Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Castelli mon amour

I grandi scrittori ai

Castelli Romani

Carlo Levi

Ero andato a intervistare Pasolini (1961) nella sua casa romana di via Giacinto Carini. Conservo quel colloquio che mi pubblicò la rivista italo-americana "Virgola", perché da esso nacque un'amicizia ricca di spunti culturali. Ma voglio raccontare un incontro con Pier Paolo ad Albano. Era il 1962. Pasolini mi aveva detto che stava cercando un pezzo di terreno per costruirvi una casa in cui ritirarsi per studiare e scrivere in silenzio. Gli raccontai dell'esproprio subito da mio padre nel nostro fiorente e fertile orto di via dell'Olivella: era rimasta una lunga striscia, ma non volevamo più coltivarla, perché era come una ferita nel nostro cuore di contadini il vedere una strada asfaltata al posto di tanti alberi e viti scomparsi.
Lo scrittore si interessò e volle venire a vedere l'appezzamento rimasto. Per spiegare ai lettori dove si trovava, c'è un riferimento sicuro: poco più giù dell'ospedale San Giuseppe, ma a quei tempi non c'era l'ombra di costruzione alcuna.
Ci demmo appuntamento a casa mia, dove Pier Paolo era già stato una volta, di pomeriggio. Venne con una fuoriserie metallizzata e disse, senza salire su: "Ci aspetta Moravia nella piazza della villa: andremo con lui a vedere la tua vigna".
Salii in macchina e notai che guidava con i guanti. Era la fine dell'inverno. Pier Paolo portava un cappotto grigio; pure Moravia vestiva un lungo giaccone. Lo scrittore romano venne da Velletri con una macchinona dal portabagagli rialzato, che mi fece una strana impressione. Scese dalla sua automobile claudicando (era zoppo, infatti, ma assai alto) e salì su quella di Pasolini, dietro, perché io ero davanti per indicare la strada.
Giungemmo sull'orto "ferito" e Pier Paolo si incantò di fronte a un albicocco gigantesco, che mio padre non aveva mai voluto tagliare sebbene l'albero fosse avaro di frutti, ma bello e viridescente, un simbolo della forza di madre natura.
Era il tramonto. Sul mare si era fermato un disco rosso-fuoco. Moravia esclamò, visibilmente commosso: "Sembra il sole della fine del mondo!". Quella frase ci inchiodò di fronte allo spettacolo straordinario, che si ripete spesso dalle nostre parti, ma che gli uomini, distratti da problemi quotidiani, il più delle volte trascurano di goderlo come se non esistesse affatto.

L'amicizia con Carlo Levi avvenne più tardi, precisamente nel 1965, quando alcuni amici di Albano, legati a lui per motivi ideologici, gli dettero in lettura il mio primo libro di prosa: "Gli ultimi sono gli ultimi" (al quale il grande scrittore fece poi una prefazione quando lo pubblicai con Armando).
Non parlerò degli incontri numerosi che ebbi l'onore di realizzare nella sua casa romana vicina a piazzale Flaminio, ma di un'iniziativa che si concretizzò nei Castelli Romani, precisamente al comune di Ariccia prima e alla scuola elementare di Lanuvio poi.
In quegli anni insegnavo alle scuole primarie delle cittadina che vanta il Parco Chigi. Ebbi l'idea di far commentare dai bambini (penso che fosse una quarta elementare), con disegni a pastelli , in bianco e nero, ad acquerello, il celebre romanzo "Cristo si è fermato a Eboli". Nacque una mostra, che io volevo allestire nella scuola, ma il direttore di allora non fu d'accordo. Così mi rivolsi al sindaco di Ariccia, il quale mise a disposizione il salone del municipio e la serata ebbe un'eco enorme sui giornali nazionali, finendo anche nei "cinegiornali" della Settimana Incom. Carlo Levi era visibilmente lieto, gioioso; rimase poi con noi, un piccolissimo gruppo di amici, ad ammirare le viuzze della cittadina, e specialmente il manto ormai chiaro di luna del grande Parco.
Di ben altra visione era il direttore didattico di Lanuvio: si sentì onorato di accogliere il famoso scrittore (e pittore) nelle aule dell'edificio civitano, dove bambine in grembiule bianco e alunni in grembiule nero accolsero festanti Carlo Levi, coi loro disegni ispirati sempre al suo libro più importante.
Carlo Levi, a cui è dedicata la biblioteca di Genzano, era un uomo solare, olimpico. Tornò spesso ai Castelli, dei quali ammirava (come mi disse un giorno) la particolare luminosità: il suo sguardo di pittore notava quello che a noi spesso sfugge: e ripensai ai grandi paesaggisti dei secoli scorsi, che, come ad esempio D'Azeglio, venivano in questi luoghi splendidi per dipingere i nostri tramonti infuocati e i crepuscoli interminabili.

Un fugace ricordo voglio dedicarlo a Giorgio Saviane, celeberrimo a quei tempi per il romanzo "Eutanasia d'un amore", da cui venne tratto un film di successo. Eravamo dopo il 1980. Ero amico già di lunga data dello scrittore. Una sera mi telefona dicendomi: "Aldo, lo sai che passo ai Castelli Romani? Mi hanno invitato a Velletri per parlare ai giovani... Ti andrebbe di farmi fare una tappa ad Albano per presentare il mio ultimo romanzo?"
Mi misi subito in moto, chiedendo la sala del comune e i manifesti all'allora sindaco di Albano, ma la risposta fu negativa: il tempo era ristretto e pare non ci fossero disponibilità pratiche. Non mi persi d'animo e interpellai Gino Cesaroni, il quale, in un battibaleno, mise a disposizione la biblioteca (allora c'era un salone piuttosto spazioso, che riempimmo di folto pubblico), i manifesti, le locandine e tutte le altre peculiarità necessarie a un incontro del genere. Si affiancò a me Giuliano Di Benedetti. La serata si concluse con una cena offerta dalla rivista "Quadrifogli". Saviane, al colmo del successo di vendite e di critica, in fondo era un uomo assai cordiale. Odiava il fumo. Non sopportava il televisore acceso in trattoria. E, mi piace riferirlo, portava con sé una boccetta di olio di oliva, che versava nel piatto e vi intingeva il pane: il pane di Genzano lo gustò molto e me lo nominò con nostalgia quando, alcuni giorni dopo, per ringraziarmi della bella serata, disse che mi avrebbe aspettato, come ospite, a Punta Ala, ma la mia pigrizia, anche allora che ero giovane, non mantenne la promessa: e di questo mi pento, come mi duole ricordare di non aver trascorso l'ultimo mese di vita del mio grande amico Domenico Rea insieme a lui a Ravello, perché impegnato qui nei Castelli: ma di Domenico Rea, e di altri, parlerò nella prossima puntata.

Per la rubrica Castelli mon amour - Numero 109 marzo 2012