Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Scrittori in biblioteca

I miei Castelli nel mondo

Intervista ad Aldo Onorati

Aldo Onorati non ha bisogno di lunghi preamboli: da oltre cinquant'anni opera ai Castelli Romani; i suoi libri, ispirati soprattutto all'ultimo lembo della civiltà contadina (si leggano per tutti il romanzo storico "La speranza e la tenebra" ambientato sui Colli Albani nei primi 68 anni del Novecento, e "Nel frammento la vita", uscito in quinta edizione per le scuole, un racconto-documento del dopoguerra proprio in Albano), scavano nel profondo della nostra gente: il discorso vale principalmente per "La saga degli ominidi", sesta edizione, che Domenico Rea definì un'opera di antropologia culturale essenziale per conoscere dall'interno i Castelli, il nesso ideale che lega duemila anni di storia, dal paganesimo romano a quello dell'ebbrezza bacchica delle osterie in cui il vino era una sorta di religione laica. Queste intuizioni, espresse da Onorati con una forza linguistica riconosciuta in Italia e all'estero, e che il critico letterario Giorgio Bàrberi Squarotti (uno dei padri della letteratura del XX secolo) definisce alternativo alla produzione libraria di oggi, valsero ai Castelli Romani una rinnovata attenzione dai suoi cultori a raggio internazionale.
Ecco: l'impegno di Aldo Onorati nella nostra terra è, ed è stato, di due forme: scoprire i lati nascosti e inediti della nostra civiltà e trasmetterli al mondo: le sue opere sono tradotte, infatti, in moltissime lingue, tra cui l'esperanto, lo spagnolo, il portoghese, il ceco, il coreano, il francese, il russo, l'inglese, l'arabo, il cinese, oltre a molti dialetti tra cui il napoletano e il sabino. Non solo: egli ha portato nei Castelli i protagonisti della cultura internazionale (valgano per tutti il prof. Han Yeong Kon, primo traduttore della "Divina Commedia" direttamente dall'italiano e uno dei massimi italianisti d'Oriente; Evghenij Solonovich dell'Università di Mosca, il più famoso esperto di Gogol; Eugenio Popescu dell'Università di Craiova in Romania, traduttore di Montale e Moravia; Francisco Bendezù Prieto dell'Università di Lima, traduttore di Ungaretti; Solange de Bressieux, profonda studiosa di D'Annunzio alla Sorbona etc. Fra gli italiani, Piero e Alberto Angela, De Crescenzo, Giorgio Bàrberi Squarotti, Paolo Pinto, Walter Mauro, Corrado Augias, Umberto Eco, Sergio Quinzio, Giorgio Saviane, Domenico Rea e cento altri).

Come mai questa osmosi di relazioni fra i Castelli e il mondo?
La cultura è tale quando c'è scambio e confronto di pareri. Altrimenti rimane parziale. Bisogna parlare non di cultura, ma di culture, poiché nessuna può arrogarsi il diritto di dire l'ultima parola: le espressioni dell'intelligenza umana sono diverse, non superiori o inferiori. Tutti abbiamo da imparare da tutti. Se capissimo ciò, svanirebbero le intolleranze e i fanatismi, che sono la causa delle guerre e delle dittature. Si incomincia col bruciare i libri, per finire a bruciare gli uomini che li hanno scritti e letti. Da sempre ho cercato di trasportare la nostra civiltà Albana nel mondo, ma portando nei nostri Castelli gli operatori di altre civiltà per uno scambio di pareri, sempre fruttuoso.

