente la lavora. Le percorribili vie di transito merci erano e son tuttora, la via Appia e la via Tuscolana; prima dell' invenzione e dell' avvento dell' automobile, ed anche nei tempi concomitanti alla sua prima utilizzazione per attività commerciali lungo i primi decenni del secolo XX, detti trasporti avvenivano con carri e carretti romani, fra i quali, per il genere alimentare specifico, il cosiddetto carretto a vino, chiamato qualche volta baroccio. Tipico, inconfondibile per la struttura, per i colori e per l' «armamentario», esso era il veicolo del carrettiere romano.
E in verità il viaggio avveniva di pomeriggio per la partenza a carretto scarico verso i Castelli e di notte, dopo la mezzanotte, per il ritorno a Roma a carretto carico. Ricordiamo qui che il carrettiere era ben agghindato e considerato, poiché non partecipava minimamente alle operazioni di carico e scarico dei pesanti barili da 60 litri (8 per ogni trasporto), a cui era appositamente addetto il barilaro o facchino a vino.
Già dall' anno 1437 si documenta in Roma una Università dei Mulattieri nella quale i carrettieri erano incorporati. Per tradizione i carrettieri a vino erano quindi romani... ma non solo! anche castellani col percorso inverso: non Roma-Colli Albani andata e ritorno, ma Colli Albani-Roma andata e ritorno. Ai fini della nostra ricognizione sui documenti del mondo sonoro tout court nei Castelli Romani, basta considerare che essi carrettieri, con i loro carretti a vino, romani o castellani di nascita e/o abitazione erano i reali, liberi esecutori diurni e notturni di quelle sonore presenze che ridondavano in aeree oscillazioni per lo scenico spazio dei tratti percorsi da Porta San Giovanni lungo la via Appia o da Porta San Giovanni, poi a sinistra, lungo la via Tuscolana.
E di sicuro quei rumori, quei canti e quelle musiche da carretto a vino, erano solo per e dei Castelli Romani!! Una «silenziosa», ma incantata persona lì ascoltò e li trascrisse, circa un secolo fa, come poco più avanti ci accingiamo a ricordare.
Il «concerto sconcertante» che si udiva al passaggio del o dei annoverava tali strumenti più o meno sonori e tali esecutori «popolari»: a partire dal suolo stradale, le due robuste ruote che muovevano il loro peso sul lastronato (o basolato) romano, sulle pietre, sulla battuta terra delle strade consolari, delle strade municipali e padronali; poi, tra il ripiano del carro e l'asse delle ruote veniva posto il secchione, un recipiente che, tangendo un perno appositamente posizionato sull'asse, provocava un caratteristico, grave «rumore sonoro»; più su, il colorato, tipico abitacolo a soffietto, detto forcina, che riparava il carrettiere da qualsiasi intemperie, aveva un metallica lamiera forata, detta feriera, con duplice funzione sonora e ornamentale, prevedendo per ogni foro il fissaggio di un campanellino o altro sonaglio appeso: avvertire anche a distanza notevole dell'arrivo e spargere piacevoli suoni acuti ed acutissimi; la bardatura del cavallo o del mulo prevedeva anche un campana detta bubbolo, fissata ar zinale, ovvero al pettorale, ai suoni della quale vadano aggiunti quegli altri creati dalle sonore vibrazioni provocate dal crepitìo degli zoccoli. E, non infine, la stessa voce del carrettiere o dei carrettieri in fila animava musicalmente, poeticamente ed umanamente quel viaggio e quel lavoro che con siffatti costumi e modi si realizzava e «realizzava».
Fu Jeanne Leleu, compositrice francese vincitrice del Grand Prix de Rome nel 1923 (già menzionata nei numeri 94, 95 e 97 di VIVAVOCE per i rispettivi repertori di SENSAZIONI, di MUSICHE A DANZA E BALLI, di FESTE nella serie qui intrapresa Il pianoforte racconta i Castelli Romani) a scrivere e a dare alle stampe nel 1928 a Paris En Italie, dix pièces pour piano (opus già riportato nei numeri poco prima citati di VIVAVOCE): il sesto di essi brani «phonographici» è appunto Carretto Romano, debbo dire unico in questo genere ed in questo ipercircoscritto repertorio.
Lei esplorante, ascoltante ed attenta viaggiatrice raccoglie e ripensa gli elementi sonori riproducibili vissuti in prima persona, così da far rivivere su 6 pagine di carta da musica pentagrammata, ciò che di a lei nuovo prova; memorizzato, riportato, voluto risentire e con la voglia di farlo risentire. Così come abbiamo già descritto le componenti rumorali, canore e sonore al passaggio di un carretto a vino sulle strade, consolari e non, che tracciavano i Castelli Romani, la compositrice riesce ad inserirle pianisticamente quasi tutte in magistrale equilibrio tra fedeltà, creatività, eseguibilità ed ascoltabilità. Il cammino delle ruote su lastroni, pietre e terra è presentato come una sorta di basso ostinato, su cui contrappuntano ritmicamente e costantemente gli altri scricchiolìi riprodotti con dissonanti bicordi (accordi a due note contemporanee); e al disopra, in zona più acuta, si leva una melodia a canto "Tranquillement, mais sans traîner", piano e "sans lourdeur", poi raggiunta e compresente con un'altra: prima si inseguono a canone e poi intonano con lo stesso ritmo, assieme ma in «dìssono», ovvero a distanza di intervallo e intervalli non proprio consonanti: carrettieri già ubriachi o antiche pratiche di musica non tonale? Non solo, ma riesce anche a farci sentire, tra i vari elementi strutturali sopraesposti, l'improvviso, un po' occasionale scivolare delle ruote su lastroni o pietre frante o sconnesse: tre suoni discendenti a terzina, qua e là, di intermedia altezza.
Nella sezione centrale del brano tutto si ferma ed un'accorata, nuova ma serena melodia, con suoni reiterati per ogni singola frase, si eleva, come? "Un peu plus lent, très librement de sentiment et de mesure", forte e "à pleine voix", come scrive Leleu stessa su e fra i pentagrammi; melodia sorretta da un'armonia semplice, a bicordi più gravi, stavolta consonanti: quasi suono di religioso harmonium.
Riprende poi tutto l' insieme sonoro del carretto romano ma, in primis, affiora quella nuova melodia centrale per poi riproseguire a due voci e rumori nella tessitura della prima sezione con il secondo motivo della sezione prima (quello dei probabili ubriachi) fino a svanire sonoramente ed a diradarsi ritmicamente in un canone a due voci e pianissimo finale: quasi appena percettibile movimento di vita sullo sfondo sonoro e visivo di un orizzonte centrato dalla retta, lastronata via consolare.
Jeanne Leleu visse quei rumori, quei canti e quei suoni sensibilizzata e sensibilizzandosi, facendosi partecipe per sé e per noi, ieri e oggi, a testimoniare pro futuro uno scorcio di autentico, vitale, operoso e poetico mondo humano, quel mondo che respirava in una dimensione tendenzialmente più simbiotica con l' habitat circostante: quel riconsiderabile mondo di chi viveva e «trainava» i Castelli Romani.

Roma, 12 gennaio dell' anno MMXI

Per la rubrica Musica - Numero 98 febbraio 2011