Viaggio interiore, viaggio della mente, dell’anima, della fantasia; viaggio nell’inconscio, nella memoria, nel tempo, nello spazio; viaggio virtuale!
Parafrasando Liza Mannelli e il suo Money in Cabaret, potremmo cantare viaggio, viaggio, viaggio all’infinito.
E’ proprio questa, penso, la bellezza del viaggio: la possibilità dell’infinitezza, dell’espansione, della dilatazione. Certo, attraverso i secoli, e con l’accorciamento delle distanze, sempre di più il viaggio ha ridotto il suo senso di esperienza totale. Forse le peripezie di Odisseo nel suo ritorno a Itaca o il cammino verso l’ignoto dell’Ulisse dantesco ormai costituiscono solo delle belle pagine di letteratura.
Tuttavia, nonostante le specificazioni di cui sopra che tendono a limitare quell’esperienza, è innegabile che il viaggio, qualsiasi viaggio, continui ad esercitare un fortissimo potere … di seduzione e attrazione, sì, ma anche di paura e repulsione. I viaggi virtuali del prossimo futuro, per esempio, permetteranno di conoscere il pianeta e lo spazio stando comodamente seduti nella propria casa; per non parlare di chi, in procinto di partire, agogna già il ritorno.
Ma parliamo del viaggio che comporta uno spostamento fisico. Non che quello di tipo sedentario abbia meno valore, per carità! Il viaggio interiore è un’esperienza insostituibile, ma a differenza dell’altro forse non risponde a un desiderio d’assoluto, o di smarrimento, né mette a dura prova il nostro coraggio nell’affrontare tutto quello (vero o temuto) che minaccia l’incolumità fisica ( a parte gli attacchi di panico!). Chi pensa al viaggio solo come sogno, speranza o conoscenza, è fuori… strada. Non di rado, anzi, gli corrisponde altro, delusione, perdita, sofferenza.
Nella mia vita i viaggi sono stati tutto questo e anche di più, ma siccome è estate, il periodo più bello per viaggiare e per sorridere alla vita nonostante le difficoltà, vi parlerò (anzi vi citerò semplicemente dato lo spazio) solo di alcune esperienze più significative in senso positivo.
In Bulgaria, al tempo del socialismo reale, ho verificato come la moda italiana costituisse non tanto un capriccio quanto un simbolo socio-culturale: braccare un turista per riuscire ad ottenere una giacca o un paio di mocassini significava non solo elevarsi socialmente, ma anche manifestare la propria dissidenza nei confronti di un regime che aborriva il consumismo, sì, ma anche la democrazia. Sempre lì, però, conobbi una ragazza che in quello stato aveva trovato il senso della sua vita: noi lottavamo per l’assistenza sanitaria gratuita, lei per la libertà.
In Turchia ho visto una luna piena di un rosso marziano con tanto di alone rosa, talmente grande da sembrare posta sulla terra. Sul ponte mobile di Istanbul ho pianto alla vista di decine di uomini piegati in due per il peso di anni di 12-15 cassette di frutta sulle spalle, e apprezzato le conquiste dei lavoratori occidentali. Nel Palazzo di Topkapi scoprii che Harem significa “luogo sacro”, proibito agli uomini, e pensato che forse dovremmo indagare maggiormente sulla condizione di subalternità della donna medio-orientale.
Sempre in Turchia, giusto per smentire quel detto ancora vigente che recita “mamma li turchi”, in ben due campeggi diversi il soggiorno fu così piacevole e familiare da farmi dimenticare il passaporto, circostanza che costrinse due maschi della comitiva a guidare complessivamente oltre settecento chilometri per recuperarlo.
In Olanda fui ospitata in un appartamento di 60 metri quadrati dove fino a due anni prima aveva vissuto una famiglia di otto persone. In quell’edificio al centro della ricca ed evoluta Amsterdam le scale erano strettissime; il portone non si apriva elettricamente ma con un cordone che scorreva parallelo al corrimano dall’ultimo piano a quello su strada e il bagno occupava una superficie di un metro e mezzo per due sottratta alla cucina. Per non parlare degli hotels sul lungomare di Nizza o Marsiglia: in Francia non ho mai trovato un bagno dotato di quel sanitario da noi tanto comune denominato bidet. In compenso ho attraversato una campagna meravigliosa popolata di cavalli. La fragranza della lavanda della Camargue ha talmente investito i miei sensi che da allora non ho più smesso di scegliere detersivi arricchiti di quel profumo.
Se pensate di andare in Egitto come cani sciolti sappiate che per percorrere trecento chilometri in treno occorre quasi una giornata e che nei vagoni potreste condividere i sedili con polli e galline; che l’unico vero pullman granturismo che riuscirete a prendere (ma forse oggi ce ne sono di più) per arrivare al Mar Rosso potrebbe guastarsi in pieno deserto, con tutte le conseguenze del caso; che per andare dalla Valle delle Regine a quella dei Re l’unica strada percorribile è una mulattiera che corre sulla montagna sovrastante la prima necropoli, ovviamente in groppa ad asinelli che camminano sull’orlo del precipizio. Prima di tale traversata, tuttavia, potrete fornirvi di bibite da un simpatico barista che applica prezzi diversi a seconda della provenienza del turista: in ordine di ricchezza, prima vengono gli americani e gli inglesi, poi i tedeschi, ecc. Mi sembra che noi stiamo al quinto posto. E poi non fermatevi a pernottare a Ghirga, perché a detta degli stessi Egiziani è un miracolo uscirne vivi. A saperlo prima, penso che avremmo preferito evitare l’ostilità dei suoi abitanti.
A Budapest, in compagnia di altre tre persone, conobbi un ragazzo cecoslovacco. Lui parlava correntemente il ceco, il tedesco, il russo e l’ungherese. Noi, in quattro, l’italiano, l’inglese, il francese e lo spagnolo. Non ricordo come fu possibile, ma trascorremmo pomeriggi interi a discutere di comunismo, della Charta 77, di Agnes Heller e della teoria del romanzo di Lukacs.
Qualche mese dopo ci spedì una cartolina da Praga. Nemmeno una parola, in nessuna lingua. Solo un disegnino: in successione, da sx a dx, un omino stilizzato , un grande cuore e altre quattro persone stilizzate, due maschi e due femmine.
Poi ci sono stati i viaggi nei viaggi, viaggi di piacere in un viaggio da emigrante. Quelli degli spazi infiniti, dei confini invisibili, di immense distese ventose e solitarie, di paesaggi inquietanti, di distanze incolmabili, che hanno segnato profondamente il mio stare nel mondo. E di centinaia di chilometri percorsi incrociando solo pochi simili: allora scopri che stabilire rapporti immediati di complicità e solidarietà non è un privilegio dei bambini, e da quel momento per il resto della vita ti rammarichi per non riuscire ogni volta a ricrearli.
Mi accorgo di aver trascurato opere e monumenti. Ma proprio non so come raccontare le tombe dei faraoni, i quadri di Van Gogh , i palazzi di Gaudì, la Moschea di Aya Sophia o i Colossi di Memnone.Tanto per ribadire quanto detto prima, bisogna spostarsi, e vedere di persona per apprezzare.
Ah! Se qualcuno prossimamente dovesse attraversare il deserto di Atacama o percorrere il cammino che porta a Santiago di Compostela, mi piacerebbe avere delle anticipazioni. Io potrei ricambiare parlando della Patagonia.
Buon viaggio!
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- Numero 44 luglio 2005