Da alcuni anni lei dirige corsi di letterature comparate per conto della biblioteca di Albano, paese in cui è nato, con temi che spaziano dalla letteratura italiana a quella europea e mondiale. Quale è la risposta del pubblico?
Debbo ringraziare gli operatori della biblioteca per avermi aiutato a realizzare con successo crescente questi incontri-dibattito. Il pubblico, numeroso e costante, segue con interesse. Si legge insieme un libro e poi lo si discute in un vivace dibattito di idee, proposte, vedute, critiche, domande, dubbi: è meraviglioso questo operare coralmente. Sì, siamo passati dalla letteratura italiana a quella francese, ora a quella americana, e poi a vari temi come le più belle opere d'amore della narrativa mondiale, senza dimenticare i modernissimi. Sono stato sempre del parere che le culture, al plurale, formino la Cultura. Vuole un esempio estremo? Dante, di cui sembra che si sappia tutto ormai grazie anche alla tv, non ha preso spunti soltanto dai nostri Padri della Chiesa e dalla storia universale di Roma, Grecia, dal pensiero europeo del tempo, dai documenti veterotestamentari, ma anche dai pensatori islamici, dalle loro scoperte astronomiche. Dante era veramente un uomo aperto a tutte le culture, ecco perché è il più moderno e attuale dei poeti.


Lei ormai è considerato un dantista autorevole. Ultimamente ha pubblicato un testo di critica letteraria e storica intitolato "Dante e l'omosessualità"...
In quest'opera porto avanti la tesi che il sommo Poeta distingue fra sodomiti e sodomiti, rispettando con venerazione quelli che si sono comportati bene verso gli ideali altissimi della Patria e dell'etica, ma disprezzando quelli che, invece, hanno accoppiato al fatto dell'omosessualità una condotta ladra e immorale. Quindi, Dante va riletto fra le righe, perché spesso è in contrasto con i rappresentanti della stessa Chiesa.


La sua attività di conferenziere sulla "Divina Commedia" la impegna molto. La Società Dante Alighieri le ha conferito, al Vittoriano di Roma, l'onorificenza di "Testimone della Divina Commedia nel mondo". Come vede lei il Sommo Poeta?
Lo vedo nel suo tempo e nella sua identità. Dante è stato "costretto" da troppe interpretazioni e commenti "addomesticati", ma egli è un rivoluzionario, indomabile, impossibile a immettere nei canoni, scomodo e pericoloso perché è contro tutte le finzioni, le corruzioni, gli accomodamenti: egli tiene di vista soprattutto la verità, l'etica, l'impegno civile e didattico. Dante, come Foscolo, è veramente il grande maestro, l'esempio da seguire, il fondatore della civiltà a cui tutti apparteniamo.


Allora, il poeta, l'intellettuale, ha il dovere di prendere parte alla lotta civile, politica e religiosa del suo tempo?
Certamente, altrimenti appartiene all'Arcadia, la quale descriveva i pastori belli e felici quando essi a 25 anni morivano di stenti e di malattie. Di Arcadi, oggi, ce ne sono molti: anche se non sembra.


Lei come si definirebbe?
Senta, un complimento graditissimo mi è stato fatto dallo scrittore Carmelo Ucchino, quando ha scritto che Onorati è un intellettuale organico al territorio, ispirandosi alla concezione di Antonio Gramsci. Io aggiungo che spesso fondo insieme l'estetica di Gramsci con quella di Croce. Sono convinto che il poeta (in genere) debba essere un testimone attivo, battagliero e alternativo alla sua epoca, altrimenti è un seguace del potere e quindi un inutile Arcade. Gli scrittori sono la coscienza profonda di un popolo. Specie oggi c'è bisogno di essi, ma spesso un facile successo li frastorna, li blocca al primo libro e li devitalizza.


