RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Pepite

Le parole “vive” di Maria Teresa Pellegrini Raho possono giocare, nascondere, svelare...

Intervista a Maria Teresa Pellegrini Raho

Lei ha scelto la poesia come mezzo di comunicazione artistico. Come è nata questa scelta?

Non posso dire di aver scelto la poesia per comunicare artisticamente, quando ho iniziato ero una bambina e poi un'adolescente e, come per molte adolescenti, il verso o meglio la scrittura - per me si trattava semplicemente, appunto, di scrivere, - era il gesto, l'azione in grado di raccontare in un ritmo tutto mio, i sentimenti tipici di quell'età. In fondo la narrazione e la parola poetica rendevano accettabile, sopportabile, se vogliamo la grande potenza delle emozioni che vivevo, spesso impossibili da spiegare. Naturalmente, per quanto riguarda la scrittura poetica, si penserà che le prime poesie fossero poesie d'amore, per me non fu solo così, gli anni settanta furono ricchi di esperienze sociali, anche dolorose, scrivendo cercavo di cogliere un'altra lettura dei fatti possibile per non sentirmi sconfitta. Nella scrittura potevo gridare il mio sdegno, la ricerca di giustizia, il mio desiderio e certamente anche il mio estremo bisogno di comunicare, nel modo che mi riusciva più semplice e immediato, che fosse arte o meno. Scrivevo per esempio, molte lettere di protesta ai giornali per commentare articoli che mi sembrava fossero falsi e ingannevoli, anche semplicemente sull'uso strumentalizzato delle parole.

Lontanissima da me allora, l'idea o la pretesa di essere poeta. La scrittura/poesia ha poi bussato alla mia porta con sempre maggiore forza e l'ha aperta senza chiedere il permesso. Posso solo esserne grata. Naturalmente ho un grande rispetto per le parole, ne sento la densità e la ricchezza ma proprio perché su di esse si gioca anche tanta ambiguità e strumentalizzazione, come dicevo, le tratto con delicatezza e attenzione, non mi piace che vengano svilite, svendute per ingannare e confondere.

Le parole sono "vive", come gli essere viventi possono giocare, nascondere, svelare, arrotolarsi nei significati... possono esser timide o forti o... insomma si capisce facilmente come sia difficile trattarle, ma se le si ama è tutta un'altra cosa.

Così come la penna e i fogli, anche matite tele e pennelli (per rispondere alla Sua domanda riguardo alle diverse forme d'arte che mi appartengono) vivono con me da sempre con una semplicità e una gratuità che mi commuove. Attraverso la pittura, spero ogni volta di riuscire a far parlare non solo le immagini ma anche i colori dell'Anima, sebbene quest'ultima rimanga in gran parte un mistero. Si rinnova in questi diversi linguaggi, l'intensità con cui sento la vita, insieme allo stupore per ciò che ogni giorno si rivela dall'alba al tramonto. Non per questo vivo astratta dalla realtà, come spesso si pensa delle artiste o degli artisti, al contrario la realtà ci appartiene e ci possiede al punto che ne cogliamo aspetti sottilissimi e ne percepiamo sulla pelle le tensioni, le lacerazioni e i conflitti portandoli, attraverso parole e segni, alla consapevolezza più ampia possibile.

Certo mi fa piacere sapere che, chi ascolta le mie poesie o vede le mie opere pittoriche, arriva a sentirle come appartenenti alla propria storia o al proprio mondo interiore, aprendo così nuovi squarci nella multiforme comprensione della realtà.

Per rispondere alla domanda sul perché si ha bisogno di scrivere, riporto una mia riflessione in forma di prosa poetica

Spesso ti viene chiesto: perché scrivi?

Perché si scrive e si ama la scrittura come fosse un'amante? Non ci sono risposte definitive o uguali per tutte e tutti coloro che scrivono.

Si scrive per amore, per solitudine,

per troppe parole che escono dal cuore che

se rimanessero tutte dentro lo farebbero scoppiare.

Si scrive per camminare,

per fare un pezzo di strada

in compagnia di fantasmi immaginari,

per fermarsi a riposare, per sognare,

per perdere quel troppo d'anima che se rimanesse dentro

provocherebbe solo disastri.

Si scrive per far scorrere quel fiume di pensieri che passa per le mani

Per fermare la tempesta delle paure

Ed i terrori delle notti.

