RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

A come artisti

Protagonisti nei Castelli Romani

Roberto Muzi è nato a Roma il 7 giugno 1980 e vive a Ciampino. Frequenta la facoltà di Scienze Politiche a “La Sapienza”. Il suo libro, “Punti di vi(s)ta”, è uscito in libreria nello scorso dicembre, edito dalla Maremmi Editore Firenze.

Presentati. Parla un po’ di te.

Il libro che ho scritto rappresenta me stesso, i miei pensieri sulla realtà, una parte della mia vita. Perciò credo si possa parlare sia di me che del mio libro. Sono un tipo sempre curioso, mi piace capire. Per questo ho scelto Scienze Politiche: è una facoltà che ti permette di capire una serie di dinamiche della realtà che hai attorno. E sempre per la stessa ragione mi piace viaggiare e leggere i libri di Chatwin. Eppure la mia aspirazione più grande sarebbe quella di coltivare la terra, con tecniche che ne rispettino i ritmi naturali, senza “violentare” il suolo…

Come nasce il tuo libro? È l’unico che hai scritto?

È il primo ed unico e nato per caso. Ho iniziato a scrivere per sfogarmi di una storia impossibile con una ragazza, Tiziana. Casualmente, quelle pagine furono lette da un amico che apprezzò la storia e lo stile con cui la raccontavo e così continuai. Dando libero sfogo alla mia vena è venuto fuori questo libro fatto di racconti, storie, riflessioni, aneddoti, tutto quello che mi ha colpito e fatto pensare. Cerco poi di chiarire nella mia testa le mie opinioni su questo nostro mondo occidentale e occidentalizzato, su dove ci conducono i nostri politici, sul fatto che mi piacerebbe molto che le persone andassero più a fondo nelle cose e non si facessero abbindolare da questa società dei consumi e da tutti i messaggi che manda.
Ultimata la stesura del libro, trovo su un’auto parcheggiata un annuncio di un concorso letterario che scadeva il giorno dopo. Mi sono precipitato a casa, l’ho riarrangiato alla meglio e… ora, eccomi qua!

Si dice che per scrivere si debba aver letto molto. A quali autori sei più legato o consiglieresti?

Non sono del tutto d’accordo sulla necessità di aver letto molto per poter scrivere. Il flusso dei pensieri e delle parole viene da dentro, lo senti e basta. Leggere ti mostra come molte idee già le abbiano espresse altri prima e meglio di te, ti dà una direzione in cui muoverti, spingendoti a cercare la tua strada, la tua originalità. T’insegna nuove parole, la proprietà della lingua, la continua comparazione delle esperienze altrui. Ma il pilastro fondamentale è l’incessante curiosità, l’interrogarsi, accendere continuamente il cervello per andare al fondo delle questioni.
Le mie letture vanno da Joyce in poi, Kerouac, Henry Miller e soprattutto Garcia Marquez, ma anche qualcosa di Giordano Bruno, De Carlo (che ho conosciuto recentemente e mi ha molto appassionato), Cassola, Vittorini, Pratolini (specie per la coscienza storico-culturale che mi ha offerto del periodo dei partigiani)…

A te che da due anni hai deciso di rinunciare al cellulare chiedo: cosa ne pensi del linguaggio degli sms e di come sta cambiando la comunicazione? E che rapporto hai con il computer?

Io sono per le care, vecchie carta e penna, che porto ovunque, dove appunto di continuo. Però ultimamente mi sto aprendo positivamente alla posta elettronica, che trovo una via di comunicazione semplice e diretta, una delle migliori invenzioni della tecnologia.
Il cellulare invece, a mio modo di vedere, sta uccidendo la comunicazione. Soprattutto perché a me piace leggere non solo nelle parole, ma anche nello sguardo e nell’espressione del mio interlocutore. Con il computer non ho un bruttissimo rapporto: lo uso per scrivere nel secondo stadio di scrittura, quando riprendo ciò che avevo appuntato a penna, il seme delle idee che voglio esprimere, e metto in ordine. L’elaboratore insomma influisce sullo stile positivamente perché m’aiuta a limarlo, mantenendolo allo stesso tempo diretto e spontaneo.
Credo comunque che qualunque tipo di macchina o tecnologia vada utilizzata con moderazione estrema, dandogli giusto peso e importanza. Cosa non molto diffusa: mi sembra ci sia quasi una corsa a chi ha più oggetti.

Frequenti le biblioteche dei Castelli Romani? E qual è il tuo parere su questo giornale, in particolare su questa rubrica che cerca di dar voce ai giovani artisti?

Ai tempi del liceo frequentavo la biblioteca di Marino. Attualmente passo di rado in quella di Ciampino. Ora che, tramite il vostro giornale, ho avuto occasione di conoscerne meglio i servizi, credo che ci andrò più spesso, rendendo disponibile anche qualche copia del mio libro…
Io ho sempre apprezzato chi dà voce ad artisti meno conosciuti, chi cerca di spiegare realtà di “nicchia”, perciò non posso non apprezzare questa rubrica e il giornale in cui è contenuta. Perché secondo me non esiste un’arte maggiore e un’arte minore: chi fa arte vuol dire qualcosa, bisogna dargliene la possibilità.

In che misura ti senti legato ai Castelli?Perché il libro è un’autobiografia?

I Castelli sono la mia casa adottiva. Ne adoro i paesaggi, a tratti così selvaggi (alcuni scorci dal Tuscolo in autunno, il lago di Nemi), le feste, il vino e la cucina. Adoro passeggiare per i vicoletti di Frascati, d’inverno quando tira vento. Anche se poi certo non riesco a non subire l’attrazione di Roma, di cui m’affascina l’apertura e vivacità, la stratificazione storica che ogni angolo porta con sé, carico di tempo e di vicende vissute. Tutto questo c’è nelle cose che scrivo. Ed è inevitabile l’autobiografia: se non provi qualcosa, non lo senti, non lo soffri, non puoi raccontarlo. L’autobiografia è come un recinto: serve come punto di partenza, ma poi si deve esser capaci di uscirne e spaziare.

Progetti letterari per il prossimo futuro?

Ora ho tremila cose in testa, ma è tutto un ribollire confuso: l’uscita del libro, un diario dei miei otto mesi in Portogallo, ho in mente un paio di storie. La necessità di scrivere la sento sempre, perché mi entusiasma, mi dà carica e mi fa bene, turo fuori e chiarifico. Sono uno che si interroga e che non smette di cercare. Fermarsi significa morire: e io sono in continuo movimento.

Per la rubrica A come artisti - Numero 39 febbraio 2005