Tutto sembra semplice: apriamo il rubinetto l' acqua esce ed anche abbondante, qualche problema nella stagione estiva, ma sostanzialmente tutto sembra procedere. Vediamo di verificare, la disponibilità d' acqua in un prossimo futuro, utilizzando i dati resi disponibili nel 2012 dalla Regione Lazio, che ha pubblicato il Piano di Tutela Quantitativa del Sistema Idrogeologico dei Colli Albani: tale piano contiene una previsione della disponibilità della risorsa idrica all' anno 2015.
Il sistema di riferimento è ampio, vedi figura 1, infatti la zona dei Colli Albani dal punto di vista idrogeologico comprende un' area di circa 1500 km2 che si estende a sud di Roma a partire dalla riva sinistra del Tevere e del fiume Aniene fino alle propaggini settentrionali della Pianura Pontina e alle pendici dei Monti Prenestini. Nella zona risiedono circa due milioni di abitanti, il fabbisogno stimato al 2015 per uso idropotabile è pari a 3561 l/s, per uso industriale 2826 l/s e per uso agricolo 1835 l/s, il totale fa 8222 l/s. Ma quale è la disponibilità d'acqua complessiva? Tale quantità non è espressamente dichiarata ma va desunta ricercando i dati tra le righe della relazione tecnica.
La disponibilità ad uso civile, cioè la risorsa ai soli fini idropotabili è valutata essere pari 4236 l/s, sembrerebbe essere tutto in regola: il fabbisogno è inferiore alla disponibilità , ma rimane irrisolto un problema, l' acqua per uso industriale ed agricolo da chi viene fornita? I dati vanno cercati, scorrendo la relazione tecnica si rileva che per uso industriale il volume richiesto in concessione è pari a 2592 l/s. Più avanti viene riportato che, per gli usi agricoli, dagli archivi regionali e provinciali risultano censiti 6384 pozzi per una portata media pari a 2047 l/s. Il tutto è di più immediata comprensione se riportiamo i dati in una tabella riassuntiva (vedi tabella 1).
Il primo risultato sembra confortante in quanto il fabbisogno dichiarato è inferiore alla disponibilità con un margine dell' 8%, ma nella valutazione non sono considerate le perdite d' acqua attraverso le linee di distribuzione, tale valore può essere assunto come pari al 30% (Legambiente rapporto 2012). Se nei calcoli teniamo conto anche della dispersione in rete per le acque ad uso idropotabile, otteniamo che il deficit idrico è pari a 415 l/s che tradotto in un numero di più immediata comprensione è pari a 13 milioni di metri cubi per anno.
Un' ultima considerazione se valutiamo i contributi percentuali risulta che l'utenza per usi civili (uso idropotabile) è pari al 43%; mediamente in Italia tale consumo è pari a circa il 20%: ciò evidenzia la vocazione del territorio che non è né agricola, né industriale ma fortemente residenziale.
Questo lo scenario descritto dalla Regione Lazio, poi più avanti sono riportate alcune considerazioni su come intervenire, si auspica un potenziamento del 10% delle dotazione ad uso idropotabile, ma l' acquedotto del Simbrivio, che alimenta parzialmente la zona (vedi figura 2), ha realizzato una riduzione di fornitura pari a circa il 35% tra il 2005 ed il 2012, più precisamente da 622 l/s (dati Ato 2 del 2005) a 419 l/s (dati desunti dal piano di tutela quantitativa del 2012).
