Dopo alcuni saggi sulla comunicazione, Pino Nazio, sociologo, e dal 1993 inviato del programma di Rai 3 Chi l'ha visto, ci consegna questo suo primo romanzo che ha per protagonista Giuseppe, figlio di Santino Di Matteo, ex soldato dei corleonesi e pentito di mafia; dunque, un bambino: soggetto, questo, che anche in passato è stato al centro di ricerche sociologiche da parte dell'autore, che ha rivolto la sua indagine sul rapporto dei bambini con la mafia, come pure con la televisione, la politica e l'alimentazione. Un romanzo legato alla cronaca degli ultimi decenni e che ricostruisce uno dei fatti più crudeli da essa riportati suscitando sgomento e indignazione nell'opinione pubblica: il famigerato episodio del bambino sciolto nell'acido. Storie come questa sembra impossibile che possano accadere nel nostro tempo, in una società che ha la pretesa di definirsi civile.
Il romanzo, scritto con grande partecipazione, profondamente sentito, ha comportato al Nostro due anni di lavoro ed una lunga gestazione per la raccolta di elementi e testimonianze anche nei luoghi che hanno visto lo svolgersi della vicenda narrata, oltre che decine di ore di conversazione con Santino Di Matteo. Ne nasce un'opera di grande impegno civile, che scuote le nostre coscienze di persone abituate al vivere tranquillo e pieno di sicurezze, aprendovi una profonda ferita.
Più che una ricerca di carattere sociologico sul fenomeno mafioso, il romanzo, oltre che mostrare il mondo dell'onorata società nei suoi molteplici aspetti e sfaccettature, e saper ben penetrare nelle pieghe del fenomeno mafioso, nel retroterra di una mentalità di ambiente, evidenziandone anche i mutamenti nel tempo, ha - soprattutto - la capacità di far partecipare emotivamente alle vicende tragiche descritte, non escludendo i drammi personali, con un dettato che coinvolge oltre che per il contenuto anche per lo stile limpido e chiaro. L'autore traccia profili dei mafiosi che affollano il romanzo in una successione di nomi che sono stati alla ribalta della cronaca, e con essi cita paesi facenti da sfondo alle vicende narrate, come pure descrive la loro vita che si svolge in contesti contadini con le loro attività ed esistenze intime magari di ricercati braccati dalla giustizia.
La storia che ci racconta Pino Nazio è una delle più brutali, disumane e agghiaccianti che la cronaca degli ultimi decenni ci abbia proposto, che fa riflettere anche in rapporto al mondo tecnologico che viviamo, con le suggestioni della modernità che non riesce a coprire i residuati di barbarie provenienti da un passato che nel benessere della società opulenta trova a volte ragioni per esprimere una ferocia primitiva nell'inseguire le illusioni di uno "sviluppo senza progresso" - come avrebbe detto Pier Paolo Pasolini. Sembra impossibile, infatti, che una stupenda isola di antica civiltà come la Sicilia - e mi viene da ricordare la straordinaria civiltà letteraria espressa nell' '800 e nel '900 da questa regione come nessun'altra della nostra Italia - abbia potuto darci un episodio di tale bestiale ferocia.
Pino Nazio ci offre un quadro ambientale socio-familiare ispirato a modelli educativi e a condizionamenti affondanti nei secoli in rapporto a cause storico-culturali derivate dal contesto geografico; una pagina di storia di mafia che si contestualizza nel nostro tessuto sociale nazionale alquanto vario, fatto di tante realtà spesso ancora ancorate a mondi culturali ancestrali; un'Italia profondamente cambiata, negli ultimi decenni, sotto la spinta dell'industrializzazione e dell'avanzare della tecnologia - con tutte le influenze sui costumi e le abitudini derivanti dal modello consumista ed edonista - in cui si evidenzia, pur nel miglioramento delle condizioni di vita, l'inevitabile esplosione di contraddizioni profonde.
(estratto della relazione letta a Grottaferrata al primo Salone dell'editoria dell'impegno il 16/4/2011)
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Pino Nazio
Il bambino che sognava i cavalli
Edizioni Sovera, 2010