Rovistando tra i ricordi e frugando tra gli scaffali delle nostre biblioteche, abbiamo rinvenuto alcune pagine belle e interessanti sul Natale, così come si usava festeggiarlo tanti anni fa ai Castelli Romani.
Abbiamo pensato di pubblicarle, sperando di fare cosa gradita ai lettori, per restituire l'atmosfera passata, senza pensare che oggi la festa di Natale non sia altrettanto bella, ma per tramandare una memoria che altrimenti andrebbe perduta.
Abbiamo scelto due brani dalla rivista "Castelli Romani. Vicende - Uomini - Folklore". Il primo è tratto dal mese di Novembre-Dicembre 1985 ed è una riflessione dell'attore Tino Buazzelli. La seconda dal numero di Novembre-Dicembre 2005 e qui lo scrittore e poeta Ugo Zampetti ricorda il presepe di tanti anni fa.
A questo punto non mi resta che augurarvi buona lettura...
Tino Buazzelli
Il Natale è festa della prima famiglia, della prima casa, della giovinezza e per la nostra generazione, nata povera e non consumistica - oltre a conservare intatto il valore religioso, sottolineato dai piccoli presepi fatti da papà - era un'occasione per rompere la grande e generale dieta a cui ci obbligava la secolare miseria e per lasciarsi andare come Tantalo che finalmente riusciva a vincere la sua condanna! Ed allora, unendo le forze d'un anno di risparmi, sopendo i rancori che esistono anche tra parenti alla legge d'un amore di breve durata, ci si trovava in quelle messe di mezzanotte, cariche di catarro e di sonno, e poi, sulle piazze con l'odore di caffè corretti al mistrà , ed infine intorno a quei tavoli coperti con la tovaglia più bella del corredo da sposa della nonna, nelle case fredde, a sentire piano piano l'idea d'un poco di benessere, ad illudere il nostro destino.
E questi sono stati e saranno sempre i Natali più belli. E sono andati, come i grandi di quel tempo. Perduti! La memoria, pericolosa nemica, ce li riporta sempre con ricchezza d'immagini, lampi di vita consumata, e ci accresce la tristezza che ogni dicembre porta con sé... In sostanza, sono i morti che tornano in questo momento dell'anno e la fanno da padroni e tu, non puoi, non vuoi scacciarli via. Perché essi ti donano la tua immagine di fanciullo e due grandi occhi spalancati su una specie di amore che nella tua vita non hai mai più avuto. E le piccole cose di quelle case modeste, ed i vetri appannati della finestra e Gesù Bambino a braccia aperte e la sicurezza che essi erano per te.... la tua difesa! Ecco cos'è il tuo Natale... E come puoi rinnegarlo? Trasformarlo? Adattarlo ai Natali d'oggi?
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Tino Buazzelli, dopo aver conseguito il diploma dell'Istituto Magistrale, studiò all'Accademia d'arte drammatica, diretta da Silvio D'Amico, dove conseguì il diploma nel 1946, e iniziò la carriera di attore teatrale nel 1947 con la compagnia Maltagliati-Gassman, ottenendo subito ottimi giudizi critici nelle sue interpretazioni di lavori teatrali quali Don Giovanni di Molière, Erano tutti miei figli di Arthur Miller, Casa Monastier di Dennis Aniell e L'aquila a due teste di Jean Cocteau, prima di diventare capocomico.
Dotato di una dizione perfetta e inconfondibile e di un timbro di voce caldo e armonioso, Buazzelli seppe trarre partito dal contrasto tra la sua stazza ingombrante e l'eleganza del gesto e della parola per creare un tipo umano insieme vigoroso e ombroso, a tratti sognante, capace di passare naturalmente dal comico al drammatico.
