Il giorno 22 marzo 2013, ore 17,30, si e' tenuto a Lanuvio, a cura dell'Archivio Storico Comunale presso Villa Sforza Cesarini, nel Salone delle Colonne, "L'Omaggio a Giacomo Lauri Volpi", con la presentazione del libro di Maurizio Tiberi "Giacomo Lauri Volpi. Un tenore dall'Ottocento" pubblicato con il contributo della Regione Lazio e della provincia di Roma.
Sono intervenuti il Dottor Luigi Galieti, Sindaco del Comune di Lanuvio, il Dottor Alessandro De Santis, Delegato alla Cultura del Comune di Lanuvio e Lara Amici per la Fondazione Italiana per la Musica Antica. Il tenore Matteo Sartini ed il pianista Davide Dellisanti hanno eseguito arie appartenenti al repertorio del grande tenore lanuvino.
A questo punto, avendo avuto occasione di partecipare a vari incontri su artisti operanti in ambito musicale che erano privi della necessaria e gustosa appendice rappresentata dall'esecuzione dal vivo di musiche collegate all'argomento che era in questione, riteniamo opportuno far banalmente notare che la musica prende vita solo nell'esecuzione, al di fuori della quale essa e' muta, a parte la risonanza interiore che si produce nell'animo di chi la conosca per cosi' dire tecnicamente. Quindi e' impossibile amare la musica, ed in particolare quella lirica, senza amare anche gli esecutori.
Di questo amore e' esempio il libro di Maurizio Tiberi, opera assai ponderosa, 691 pagine corredate di molte bellissime fotografie d'epoca, che e' sicuramente costata all'autore molto tempo e molta fatica. Le dimensioni dell'opera sono calibrate sulla lunga e movimentata vita di Giacomo Lauri Volpi (1892-1979) ; l'aspetto letterario piu' notevole dell'opera, a nostro avviso, e' rappresentato dalla capacita' del dottor Tiberi di far parlare i protagonisti con le loro stesse parole attraverso abbondanti citazioni degli epistolari nel caso, ad esempio, di Maria Ros, dell'altro grande tenore discepolo di Lauri Volpi, Franco Corelli, e, nel caso di Giacomo, dei libri autobiografici e di quelli che esprimono la sua vera e propria filosofia del canto. Quindi si tratta di un libro documentatissimo dal quale chiunque vorra' in futuro scrivere su Giacomo Lauri Volpi dovra' e potra' derivare una messe immensa di spunti sia biografici che musicologici.
Per il lettore comune e' persino assicurato il divertimento derivante dal racconto di episodi divertenti ed anche bizzarri che illustrano in tutte le sue sfaccettature il carattere focoso, talvolta imprevedibile del grande cantante sia nei rapporti pubblici che in quelli privati. Impagabile e' la narrazione dello scontro avvenuto a New York fra Lauri Volpi e Beniamino Gigli (come e' noto si tratta dei due giganti della corda tenorile nel periodo tra le due guerre e nel secondo dopoguerra), con Gigli che vola "per le terre" abbattuto da un pugno scagliato dall'irascibile Lauri Volpi. Il punto sul quale ci preme piu' soffermarci e' pero quello suggerito dal sottotitolo : si notera' che l'autore ha scritto "un tenore dall'Ottocento", non "un tenore dell'Ottocento", dizione quest'ultima che potrebbe far pensare ad un artista fermo su uno stile di canto e di recitazione attardati, fuori tempo. Il Tiberi, invece, intende dire che il cantante si rifaceva al tenore di "forza" ottocentesco, o tenore eroico, o, ancora per dirla alla tedesca allo Heldentenor.
La corda eroica infatti veniva raggiunta da Lauri Volpi per mezzo del fraseggio che egli porgeva senza che fosse possibile avvertire scarti bruschi tra un registro e l'altro, della dizione aulica e chiaramente scandita e dell'acciaio splendente degli estremi acuti (il celeberrimo Do di petto si, ma all'occorrenza sapeva eseguire anche un RE bemolle potente, intonatissimo e senza apparente difficoltà ; per avere un esempio chi legge queste righe puo' ascoltare da Internet un "Di quella pira" dove il fatidico Do del tenore lanuvino svetta prepotentemente sull'orchestra e sul coro sostenuto da un fiato lunghissimo e suggerendo l'immagine, bellissima, usata da alcuni musicologi, della "luce bianca" sinesteticamente richiamata del timbro di questo autentico fenomeno vocale che si realizzava senza alcun appesantimento in direzione baritonaleggiante, come invece accadeva e accade a molti artisti meno dotati di lui).
