"Il Museo delle Navi Romane rappresenta se stesso in una lunga sequenza del bel
film d'esordio di Elio Petri"
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Opera prima di Elio Petri, il film racconta la vicenda kafkiana di un giovane antiquario romano, Alfredo Martelli (Marcello Mastroianni), che viene prelevato all'alba dalla sua abitazione dalla polizia e condotto in caserma. Qui, dopo un lungo e surreale interrogatorio condotto dall'enigmatico commissario Palumbo (Salvo Randone), viene accusato dell'omicidio dell'ex amante Adalgisa (Micheline Presle), moglie di un suo caro amico. Per rispondere alla domande del commissario l'antiquario è costretto a riflettere sul suo passato e sui tanti episodi meschini della sua vita. Ricorda anche una gita fuori porta a Nemi in compagnia di Adalgisa e di altre persone, tra le quali Nicoletta, giovane e bella figlia di un ricco industriale, con la quale di lì a poco instaurerà una relazione. Vediamo Alfredo, Adalgisa e Nicoletta con le loro macchine sostare in via del Plebiscito per decidere sul da farsi. Subito dopo siamo di fronte al Museo delle Navi Romane. Si tratta di una lunga sequenza dove si riconoscono sia gli esterni che gli interni del bel museo realizzato negli anni '30 su progetto dell'architetto Vittorio Ballio Morpurgo. Si parla della storia delle due navi dell'imperatore Caligola, ma Adalgisa non perde occasione di punzecchiare con la sua gelosia sia Alfredo che Nicoletta, finché si allontana lasciandolo solo con Nicoletta...
Mescolando con grande originalità la lezione del noir francese e americano con i toni della commedia all'italiana, attraverso un'originale messa in scena fatta di continui slittamenti spazio-temporali, memori anche della contemporanea lezione della Nouvelle vague francese, Petri, più che all'intrigo giallo, sembra interessarsi al ritratto di questo piccolo borghese arrivista e bugiardo, egoista e meschino, che non ha esitato a sacrificare amici e affetti per arricchirsi e migliorare la sua posizione sociale. Un uomo che non è un assassino, perché alla fine il vero omicida confesserà , ma che è certamente colpevole di viltà , indifferenza e cinismo, come lui stesso ammette davanti agli inquirenti, e che alla fine non si redimerà affatto nell'amaro finale del film.
E' già in nuce in questo film d'esordio quella tendenza alla metafora, alla deformazione e al grottesco che diventerà poi una delle peculiarità del cinema di Petri, da La decima vittima (1965) a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970).
L'assassino ebbe diverse noie con la censura per via di alcune sequenze dove il regista denunciava i metodi e l'operato della polizia. Emblematica è in questo senso la sequenza della cella nella quale due finti detenuti cercano con ogni espediente di far confessare l'antiquario.
Nastro d'Argento come migliore attore non protagonista per Salvo Randone.
Le atmosfere grottesche e claustrofobiche del film saranno riproposte anni dopo da Giuseppe Tornatore nel film Una pura formalità (1993).