Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Archeologia

Il Lucus Ferentinae a Cecchina

Una recente analisi topografica compiuta nel territorio di Cecchina, abbinata a nuove acquisizioni archeologiche emerse nella zona, ha consentito di localizzare qui l'antico Lucus Ferentinae, ovvero il luogo dove si svolgevano le assemblee federali dei Latini in età arcaica. Abbiamo visto in precedenza 1 l'insediamento dell'Età del Ferro rinvenuto in Via Perlatura, la necropoli arcaica di Via Ginestreto-Via Lazio e lo sbocco dell'emissario di Nemi a Cecchina ( ovvero il caput aquae Ferentinae ) presso il quale avvenne il supplizio di Turno Erdonio.
È probabile che il toponimo Ferentina si riferisca al culto di una divinità di tipo locale, come farebbe supporre la dedica del lucus.
A questo punto sembra evidente che il noto santuario di età repubblicana rinvenuto al di sotto del versante di Valle Ariccia presso Cecchina abbia avuto un legame imprescindibile con l'abitato arcaico di Ferentina, sia a causa della sua posizione topografica che per l'inquadramento cronologico. Nonostante l'importanza di questo santuario ne mancava tuttavia il corretto posizionamento all'interno di Valle Ariccia, cosa questa che ne costituiva una lacuna topografica. Il confronto con le carte topografiche di Valle Ariccia, che riportano la presenza di " ruderi ", e le preziose indicazioni fornitemi da Mario Leoni, che ricorda come fosse ancora visibile negli anni '80 la pianta del tempio, hanno consentito oggi di posizionare correttamente questo santuario presso l'incrocio tra Via Casaletto e Via del Quartaccio.
Qui nel 1927 vennero riportati alla luce i resti di una struttura a pianta rettangolare, grande 24 x 12 metri, con mura perimetrali in blocchi di peperino, la quale venne interpretata come parte di un tempio rustico o santuario rurale 2.
Nella stessa circostanza vennero rinvenute anche le celebri statue di Cerere e Proserpina, identificate in base ai loro attributi ( corone di spighe, collane e braccialetti serpentiformi ), oggi conservate nel Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano, datate tra la fine del IV e tutto il III sec. a.C., le quali colpiscono per il loro eccezionale livello qualitativo.
Le statue si presentano sia sedute in trono che in busti di terracotta, a dimostrazione di come ci si riferisse a divinità di tipo ctonio, emergenti dalla terra. Cerere viene rappresentata in aspetto matronale su di un trono con schienale ricurvo mentre regge un fascio di spighe, in quanto divinità delle messi. La figlia Proserpina, in aspetto più giovanile, con la mano sinistra regge invece un porcellino, suo attributo. In entrambi i casi l'abbigliamento è costituito da un chitone stretto sotto il seno e allacciato sulle spalle, ricoperto da un mantello ( himation ). Gli orecchini a rosetta con pendenti piramidali appartengono ad una tipologia di gioielli molto diffusa in ambiente magno-greco e le statue stesse sembrano derivare da modelli siciliani 3.
Il volto invece è caratterizzato da occhi grandi e infossati, con iride e pupilla incise, e labbra carnose. Le statue sono costituite da argilla rossastra o rosata modellata a stecca. Alcune parti sono state eseguite a stampo e poi unite, l'interno invece è cavo.