Lei ha conosciuto tanti personaggi celebri, da Pasolini a Carlo Levi, dall'editore Armando a Roberto Rossellini, da Giuseppe Prezzolini a Domenico Rea ...
In un recente volume dal titolo "Il corpo" (Hacca editrice) a cura di Fabio Pierangeli e altri studiosi, ci sono due miei articoli sulla descrizione dei "tipi" che furono Carlo Levi e Domenico Rea. Ho avuto la fortuna di conoscere da vicino tanti protagonisti della storia del Novecento, non le comparse della cronaca. Da essi ho appreso il coraggio di difendere le idee controcorrente, dovesse costare l'impopolarità e la vita stessa. Pier Paolo Pasolini è stato una coscienza coraggiosa, profetica, intuendo che l'ideologia era finita e che lui (amareggiato ideologo) avrebbe fatto la fine del corvo nel film "Uccellaci e uccellini". Fra lui e altri coetanei (Calvino, Moravia, Morante, e tanti minori) la differenza operativa è infinita. Carlo Levi, al quale debbo la prefazione al mio primo libro-denuncia sugli orfanotrofi lager "Gli ultimi sono gli ultimi" (pubblicato dal grande editore-intellettuale Armando, altro combattente sul piano della pedagogia, aperto al mondo: a lui si deve la pubblicazione in Italia di Popper e di molti intellettuali emarginati dalla moda imperante), ebbe il coraggio di criticare sia i governi fascisti che quelli liberali e comunisti, pur lottando dall'interno del partito. Prezzolini, dal canto ideologico opposto, ha avuto tuttavia la forza di lasciare l'Italia del Regime per espatriare in America e, tornato durante la Repubblica, fu di nuovo esule volontario in Svizzera. Quando morì a centouno anni, il presidente Pertini onorò l'intellettuale chiamandolo Maestro e Paolo VI lo ebbe in grande considerazione ed amico. La storia la fanno gli idealisti, i quali pagano di persona, ma danno un senso alla vita e illuminano il cammino ai dubbiosi e ai deboli.


In questi mesi lei sta girando in molte scuole che hanno adottato "Nel frammento la vita". Vorrei parlare del suo lavoro: la sua produzione poetica è meno conosciuta rispetto a quella narrativa e di critica letteraria. Come mai?
Dipende dalle mode e dalle casistiche in cui si inserisce un autore. Ho cominciato come poeta, ma ho avuto molta più fortuna come narratore, critico, polemista (si ricordino le mie denunce sulla scuola: "Università undicesima bolgia", "Insegnanti ultimi proletari", "Gli ultimi sono gli ultimi"; sul problema dell'ambiente: "Ecologia, Cassandra del Duemila"). Dico solo che l'Italia mi considera principalmente un romanziere e un critico, ma all'estero sono ritenuto anche un poeta. "Domande assurde" (l'ultima mia silloge) è uscita prima in Russia, tradotta da Evghenij Solonovich, e poi in Italia inserita nell'Opera Omnia Poetica ("Tutte le poesie" editr. Anemone Purpurea), dalla quale un giovane e affermato critico letterario (ma poeta lui stesso), Marco Onofrio, ha estratto un florilegio con un commento mirabile, iniziando il processo di rivalutazione di Onorati anche come "autore di versi".


In biblioteca ad Albano, quest'anno, lei ha tenuto un corso di quattro lezioni sull'opera lirica, con un pienone da altri tempi.
Conosco la musica prima dell'alfabeto. A sette anni e mezzo suonavo il "piccolo in mi bemolle" nella banda diretta dal maestro Cesare Durante. Poi ho studiato canto da tenore presso il maestro Mario Ranucci in Roma. Ritengo che il nostro vero teatro sia il melodramma. Approfondire solo i poeti senza studiare i nostri musicisti, è manchevole. Lo spirito umano è uno: le varie forme di espressione sono corollari di esso; per questo è necessario spaziare in più campi della creatività. Ci metto anche la pittura, ma lì sono carente: non ho saputo mai fare un tondo con un bicchiere, sebbene rimanga senza fiato di fronte ai capolavori dei maestri del colore. Io credo che dovremmo istituire nelle scuole anche corsi di astronomia, perché ormai dipendiamo dall'universo e non unicamente dalla Terra in quanto a visioni e rapporti conoscitivi.
L'uomo non è più il centro del Creato, e tanto meno deve ritenersi il dominatore di esso. Solo quando capiremo che siamo su una navicella spaziale sperduta nell'infinito, senza possibilità di rifornimenti dal di fuori, impareremo a non sciupare le risorse che la Natura ci ha dato una volta per tutte e ad amare questo nostro meraviglioso pianeta azzurro con le sue creature, dal filo d'erba al lombrico, dalla farfalla al rovo spinoso.


