Un film essenziale, compatto, di estremo rigore morale e formale, studiato nei minimi dettagli tecnici e narrativi. La lunga esperienza di Clint Eastwood, qui attore, produttore e regista, trionfa nella pellicola che, altamente drammatica, riesce comunque a non scivolare nel sentimentalismo patetico. Un cast di attori mirabili: dalla protagonista Hilary Swank, all’ever green Morgan Freeman, all’indiscusso Eastwood, sorretti da una sceneggiatura spietata ed originale, accompagnati da una fotografia che predilige gli ambienti interni e le tonalità scure, accentuando il senso di asfissia che già la trama impone: quel piccolo microcosmo di periferia riflette tutto il dolore, l’ipocrisia, il coraggio, la fede e l’amore del macrocosmo. Non ci sono vincitori e vinti, l’unica invitta presenza è un Fato tragico, di arcana drammaturgia greca, incombente sugli uomini che non possono sottrarvisi: noi spettatori siamo lì, inizialmente incalzati dal ritmo dinamico delle sequenze, poi sempre più coinvolti, impotenti, soffriamo insieme ai personaggi, i pugni del ring ci colpiscono allo stomaco sempre più forte…usciamo dal cinema lividi e ammutoliti, con la sensazione di aver visto un capolavoro…certo, se non ci fossimo andati non ci avrebbero messo al tappeto, ma l’emozione vissuta resterà a lungo nella memoria, personale e collettiva, oltre la rabbia, il pianto, per quel dolore universale cui gli uomini, per loro stessa natura, sono destinati.
“Million Dollar Baby”, di Clint Eastwood, USA 2004