È in libreria, dal mese di aprile, il libro di Maria Cristina Vincenti Diana. Storia, mito e culto della grande dea di Aricia, edito da Palombi. Un ulteriore contributo che arricchisce di elementi stimolanti e suggestivi il mito e il culto della complessa figura di Diana-Artemide.
Per gentile concessione dell'editore pubblichiamo di seguito la prefazione al testo della Prof.ssa Anna Pasqualini
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La grande dea di Aricia, sin dall'inizio del secolo scorso, appare ripetutamente al centro degli interessi del mondo scientifico.
È pur vero che, nelle numerose e approfondite ricerche sulla sua complessa figura, la maggior parte degli studiosi ha frequentemente avuto, quale costante punto di riferimento, l'area del tempio repubblicano in Valle Giardino a Nemi, di modo che le "antichità nemorensi" sono andate man mano delineandosi come un vero e proprio ambito di studi, ponendosi quasi in alternativa a quelle che, con altro termine, potremmo viceversa chiamare "antichità aricine". E questo non soltanto in seguito ai risultati degli scavi intrapresi sulle sponde del lago di Nemi da Lord Savile Lumley (1885), ma anche, e soprattutto, a causa delle suggestioni derivanti dalla celebre opera di Sir James Frazer (Il Ramo d'Oro, 1911-1915), che consacrava il santuario di Nemi come luogo esclusivo del culto di Diana. Mancava uno studio articolato che mirasse a definire un più congruo rapporto della divinità di Aricia con la sua città . Si tratta di una sterminata mole di materiale, quella cui ci si trova di fronte, non facilmente schematizzabile, come ugualmente assai vasta appare l'entità delle testimonianze antiquarie e archeologiche, soprattutto quando si prendano in considerazione miti, riti, avvenimenti e personaggi intimamente legati alle tradizioni e al culto della dea. Il presente volume vuole costituire, sotto questo punto di vista, un compendio che, attraverso l'analisi delle fonti, richiami l'attenzione del lettore su un'immagine non usuale di Diana, talora banalmente intesa come una generica "dea del bosco", Diana Nemorense appunto, senza null'altro recepire delle sue precipue funzioni e prescindendo dal ruolo storico che essa rivestì ab antiquo. Si sviluppa così una sorta di dibattito nel quale vengono utilizzate le varie discipline, quali l'archeologia, l'epigrafia e la numismatica, la storia delle religioni e l'antropologia. In tutto questo l'Autrice assume il ruolo di guida sagace che ha la capacità di orientare il giudizio del lettore, chiamato peraltro a un continuo dialogo con un testo sostanzialmente aperto, ma anche di introdurlo a opportuni approfondimenti su fatti non marginali e in alcuni casi inediti, certamente da segnalare, dai quali Diana affiora prepotentemente, individuata nel ben determinato momento storico in cui assurge ad emblema della confederazione dei popoli del Latium, impegnati a neutralizzare la minaccia etrusca sulla fine del VI sec. a.C.
La dea, così come emerge da una documentazione vasta ma irrimediabilmente succinta, assume una funzione totalizzante dalle indiscutibili caratteristiche greche, eppure culturalmente essa è profondamente legata alla latina Aricia, città che, con la sua fitta selva (nemus Aricinum), è verosimilmente già in possesso di quegli elementi mitico-cultuali in grado di accogliere senza difficoltà l'inarrestabile emergenza della "Signora del non abitato".
È presso il trivio appena fuori la porta urbica (od. Basto del Diavolo) e a pochi passi dalla palude aricina, che, secondo la rigorosa ricostruzione dell'Autrice, si deve localizzare il celebre dianius menzionato da Catone. L'ipotesi - certamente originale e suggestiva - è formulata sulla base della notevole ricorrenza nelle fonti antiche dell'epiteto Trivia, che viene attribuito a Diana e che corrisponde al greco Trioditis, peculiare dell'Artemis-Hekate della città di Fere. La forma triadica del simulacro tardo-arcaico, ricostruibile grazie al ritrovamento in Valle Ariccia della nota testa bronzea, oggi a Copenaghen, conferma i legami tra Artemis-Hekate e Diana-Trivia. A ciò si aggiunge un forte elemento di novità : la travagliata collocazione del Caput Aquae Ferentinae trova, a seguito di una serrata indagine dell'Autrice, una sede assai convincente nella Valle segnata dal trivio e da una sorprendente concentrazione di acque sorgive. Ferentina allora, da giustapporre a Trivia, sarebbe non un teonimo autonomo ma un epiteto della dea, sotto la cui tutela, al crocevia di popoli e culture, si svolsero le riunioni più significative della storia politica del Lazio di V secolo. Emerge così, prepotentemente, attraverso una definizione più articolata della sua dea tutelare, il ruolo di Ariccia quale leader della Confederazione, in alternativa, o forse in collaborazione, con la potente Tuscolo. Della divinità vengono precisati caratteri e funzioni: essa, posta a presidio della città , la difende preparando i giovani alla guerra ed indicando loro, quale dea viarum, il giusto cammino da seguire per divenire membro attivo della società . Su un piano più generale, nella sua figura trovano ricetto tutte quelle situazioni che sfuggono al controllo della comunità organizzata e che hanno il loro rifugio nel "non abitato", visto come un laboratorio naturale in cui la criticità viene risolta con il passaggio ad una nuova condizione che consenta la positiva integrazione nella società : dal grembo materno alla luce, dalla schiavitù alla libertà , dalla malattia alla guarigione. Questo crogiuolo ha nell'area sacra di Valle Ariccia, che ha peraltro restituito i reperti più significativi riconducibili al culto della dea, la sua collocazione ideale. Quando tuttavia siano mutate o venute meno determinate condizioni, lo spettacolare anfiteatro naturale del Lago di Nemi costituirà un'ambientazione più consona, e consentirà nel contempo la realizzazione del monumentale santuario di Valle Giardino (fine II sec. a.C.), che si porrà comunque in continuità con la sacralità di Valle Ariccia, con la quale esso mostra in ogni caso di mantenere, come messo in luce dall'Autrice, significativi collegamenti. Ma le radici autentiche del culto non verranno mai perse, tanto che è ancora ai margini dell'abitato, "sulla sinistra della via Appia per chi sale da Ariccia", che la grande dea, ancora in piena epoca cristiana, sembra esprimere vitalità , attraverso quelle funzioni sue proprie, rintracciabili, ancora oggi, nella sincretistica figura di Santa Maria di Galloro.
Il volume insomma dà certamente impulso, come del resto simili iniziative nate all'interno dell'Archeclub d'Italia Aricino-Nemorense, ad un nuovo ambito di studi e ricerche che abbia il suo punto di riferimento nella storia, nei miti, nei culti e nelle istituzioni di una tra le più antiche città del Lazio.