Si scrive

Per guardare negli occhi chi legge, saltare dalle pagine e correre

Nel vento per acchiappare le emozioni

Che, dispettose, ti fasciano i fianchi

Le sue prime due opere sono state definite "esistenziali". In che senso?

L'Esistenzialismo è stato una corrente filosofica molto importante che ha segnato le radici del novecento. Ricordo che perfino al Liceo ci fu qualche insegnante che definiva i miei temi "esistenzialisti"; per quanto riguarda le mie poesie o i miei scritti, chi le definisce oggi esistenziali o esistenzialiste credo si voglia riferire al punto di vista da cui parto per guardare alla vita e alla sua complessità, all'ambiguità, alla drammaticità' ma anche all'estrema bellezza che percepisco in essa, alla sua inspiegabilità, per cui non serve la logica ed il ragionamento pur essendo allo stesso tempo oggetto di una continua e instancabile riflessione.

Per quanto mi riguarda provo inoltre un intenso sentimento di appartenenza alla mia Terra, al Cosmo, a quest'intreccio di stelle, pianeti, ritmi suoni che il frastuono quotidiano e la sottomissione alla divorante logica del profitto e dell'accelerazione, spesso impedisce di godere nella loro totale bellezza. Così rischiamo di perdere i messaggi che questo nostro Universo ci vuole porgere per farci vivere un'esistenza, appunto, consapevole.

In questi giorni si svolge a Milano L'EXPO dal tema "nutriamo il pianeta" senza nulla togliere al significato che si è voluto dare a questa definizione, avrei detto o meglio gridato: "Il Pianeta ci nutre!" Ricordiamolo, agiamo di conseguenza. Non ci potrà essere vita nel futuro senza questa consapevolezza e conseguente rispetto.

Ci parla della sua ultima opera "Il Nodo alle Radici?"

Il "Il Nodo alle Radici" prende l'avvio, come dice il titolo, dal legame intenso con la mia terra d'origine, la Calabria. Il testo inizia proprio dal dolore che ho provato da bambina perdendo, nell'emigrazione, la mia casa paterna e il mondo ricco di fascino e di mistero in cui vivevo immersa. Ma non è solo autobiografico. Il testo è una raccolta di poesie e vi sono al suo interno quattro racconti brevi molto diversi tra loro. La molteplicità di registri narrativi lo rende in qualche modo complesso pur nella sua apparente semplicità e linearità. Nelle presentazioni che ho fatto l'ho voluto dedicare alle bambine, a partire dalla poesia che conclude la raccolta. Dedicato a chi oggi, nell'intero pianeta, trasversalmente, non importa se nel mondo occidentale o nei paesi più poveri, vive le condizioni più difficili e le violenze più grandi. Certamente questo è tanto più evidente nei Paesi in cui le bambine vengono date come spose, già dagli otto anni, a uomini molto anziani, o dove vengono uccise ancor prima di nascere o vendute per la prostituzione...o assoggettate alle mutilazioni genitali ... o non possono andare a scuola. Ma non vorrei che ci illudessimo sul nostro occidente civile, dove in altro modo si gioca sui corpi, non solo delle donne adulte ma anche delle bambine. Ho difficoltà a parlare più a lungo del mio libro perché so che ogni lettrice o lettore avrà un suo modo personalissimo di leggerlo, ascoltando a partire dal proprio punto di vista e dal proprio vissuto.

In che cosa si differenzia la poesia di una donna dalla poesia di un uomo?

Per quanto riguarda la Sua domanda sull'eventuale differenza tra poesia femminile e poesia maschile credo che sia opportuno farne oggetto di un discorso più ampio che magari rimandiamo ad un prossimo incontro. Necessita infatti di una riflessione che comprenda elementi di storia sociale e di cultura, di tradizioni. Il primo poeta della storia è stata una donna: Enheduanna, (2300 a.C.) principessa sumera e sacerdotessa della dea Inanna (la Ishtar semita).... Eppure, lo si sente mai dire? D'altra parte tutto ciò che concerne l'arte, la letteratura, la filosofia, le scienze praticate da donne, sono state per secoli occultate. Ecco perché credo che un tema del genere, e "di genere" abbia bisogno di un tempo e di uno spazio più ampi. Questo tema è stato oggetto di un mio progetto realizzato tra il 2008 e il 2009 - durato infatti diversi mesi - grazie alla disponibilità ed alla collaborazione dell'allora assessore alla Cultura di Monte Porzio Catone, il prof. Renato Santia. Un lavoro impegnativo che, chissà, potremmo riprendere tenendo conto di ciò che oggi stiamo vivendo a livello culturale su questo aspetto.

