Secondo una tradizione, che non abbiamo nessuna ragione di rigettare, Roma fu fondata da coloni di Alba Longa, una città situata sulle pendici dei Colli albani, sopra il lago e la campagna. Quindi se i Romani si vantavano di essere rappresentanti o incarnazioni di Giove, il dio del cielo, del tuono e della quercia, è naturale supporre che i re d’Alba, da cui il fondatore di Roma tracciava la sua discendenza, possano aver accampato lo stesso vanto prima di essi. Ora la dinastia di Alba aveva il nome di Silvi, e difficilmente può essere senza significato che, nella visione delle glorie storiche di Roma rivelata a Enea nell’oltretomba, Virgilio, che era poeta e archeologo a un tempo, rappresenti tutta la stirpe dei Silvi incoronata di quercia. Così sembra che una coroncina di foglie di quercia facesse parte delle insegne degli antichi re di Alba Longa e dei loro successori, i re di Roma; in ambo i casi ciò indicava che il monarca era il rappresentante umano del dio della quercia. Gli annali romani ricordano che uno dei re d’Alba chiamato Romolo, Remolo e Amulio Silvio, cominciò a considerarsi come un vero dio uguale o superiore a Giove. Per sostenere le sue pretese e intimorire i suoi sudditi costruì delle macchine con cui imitava il fragore dei tuoni e i lampi del fulmine. Diodoro racconta che nella stagione dei frutti, quando il tuono è forte e frequente, il re comandava ai suoi sodati di soffocare il ruggito dell’artiglieria celeste battendo le spade contro gli scudi. Ma pagò il fio della sua empietà, perché perirono lui e la sua casa, colpiti dal fulmine in mezzo a una terribile tempesta.
Gonfiato dalle piogge, il lago Albano uscì dalle sponde e inondò il suo palazzo. E ancora, dice uno storico antico, quando l’acqua è bassa e la superficie non è mossa dalla brezza, si possono vedere le rovine del palazzo nel fondo del lago trasparente.
Da James G. Frazer, “Il ramo d’oro: studio sulla magia e la religione”.