Francesco, l'evento che avete organizzato l'8 giugno scorso, con la consegna del premio internazionale Il Compasso di Latta ad Ascanio Celestini e a Costantino Faillace è stato un grosso successo, e non solo per la notevole partecipazione del pubblico... è stato sicuramente uno degli eventi più importanti della vostra annata... si può dire che con questo evento si conclude questo "esercizio sociale"?
Direi proprio di no... Ci sono ancora altre iniziative da realizzare. Il nostro spazio è organizzato in tre settori: due strutturati per le attività e un terzo didattico-formativo, che naturalmente è trasversale agli altri due. Il primo settore è quello dei grandi eventi che coinvolgono personaggi già affermati su temi di grande rilevanza... e in questo settore rientrano il premio Il Compasso di Latta, promosso da Riccardo Dalisi, e la presentazione del libro di Ascanio. Il secondo settore riguarda invece nuovi appuntamenti che un gruppo di giovani sta curando: saranno attività più svelte e più dinamiche, soprattutto rivolte ai loro coetanei, che proporranno nuovi modi di fare arte con attenzione alla multimedialità e alla interattività con nuovi modi di stare a tavola, di affrontare la questione del cibo e realizzare una più organica vicinanza tra produttori e consumatori...
Non solo l'Arte ma anche il Campo!
Sì, certo... l'evento che abbiamo realizzato a giugno è uno dei più importanti dell'ultimo periodo, ma ne realizzeremo altri che riguarderanno appunto le nuove tecnologie nell'arte. Stiamo organizzando un settore multimediale interattivo, qui al Campo, che affiancherà l'aspetto più tradizionale dell'arte... anche se, come hai potuto vedere dalle opere che abbiamo e dal modo in cui le realizziamo, di tradizionale noi abbiamo ben poco. E comunque le nuove tendenze che utilizzano l'informatica ci sembrano un fatto molto interessante, perché si innescano e si imperniano direttamente sulla attualità. Il mondo oggi è basato sul computer, sulle tecnologie più innovative ed è importante confrontarle con il mondo della terra, della campagna e della natura più in generale. La tecnologia può dare un grosso contributo alla salvaguardia della natura...
Posso dire... correggimi se sbaglio... che l'arte diventa vita! L'arte qui da voi prima è diventata natura e adesso diventa vita...
No, non ti correggo affatto perché hai centrato perfettamente la nostra ambizione... che è quella di far riflettere le persone che vengono da noi facendogli lasciare un segno del loro passaggio, un segno che ritroveranno anche negli anni successivi; far riflettere sul nuovo approccio che devono avere verso la cultura e l'arte, un'arte non più legata strettamente al mondo urbano tipico della nostra cultura occidentale. La campagna per l'occidente era un mondo idilliaco separato dalla città: fino a pochissimi anni fa, non lo dobbiamo dimenticare, noi avevamo le mura medievali intorno alle città, mura non solo fisiche ma anche mentali.
Mi vengono in mente certi quadri del basso medioevo e rinascimentali...
Si..., ancora nel gotico ma anche in pieno '400 si presentavano questo tipo di opere. Ricordiamo, per tutte, Il Buon Governo e Il Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti a Siena... Soprattutto in Italia la città ha dato un contributo straordinario allo sviluppo della cultura e dell'arte occidentale. Era un mondo separato, con i suoi artigiani, i suoi intellettuali, i suoi artisti... separato dalla campagna, dove c'erano i contadini, che avevano lì tutto il loro mondo, un mondo diverso. Oggi questo non è più; la città si è insinuata a macchia di leopardo nella campagna e chi esce ora dalla città passa con gradualità da un mondo urbano a un mondo rurale e non se ne accorge. Spesso le città si estendono fino a toccare le cittadine vicine: chi arriva, nel nostro caso, da Roma nei Castelli Romani, a Frascati, ad Albano, a Genzano..., trova non una discontinuità ma una continuità particolarissima, che è questa campagna frammista alla città e la città con delle oasi di campagna... Quindi questo nostro mondo è sempre più legato, in modo stretto, alla campagna,... E allora noi vogliamo sperimentare una nuova arte che non sia più soltanto urbana ma anche legata alla natura e al mondo rurale... Vogliamo, tra l'altro, fare in modo che si possa riflettere sempre di più sulle gravi difficoltà che la natura deve affrontare per conservare il proprio habitat, la propria struttura... quindi ben venga che l'arte assuma anche questo compito,...
Questa visione dell'arte è molto impegnata: l'arte che diventa natura, l'arte che diventa vita cessa di essere patrimonio astratto di alcune menti elette, ma diventa patrimonio di tutti, come la natura e come la vita che viviamo. È un'arte sempre più democratica e sempre meno elitaria...
