“La vita cammina in modo semplice e chiaro nei boschi di castagno ceduo”: anche le parole di Maria Pia Santangeli procedono con chiarezza e ci conducono, immediatamente, in luoghi e tempi vissuti nei pressi di una grande guerra mondiale, l’ultima, che ha maciullato corpi e case (alla fine, anche ai Castelli)… insieme ai sentimenti, ai ritmi, che quanti non hanno conosciuto vogliono scoprire ed indagare.
Rumori di oggetti e voci di persone si incontrano, nella lettura, con vestiti, tascapani e copelle, creando scene di vita: la loro efficacia è indubbia, perché se ne sentono gli odori. E quasi si torna bambini, recuperando il gusto per le storie e la curiosità per i particolari: dettagli che entrano con forza descrittiva dentro il lettore.
Canti ed aneddoti si inseriscono naturalmente nella narrazione, rifuggendo da spiegazioni dal sapore didattico tendente al nozionismo: è la vita, appunto, che prevale e “si” racconta. Ed è il pregio di questo libro: la terza persona, usata dall’autrice, scompare dietro i gesti, i passi e tutto è un susseguirsi di immagini. Torna alla memoria quello che Calvino, nelle sue Lezioni americane, definisce “cinema mentale”: quante volte ci capita? Di essere registi, noi stessi, nel momento della fruizione di un testo, con la complicità quasi familiare di chi l’ha prodotto. Rapidità, esattezza e visibilità sono alcuni dei valori letterari “da salvare” nel millennio che ora stiamo attraversando: mi pare che Calvino avesse ragione; anzi ne sono convinta. Scrivere di tradizioni popolari oltrepassando limiti didascalici è una sfida ben riuscita: a monte, la passione e il lavoro “per” e “con” le parole; ma non sarebbe male aggiungere “sopra”, considerando la parola un vero e proprio corpo, al quale chi scrive dà forma, faticando; viene in mente, ora, l’apertura a bocca di lupo, che bisogna essere bravi a creare nel tronco di un albero, con l’accetta, se si deve tagliarlo…
Certo che questi boscaioli, carbonai e mulattieri “brontolavano” dentro la scrittrice! Avevano ragione: volevano raccontarci il come e il perché dei loro lavori stagionali, inframezzati da poche e brevi pause durante il giorno che, per qualcuno, finiva “nel buio vasto silenzio del bosco”.
Maria Pia Santangeli, “Boscaioli e carbonai nei Castelli Romani”, Edilizio, Roma, 2005