Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Cucina ai Castelli

Le ricette dimenticate della tradizione castellana

Venivano da Roma a frotte. Li riconoscevi dai modi, dai vestiti, dall'accento. Impiegati, operai, pensionati e tutta la varia umanità del ceto medio. C'era anche qualche sporadico rappresentante dell'aristocrazia decaduta: conti e baroni senza terra e "con le pezze al culo" che si facevano sodali del popolo per condividere con esso attimi di gioia. Ma anche da Tivoli, Pomezia, Bracciano, Aprilia.
I Castelli erano sentiti e vissuti come l' eden del Lazio e la gita fuori porta era una sorta di liturgia domenicale seconda solo alla santa messa. La gente era attratta da qualcosa di ineffabile che andava oltre il mangiare e il bere, fatto di clima, aria buona, atmosfere conviviali preparate da persone semplici e smaliziate, cuoche grassocce dal mattarello esperto, osti bonaccioni con un repertorio di storie da raccontare, sempre quelle ma sempre un po' diverse.
Ma era la buona cucina il fulcro poderoso che muoveva le masse. Anche il vino, certo che ..."è meglio de lo champagne" ... come cantava il poeta. Il frascati, il cesanese, le romanelle, il cannellino... la carta dei vini era tutta qui, ma nel Lazio non c'era di meglio. Ma il menù dei piatti no, quello era di tutto rispetto e il ristorante "Castelli romani" considerato nel suo insieme offriva davvero l'imbarazzo della scelta; oltre alle ricette tipiche della cucina romanesca, spesso di impronta giudea o perfino rinascimentale, potevi trovare specialità locali della tradizione contadina e, non di rado, prodotti peculiari di una antica economia silvana praticamente scomparsa: funghi, lumache, erbe selvatiche dal gusto esotico, cinghiale, istrice, tordi e beccafichi.
Ora i romani vengono per la porchetta, fatta con i maiali spagnoli, e la mandano giù con le romanelle dell'era globale, cioè oscene pozioni di simil-vino gasato e zuccherato.
Allora la cucina si muoveva con ritmi atavici. Le carni marinate il giorno prima, speziate con cura maniacale, stufate per ore ed ore; le trippe bollite fino al burro e i sughi lungamente sobbolliti. Le fettuccine alla "sgnazzicaculo" cioè fatte a mano, ordite alla maniera ciociara cioè spesse e un po' callose, condite con i regagli di pollo (il quinto quarto avicolo) era uno dei primi più gettonati. Lo strutto era il re degli ingredienti accessori fino a quando l'ossessione salutista non lo ha condannato all'esilio... ma le patate, fritte o al forno non sono più quelle di una volta.
Ai bei tempi le minestre occupavano mezza pagina della lista dei primi, dai quadrucci in brodo coi piselli, alla zuppa di broccoli e arzilla al minestrone e alla stracciatella, tanto per cominciare. Il seguito del menù poteva essere molto variegato, anche di pietanze sfiziose e insolite, quelle che non ti va di preparare in casa e perciò vai in trattoria. Quindi ordinavi volentieri fritto di cervello e animelle (ah le mucche di allora...senza grilli per la testa!), seppie in umido coi piselli o i carciofi, stufato di manzo garofolato,spezzatino a la picchiapò, frittata con asparagi selvatici e poi borragine e ramoracce con o senza patate , fave col guanciale, indivia con le acciughe, parmigiana di cardi...e via dicendo.
Spesso si tornava in quella trattoria per assaggiare il resto del menù particolare, ed era così che gli osti fidelizzavano i clienti: prendendoli per la gola. Oggi la litania sciorinata dal cameriere sbarbatello ( e rigorosamente precario ) è quasi sempre la stessa: antipasto misto di salumi e formaggi, carbonara, amatriciana, bistecche, braciole, salsicce, insalata ,patatine .... e poco altro. E' grasso che cola se trovi la trippa e la coda alla vaccinara!
Ma Romolo e Teresa, pensionati attempati e nostalgici, non si rassegnano alla decadenza culinaria del XXI secolo e cercano in tutti i modi di mantenere i contatti con quelle realtà gastronomiche castellane che hanno vissuto felici nel dopoguerra ai tempi di "pane, amore e fantasia". .
è domenica. Al quarto piano, in un appartamento dell'Appio Claudio è quasi l'ora di pranzo...
- A Terè , che ne dici d'annà a magnà a li Castelli?
- Andò volessi annà Romolé?
- Potressimo annà a Frascati da Cacciani che fanno er padellaccio der pastore che è la fine der monno
- Seeee...cor colesterolo che t'aritrovi sarebbe un suicidio
- Allora potressimo annà a la Locanda dei castelli a Rocca de Papa a fasse n'piatto de sfogatelli che è tanto che nu li magno
- Ma che stai a di'.... Ancora nun è tempo de sfogatelli.
- Mmmhh... te andrebbero du tordi dai Cacciatori a Genzano?
- Mamma mia Romolé, che core ci'hai a magnatte quelle pore creature de Dio!
- Allora che ne dici de Sora Rosa a Arbano, so che fanno ancora le lumache.
- Aridaje co ste lumache....ma nun te ricordi che nun le digerisci?
- Allore potressimo annà...
- A Romolè vié a tavola che te se fredda er semmolino!

 

Per la rubrica Cucina ai Castelli - Numero 120 aprile 2014