La Regione Lazio, individua, quindi, altre azioni per riequilibrare il bilancio idrico, i possibili campi di intervento riguardano: la riduzione del prelievo dalla falda mediante l' adduzione di acque da aree esterne al sistema idrogeologico, la riduzione delle concessioni, il risparmio idrico. Se non si interverrà rapidamente probabilmente assisteremo all' apertura di nuovi pozzi che distribuiranno acque con scadenti caratteristiche qualitative che ne limitano l' utilizzo per la presenza di arsenico e fluoruri. L' azione dell' arsenico, uno degli elementi più tossici presenti in natura, sulla salute umana è più nota, meno conosciuta quella dei fluoruri.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) classifica i fluoruri nell' acqua come un inquinante chimico inorganico di provenienza naturale e, oltre determinate concentrazioni (1,5 mg/l), risulta di comprovato effetto dannoso per la salute. Il limite di legge per il fluoruro scaturisce da opposte considerazioni: sicuramente non procura alcun effetto dannoso al di sotto della concentrazione di 1,5 mg/l, anzi una concentrazione di fluoruro troppo bassa non è auspicabile. Il fluoruro presente nelle acque potabili infatti si rivela particolarmente attivo nella prevenzione delle carie e nella riduzione della frequenza delle fratture ossee. Tuttavia, elevate assunzioni di fluoruro in forma cronica possono determinare effetti negativi sull'uomo come la fluorosi dentaria, l'osteosclerosi e danni al sistema nervoso.
La fonte principale di inquinamento, quindi, delle acque da fluoruri non è di origine industriale, bensì naturale, per la presenza dei composti del fluoro nelle rocce ignee, granitiche e sedimentarie che, a contatto con l'acqua, ne arricchiscono il contenuto in fluoro. Le acque naturali più soggette a contaminazione sono quelle sotterranee che, a causa di fenomeni di lisciviazione e solubilità delle rocce si arricchiscono in ioni fluoruro, in relazione anche alle condizioni ambientali e alle caratteristiche del sottosuolo. Trattandosi di un fenomeno naturale, non può essere eliminato e può costituire un problema se non esistono alternative per l'approvvigionamento a scopo potabile. Si rendono, quindi, necessari trattamenti di rimozione: i trattamenti cosiddetti "convenzionali", adottati a varia scala, comprendono processi chimici di precipitazione, e/o processi unitari quali lo scambio ionico, processi su membrane e l' adsorbimento su materiali naturali.
Le attuali tecnologie di rimozione si basano fondamentalmente sull' osmosi inversa (processo su membrane) e sullo scambio ionico che presentano, però, diverse problematiche. L' osmosi evidenzia svantaggi connessi con una elevata spesa energetica ed elevati costi di installazione e conduzione, lo scambio ionico, invece, mostra una scarsa selettività verso lo ione fluoruro e problemi connessi con la competizione tra gli ioni da rimuovere. Le vie più promettenti per il trattamento di acque a contenuto medio-elevato di fluoruri, arsenico, manganese, vanadio utilizzano, invece, la tecnologia dell' adsorbimento su supporti costituiti da materiali naturali (bauxiti e materiali pozzolanici) e scarti dell' industria agroalimentare (fondi di tè e caffè): tecnologie, quindi, a basso costo.
L' impiego di questi materiali potrà in futuro probabilmente risolvere il problema dell' eliminazione contemporanea di inquinanti presenti (arsenico, fluoruri, manganese e vanadio) nelle acque sotterranee nelle zone vulcaniche che oggi devono essere trattati con procedimenti specifici per l'abbattimento di ogni singolo elemento, infatti la tecnologia attualmente disponibile non rende disponibile un unico processo per l' eliminazione contemporanea di tali inquinanti.
Sembra non esserci una soluzione, la Regione Lazio individua, onestamente, come azione di risposta al problema un risparmio idrico indicato tra il (20 ed il 40)% mediante un rapido miglioramento delle tecnologie di distribuzione, probabilmente non sa come finanziare l' operazione. A questo problema viene in aiuto la Comunità Europea che ha proposto a fine 2013 un programma di ricerca ed innovazione denominato Horizon 2020 () che rende disponibili per il periodo 2014-2020 cospicue risorse (36,1 Bilioni di euro) per le "Sfide sociali", ricomprendendo nel settore anche l' efficienza delle risorse. Requisiti per la partecipazione: validità del progetto, tre partner europei ed il rispetto della scadenza per la proposta che è aprile 2014.