Per quanto riguarda la recitazione si noti anche dalle sole fotografie di scena contenute nel libro di Tiberi come Lauri Volpi sapesse conservare sul palcoscenico una impostazione naturale, senza eccessive fissità statuarie ormai irrimediabilmente incompatibili con il gusto moderno. A tale proposito e' utile un confronto con il pur grande rivale Beniamino Gigli, cantante strepitoso, ma attore molto approssimativo che poteva indulgere ad una fastidiosa (almeno per chi scrive) emotivita' esteriore. Di contro a tale abbondanza di doni vocali c'erano alcuni vizi corrispondenti da dover far risalire anche ai tempi in cui si e' svolta la sua attivita' di cantante, ma anche e soprattutto al suo essere 'un tenore dall'Ottocento", la cui spregiudicatezza esecutiva, da vero e proprio divo della voce, puo' essere utilmente confrontata con il modo di porsi davanti alla pittura di artisti anch'essi grandissimi come Renato Guttuso e Giorgio De Chirico il cui carattere sembrava provenire direttamente dal Rinascimento (vendevano ad esempio copie di quadri gia' eseguiti per diversi committenti). Pero' la spregiudicatezza di Lauri Volpi deve essere considerata anche in rapporto alla sua generosita' nei confronti del pubblico dell'epoca che gli chiedeva bis e magari anche tris delle arie piu' amate, richieste alle quali egli non si sottraeva di certo.
Ora, e' chiaro che eseguire nel corso di una rappresentazione, ad esempio, del Rigoletto, due o tre volte "Questa o quella per me pari sono" e "La donna e' mobile", allungare i momenti finali di un brano senza curarsi troppo dei colleghi e dell'orchestra, significa mandare all'aria la continuita' del flusso musicale e la coerenza drammatica dell'opera. In cambio naturalmente dello splendore incantatorio della voce d'acciaio di chi le cantava. (Una parentesi: la metafora metallurgica che ricorre qualche volta nel nostro discorso e' autorizzata dal linguaggio dei musicologi i quali amano parlare del "bronzo" del baritono e dell'"acciaio" del tenore). Di qui qualche dissapore con Arturo Toscanini per il quale lo spartito era sacro : si doveva eseguire solo quello che il compositore aveva scritto. E' vero pero' anche che Toscanini quando lo riteneva opportuno lasciava la briglia sciolta a Lauri Volpi, in termini di ripetizioni e naturalmente di note sovracute che il tenore lanuvino gli poteva fornire in abbondanza, trattandosi, come durante una trionfale tournee in Germania, di conquistare il pubblico tedesco con le malie del bel canto italiano. Un modo diverso di intendere il canto tenorile si puo' esemplificare con l'ascolto di un cantante attivo in tempi piu' recenti rispetto a quelli del Nostro : Carlo Bergonzi. Questi non aveva doti naturali propriamente eccezionali, ma essendo fornito di una tecnica straordinaria, e di un controllo totale della respirazione che gli consentiva di tenere fiati lunghissimi senza sforzo apparente, si e' imposto al pubblico sfoggiando una notevole correttezza filologica dell'esecuzione e dell'interpretazione (un cantante ideale per un direttore "toscaniniano" come Riccardo Muti).
Quindi, atletismo vocale di Lauri Volpi versus filologismo di Bergonzi? In realta' si tratta di due facce della stessa medaglia, cioe' dell'immensa arte del canto dove c'e' posto per tutto, purche' la legge suprema sia la bellezza musicale. A riprova di cio' si potrebbe pensare ad un confronto tra il tenore lanuvino interprete della parte di Arnoldo nel Guglielmo Tell, impegnato nelle repliche del capolavoro rossiniano realizzate nel 1931, data del centenario della prima esecuzione italiana dell'opera, con la testimonianza discografica lasciataci da Luciano Pavarotti, che molti critici considerano il piu' grande Arnoldo che sia mai esistito, almeno a memoria fonografica. E' evidente che la voce dolcissima di Pavarotti stempera di molto il carattere eroico del personaggio, laddove il timbro come di lama affilata di Lauri Volpi non poteva che esaltare tale carattere, e forse Rossini l'aveva pensato cosi' Arnoldo, dritto e insesorabile come una spada che segue la sua punta. Quindi Giacomo Lauri Volpi interprete ideale del Guglielmo Tell come del personaggio di Calaf nella Turandot, che si dice che Puccini avesse concepito per la sua voce? Ai posteri che pero' siamo noi, l'ardua sentenza.