Lei ha origini calabresi. Che cosa l'ha mossa verso i Castelli Romani?

La Calabria, in particolare quella parte di Calabria dove sono nata, posta poco all'interno della costa jonica, ai piedi delle Serre, dove si passa dalle spiagge strette su cui cadono le colline di macchia mediterranea e distese di oliveti, ai resti della civiltà della Magna Grecia, che in alcuni punti sono ancora immersi in quel mare blu profondo, alle salite repentine verso la montagna passando dai castagni alle querce e agli abeti che aprono la strada verso la Sila innevata...

Questa Calabria mi abita con una intensità che ogni volta mi provoca un nodo in gola di nostalgia e desiderio.

Quando ci siamo trovati a cercare casa eravamo abbastanza orientati nella zona dei Castelli Romani, dove vivevano già delle famiglie amiche, vi era il luogo che avevamo scelto per la nostra ricerca spirituale, il Centro di s. Maria dell'Acero gestito dalle suore Apostoline ma, a convincermi a scegliere definitivamente in quel momento, è stata la grande emozione provata entrando nel piccolo giardino di quella che sarebbe diventata la nostra nuova casa a Lariano, vedere le magnolie, gli olivi e un fico, alberi presenti anche nella mia casa in Calabria, ricordo che li abbracciai con un forte sentimento di gratitudine. Poi i boschi di castagni, il Maschio di Lariano, il verde intenso e ricco, i profumi che tanto assomigliavano a quelli della Calabria; Poi il paesaggio che dalla Pianura Pontina, portava lo sguardo fino al mare, il Circeo... i tramonti di fuoco - ineguagliabili - beh! Cos'altro si può dire? Eccomi qua con tutta la mia famiglia! Patisco quando vedo trascuratezza, sporcizia, rifiuti di metallo o calce emergere dal verde dei boschi o ai lati delle strade. Patisco e mi chiedo fino a quando?

Quale valore ha oggi la poesia, forma superiore di scrittura in una società tecnologica dove tutto il nostro leggere è ormai digitalizzato, appiattito, pubblicizzato?

Si è vero, viviamo in un mondo altamente tecnologizzato e la comunicazione sembrerebbe non avere bisogno della "narrazione" che sia prosa o poesia. In realtà siamo ancora umani e dunque abbiamo cuore, emozioni, sentimenti, religioni, senso del sacro, senso della vita, filosofia... abbiamo cioè tutto ciò che serve alla poesia e alla narrazione, dunque: continueremo a narrare storie nelle notti di luna piena, a cantare le parole con ritmi profondi, a cercare la musica nei luoghi più improbabili perché anche senza saperlo o volerlo siamo ritmo, canto, suono, vibriamo con l'universo intero e finché sarà così, la poesia non potrà finire.

Vedo anzi crescere la sensibilità, seppure spesso sommersa dal frastuono che ci viene imposto ma da cui ci possiamo liberare, ognuna ed ognuno nei modi più appropriati alla propria crescita.

Non sono un'ottimista a tutti i costi, quindi vedo bene le difficoltà in cui oggi si trovano due elementi fondamentali per la poesia: "il silenzio e l'ascolto" - tra l'altro ne parlo in uno dei racconti del mio libro - ma dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti che abbiamo per sostenerne la riscoperta. Le Biblioteche sono un supporto indispensabile per tale compito. Ecco una realtà di cui andare orgogliosi. Ho visto molte biblioteche, oltre a quella di Lariano che frequento abitualmente, avere una buona presenza di giovani e non solo, che fa ben sperare.

La tecnologia può anche aiutare e inserirsi, umilmente e senza arroganza, tra gli strumenti che ci faranno sempre più consapevoli e protagonisti, nel nostro territorio, nel mondo e nel momento storico in cui ci troviamo a vivere e ad agire.


Poetessa, scrittrice, pittrice, Maria Teresa Pellegrini Raho un punto di forza della cultura dei Castelli Romani, della loro versatilit. Le sue poesie sono i sentimenti e le emozioni che traboccano dall'anima con forza indomabile. Nata in Calabria, vive da molti anni a Lariano, l'abbiamo intervistata per conoscere meglio la sua opera.

Per la rubrica Pepite - Numero 128 febbraio 2016