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Eugenio Zampetti
Il ricordo più remoto che ho del presepe risale a quando avevo, credo, quattro o cinque anni appena e, a Natale, ammiravo il piccolo presepe, realizzato da nonno e papà , sullo scrittoio della mia casa natìa, in via dell'Anfiteatro Romano al n. 1. ad Albano. Non c'erano le luci né i colori dei presepi di oggi, ma soltanto realizzati in casa; abbondava il vellutino, raccolto, come un fiore, nella ombrosa e fresca macchia mediterranea sovrastante il lago Albano. Per raffigurare le stradine di Betlemme si faceva uso della segatura del legno racimolata nella bottega del nonno, bottaio da generazioni: non c'era allora la carta-roccia "commerciale" che invece veniva preparata in casa verniciando di verde e marrone i sacchi di carta della farina; con le "cantinelle" di legno venivano impostate le impalcature del presepe; sui sacchi di iuta si incollava con il "vinavil" qualche rudimentale scenario; un modesto antico foglio di azzurra carta stellata (sempre il medesimo, ogni anno) faceva infine, da cielo all'artigianale presepe, popolato da vecchi pastori di cartapesta. Ricordo, a tal proposito, che un volta feci cadere un pescatore nella bacinella raffigurante il laghetto e trovammo poi la statuina tutta disciolta nell'acqua! Lascio immaginare la reazione dei miei... All'Epifania, dopo la magica notte della Befana, con la calza (quella vera con i rattoppi) colma di caramelle, mandarini, biscottini, e, immancabili, cenere e carbone della stufa, i Re Magi, che con molta cura venivano collocati davanti a Gesù Bambino, completavano l'attraente atmosfera del Presepe.
Il giorno dopo tutto veniva riposto con molta cura nello scatolone di cartone incartando una per una tutte le statuine, riponendo il tenero vellutello e l'azzurro cielo della carta stellata.
Ben più imponente si presentava il presepe della Chiesa della Madonna delle Grazie. Ricordo quei luminosi e grandi scenari che simulavano il deserto con i grandi cammelli (opera del tanto caro Prof. Marcello Borelli) e le statue della grotta della Natività di dimensioni per me giganti, con i pastori e i due zampognari, uno a destra ed uno a sinistra, che facevano da "pilastri.
Ricordo che papà aveva l'abitudine di comprare ogni anno una statuina nuova e durante i mesi invernali, terminata la giornata di estenuante lavoro nella bottega delle bottai, si dedicava a costruire casette, lampioncini, ponti, staccionate, piccoli paesaggi, per il presepe del prossimo anno. Quegli erano gli anni in cui era di grande attrazione, per noi della zona, il presepe della Chiesa della Madonna di Galloro in Ariccia. Cominciavano a comparire i primi effetti speciali: le statuine che "camminavano", il ruscello e la cascata, il fuoco, il fumo e la pentola che bolle! Veramente singolare era il modo in cui i Fratelli di Galloro realizzavano il fuoco: un semicono rigido con sopra parzialmente incollato un leggero foglietto di carta velina; il tutto adagiato al di sopra di una lampadina che con il sue calore faceva muovere la carta velina proiettando questi leggeri tremolii luminosi su un soprastante foglietto di carta rossa dando proprio l'impressione di un focherello!
A poco a poco imparammo anche noi a rappresentare quegli effetti speciali e così ogni anno il nostro presepe diveniva più colorato e più sonoro...
Già i sacchi di iuta non esistevano più e la carta-roccia commerciale con gli sfondi paesaggistici decoravano ogni anno ulteriormente il nostro presepe!
Gli anni passavano, la tradizione rimaneva...
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Eugenio Zampetti, nato ad Albano Laziale nel 1954, è Pediatra ospedaliero. Ha collaborato al mensile "Il Cooperatore Paolino" e, episodicamente, a vari organi di stampa. Sue sillogi poetiche: "In viaggio", Empoli 1992, "Crepuscolo", Roma 2004. Fra le varie opportunità , segnaliamo la sua partecipazione all'antologia "Poesie per Karol", ampia raccolta di liriche e brani ispirati al "Transitus animae" del grande Pontefice Giovanni Paolo II (fra gli autori: Maria Luisa Spaziani, Giulio Panzani, Igino Creati, Massimo Dapporto, Anna Manna, Aldo Onorati ecc). Gli sono stati conferiti importanti premi in vari concorsi nazionali.
"Paesaggi d'amore", Roma 2012, ci offre una lettura su due piani diversi e speculari ad un tempo: l'amore desiderato e quello compiuto. Il dettato poetico di questo autore dai sentimenti delicatissimi, non è un inno astratto a quella passione che tutti ci ha coinvolti almeno una volta nella vita. E' l'attesa e insieme la partecipazione emotiva al più antico e universale dei sentimenti, ispiratore degli scrittori, dei musicisti, dei pittori: insomma, dei creativi in genere.