Dai suoi scritti emerge un profondo amore per i Castelli Romani. Quali sono, secondo lei, i pregi e i difetti di questo vasto territorio?
Culturalmente penso bene: I Castelli tutti sono una fucina di iniziative, di osmosi fra noi e Roma con la sua sterminata messe di capolavori d'ogni genere; c'è un brillante fiorire di autori, pittori, musicisti, pensatori. Nulla da eccepire, ma le mie derivazioni contadine attraverso i millenni, mi insegnano che per far nascere un albero o una qualsiasi pianta, ci vuole il seme e ci vuole il sudore, non le chiacchiere. Oggi di chiacchiere se ne fanno troppe, dovunque.
I Castelli Romani sono ancora affascinanti, nonostante le macchine e il rumore. Bisognerebbe mettere uno stop alle costruzioni, al cemento e all'asfalto, rivalutando invece le ricchezze antiche che il mondo ci invidia. Il lago Albano cala costantemente. Qualcosa bisognerà pur fare se non vogliamo lasciare alle generazioni future soltanto i guasti di un tempo (il nostro) che ha guardato unicamente al guadagno e all'interesse dell'immediato presente.


Lei ha scritto anche libri specificamente sui nostri luoghi, come "Viaggio sentimentale nei Castelli Romani" e "Diritto alla bellezza: Albano nella penna dei grandi", oltre a "Albano addio" e " O capeschiere", collaborando pure alla stesura e revisione del Vocabolario del dialetto locale. I dialetti sono in via di estinzione?
Sì, purtroppo. La lingua media nazionale ci obbliga a dimenticare il vernacolo, che è la lingua madre di ognuno, perché non sarebbe più né comodo né comprensibile conoscere solo la parlata locale, come era fino a 50 anni fa in molte parti d'Italia. Tuttavia, dimenticare le radici della lingua, cioè il gergo nel quale siamo nati e cresciuti, significa perdere un monumento più grande ed eloquente del Colosseo.
Ho notato che molti poeti dialettali, o cosiddetti, si esprimono nel vernacolo romanesco, un romanesco vicino più a Trilussa che a Belli, e non nel proprio, cioè del paese specifico in cui vivono. I veri filologi del dialetto usano il gergo degli anni Trenta, non quello del dopoguerra, perché - nonostante gli sforzi del Neorealismo letterario e soprattutto cinematografico - la parlata nazionale ha assimilato il dialetto, per cui un giovane di venti anni non comprende più il linguaggio "stretto" dei nonni. Recuperare il dialetto è come riesumare le vestigia storiche dalla terra, o ritrovare un manoscritto creduto perso. I centri storici dei Castelli si stanno svuotando degli abitanti autoctoni e quindi del dialetto e dei costumi, ma siccome la storia siamo noi, chi dimentica il passato taglia le radici all'albero, e l'albero muore.


Programmi per il futuro?
Spero solo di poter avere il tempo di sistemare i miei inediti, anche se non li pubblicherò.
Nel modo in cui ora stanno, credo sia impossibile per chiunque, anche per mia moglie che decifra i miei appunti con veloce sicurezza, renderli adatti alla stampa.
Questo è il mio sogno, ma dovrei diradare le conferenze e avere il coraggio di dire ai tanti autori che mi chiedono prefazioni, presentazioni e pareri dei loro scritti, che facciano il miracolo di scalare trent'anni dall'età che ho adesso.

 

Per la rubrica Scrittori in biblioteca - Numero 101 maggio 2011