Si, certo. È un discorso lungo... complesso... però dobbiamo riflettere su una certa cultura borghese ottocentesca che ha reso privata e non più pubblica l'opera d'arte trasformata in oggetto da acquistare e quindi riservata a pochi ricchi. Abbiamo avuto un trapasso verso un atteggiamento elitario nei confronti della cultura e dell'arte a partire dalle avanguardie dei primi anni del '900 proprio in contrapposizione a questa condizione... La gente, nei secoli precedenti, anche se non esperta, era comunque in qualche modo vicina all'arte perché ci leggeva un suo mondo, ci trovava delle sensibilità e delle particolarità che gli erano proprie... nel nostro tempo, invece, una persona comune non può avvicinarsi all'arte contemporanea se non se la mette a studiare! E non può esserci un avvicinamento istintivo... Questo è un grave problema, che noi al Campo dell'Arte stiamo affrontando cercando possibili soluzioni. È un problema per la comprensione tra le parti; l'arte non può parlare a pochi ma deve parlare della vita di tutti... E del resto l'arte è sempre stata questo, nel passato, anche quando sembrava elitaria... Anche nel Rinascimento, quando è iniziato il distacco, l'arte era certamente ancora legata al quotidiano... Gli artisti avevano bottega sulla strada, la gente passava, si fermava e partecipava... gli artisti costituivano, diciamo, la struttura produttiva del tempo... La gente, se aveva bisogno di uno scaldino o di una cassapanca, entrava nella bottega chiedeva e discuteva con l'artista. Brunelleschi stesso, che ancora oggi influenza la nostra architettura, aveva bottega sulla strada... Mentre lavorava al progetto della cupola di Santa Maria del Fiore, la famosa cupola, la cupola per eccellenza, e quindi faceva disegni, piccoli plastici, ecc., la gente passava, si fermava a curiosare e chiacchierava con lui...
...e magari commentava e gli dava addirittura qualche consiglio...
ma lui si era veramente stancato di questo ...non lo lasciavano lavorare... l'opera che stava progettando era famosissima, già famosa prima ancora che iniziassero i lavori... Aveva vinto quel concorso con un progetto innovativo, per allora, dal punto di vista tecnologico: un progetto che avrebbe permesso di abbattere i costi in misura notevole... La sua fama era cresciuta enormemente e la gente faceva la fila per andare a vedere quello che stava combinando, che cos'era questa innovazione tecnologica che gli permetteva di creare una cupola così grande, così straordinaria e ad un costo così basso... Conclusa quella fase storica, l'arte ha perso questa funzione didattica, pedagogica e celebrativa. Ha perso anche la funzione illustrativa, che prima aveva... i ritratti, ad esempio, erano dipinti. Gli artisti illustravano persino le battaglie... si installavano su una collina e dipingevano lo scontro tra gli eserciti contrapposti... abbiamo delle opere straordinarie che illustrano questi scontri famosi! Adesso chi fa più illustrazione di battaglie?... C'è la macchina fotografica, la cinepresa... Quindi l'artista si è concentrato sempre più sul valore dell'operazione in sè che sui contenuti, si é concentrato in una posizione per cui l'arte parla dell'arte e non delle cose...
... un'arte autoreferenziale...
sì... proprio sulla base di questo, noi al Campo dell'Arte abbiamo pensato di dare meno valore alla firma dell'opera... perché da noi l'opera d'arte è fatta spesso a più mani, da artisti, da artigiani e dalla gente che partecipando alle nostre attività lascia il proprio segno... E ancora, abbiamo voluto far perdere all'opera d'arte la monumentalità che ha sempre avuto... Stiamo costruendo invece degli oggetti, delle installazioni che hanno una vita breve, una vita anche legata al ciclo naturale delle cose: ad esempio, "i legnetti" che usiamo, residui delle lavorazioni agricole, dopo un po' marciscono e li sostituiamo, in parte o completamente, con altri materiali. Questa sedimentazione dei passaggi diventa storia e dà valore al territorio... E il territorio potrà parlare di sé a livello globale proprio perché trae forza da questa identità che costruisce nel tempo. Il territorio non deve omologarsi, ma deve dare il proprio contributo alla globalità. Perché ormai il mondo globale è globale e non possiamo tornare indietro, ma se abbiamo la forza di dare il nostro contributo avremo il nostro spazio.
Questo è il manifesto del Campo dell'Arte?
Si, questo è il manifesto del Campo dell'Arte!
Grazie, Francesco.
Grazie a te.
L’arte che “fa parlare” il territorio
Intervista a Francesco Pernice
Per la rubrica
Pepite
- Numero 104 settembre 2011