La presenza di alcune statue dall'iconografia diversa ha evidenziato il culto di una terza divinità di tipo locale, rimasta anonima, da identificare quindi con Ferentina. Questa divinità si presenta seduta su un trono con braccioli a volute e poggiapiedi a zampe ferine. La testa, leggermente inclinata, è ornata da una corona con foglie ricurve e da orecchini a bottone con pendaglio piramidale. Lo stesso tipo di diadema si riscontra anche su un busto in terracotta nel quale è presente una larga lamina d'imitazione metallica con foglie lanceolate ripiegate in fuori ed al centro due spighe di grano puntinate. Il busto, sul quale sono anche presenti tracce di colore, si avvicina notevolmente alla statua in trono sia per l'iconografia che per il singolare diadema. Il viso tondo ed il tipo di corona sono indizi di una divinità legata alla fertilità della terra e all'agricoltura. Sembra che queste statue furono realizzate da artisti magno-greci giunti nel Lazio a seguito della realizzazione della Via Appia nel 312 a.C. ed attivi in questo periodo a Roma e dintorni 4.
Vennero rinvenuti anche alcuni elementi facenti parte della decorazione frontonale del tempio, come due antefisse, due protomi equine e frammenti di una statua femminile seduta, la quale presentava piccoli perni di ferro ed alcuni fori per il fissaggio con chiodi. L'erezione del tempio venne fissata al V secolo a.C.
Siamo in presenza quindi di una triade di divinità femminili, tutelari del santuario e dell'intera località, le quali sembrano essere il risultato di una fusione tra una divinità locale ( Ferentina ) ed altre di tipo più propriamente italico ( Cerere e Proserpina ).
Una produzione fittile di qualità minore, qui riscontrata, sembra essere pertinente ad una committenza locale meno esigente. Vennero rinvenute infatti due statue acefale di offerenti, sempre in terracotta, e molti ex voto anatomici era costituito da mani, piedi, teste e mezze teste nimbate di profilo e qualche utero. Tra i gioielli vennero rinvenuti due pendagli d'oro, due anelli d'argento ( uno dei quali recava incisa un'ape ) ed un anello d'oro che sopra un largo castone raffigurava Ercole ( o Teseo ) che doma il toro, afferrandolo per le corna. Vennero recuperate anche una moneta di bronzo romano campana con Apollo al dritto e leone sul rovescio ( 335-312 a.C. ) ed un quarto di oncia con testa di Roma al dritto e prua di nave sul rovescio, con legenda Roma ( 300-268 a.C ).
La maggior parte di questo materiale votivo venne depositato all'interno di una favissa, forse a seguito dell'abbandono del santuario ( oppure per preservarlo dai saccheggi durante le guerre civili). L'arco cronologico nel quale vennero realizzate queste statue è compreso tra la fine del IV secolo a.C. ed il III secolo a.C.
Su uno dei blocchi di peperino superstiti che costituivano il recinto del tempio venne incisa un'iscrizione riportante il nome di una certa Duronia, probabilmente commemorativa della costruzione o del restauro di una parte dell'edificio. Nell'iscrizione dopo il gentilizio Duronia compare il cognomen della donna, forse Pontiana, il quale era seguito probabilmente da un verbo di dedica. Le caratteristiche paleografiche hanno suggerito una datazione al III-II secolo a.C. 5. Il Paribeni propose di identificare questa dedicante con la Duronia riportata in un avvenimento del 186 a.C., la quale volle iniziare il proprio figlio ai misteri bacchici e per questo motivo fu da lui stesso denunciata. Un altro blocco di peperino sagomato costituiva probabilmente la base di un altare o di un'offerta votiva ( forse una statua ).
Desta curiosità notare come il santuario venne ampliato successivamente allo scioglimento della Lega Latina e comunque in seguito alla sconfitta della coalizione latina contro i Romani nel 338 a.C., cosa questa che dimostrerebbe una continuità religiosa della località ancora in epoca repubblicana. Tutto ciò lascerebbe intendere inoltre come il Lucus Ferentinae abbia rivestito in epoca arcaica e repubblicana anche il ruolo di santuario federale dei Latini, alla stessa stregua ad esempio del Fanum Voltumnae degli Etruschi presso Orvieto o del Fanum Vacunae dei Sabini presso Cotilia, e che ciò abbia conferito a questa località un'importanza notevole sia sul piano politico che su quello religioso. E' probabile infine che questa località sia stata scelta come luogo per le riunioni dei Latini a causa della sua posizione centrale rispetto al Latium Vetus. L'ultima attestazione di vita del santuario sembra essere testimoniata da un asse di Augusto del 7 a.C. e da un asse di Claudio del 41 d.C., ed è probabile quindi che l'abbandono dell'intera località del Lucus Ferentinae sia avvenuto agli inizi dell'età imperiale.

 


Note:
(1) C. Mauri, Localizzato a Cecchina il Lucus Ferentinae, in Vivavoce n.72, pagg. 4-5 e C. Mauri, Il Lucus Ferentinae a Cecchina, in Castelli Romani n.2, Marzo-Aprile 2008, pagg. 48-53.
(2) R. Paribeni, Ariccia. Rinvenimento di una stipe votiva, in Notizie Scavi 1930, pagg. 370-380. Secondo il Paribeni il culto di Cerere e Proserpina sarebbe stato importato nel Lazio dai legionari romani durante la prima guerra punica.
(3) Per una descrizione particolareggiata di queste statue, sebbene ancora non si sospettasse che fossero pertinenti al Lucus Ferentinae, si vedano M. R. Di Mino, Archeologia a Roma. La materia e la tecnica dell'arte antica, Roma 1990, pagg. 170-177 e P. Carafa, Le terrecotte figurate della stipe di Ariccia, in Archeologia Classica XLVIII 1996, pagg. 273-294. L'iconografia di Cerere nasce come conseguenza alla sua identificazione con la greca Demetra e risale agli inizi del V secolo a.C., epoca in cui il culto greco di Demetra viene introdotto a Roma.
(4) Venne anche proposto di riconoscere in queste sculture divinità locali a carattere agrario, rappresentate con l'iconografia tradizionalmente riservata a Cerere e Proserpina P. Orlandini, Le arti figurative, in Megale Hellas, Milano 1983, pag. 503.
(5) M. G. Granino Cecere, Epigrafia dei santuari rurali del Latium Vetus, in Melanges de l'ecole Francaise de Rome (Mefra) 104, vol. I, 1992, pagg. 140-143.

Per la rubrica Archeologia - Numero 105 ottobre 2011