RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Beni culturali

Il Museo sovvertito di un bene volatile

Riportiamo di seguito alcuni stralci del progetto scientifico del Museo dell’Infiorata curato dal Prof Vincenzo Padiglione. Dedicare un museo demoetnoantropologico all’Infiorata di Genzano significa riconoscere a questo complesso cerimoniale una valenza patrimoniale non circoscritta al suo essere testimonianza storica, significativa traccia del passato. La qualifica “demoetnoantropologico” che verrebbe ad assumere il museo, segnala che il bene culturale da mettere in valore è inscritto nelle forme stesse di vita delle persone che lo attivano, ha conquistato un presenza affettiva e identitaria per la comunità e il territorio, è in grado di caratterizzare ancora nel presente tratti salienti della cultura locale, ovvero, nel caso dell’Infiorata in modo assai convincente, di mettere in forma e rendere esperibili simboli religiosi, civili e artistici. In tal senso si individua la prima missione del museo nel suo predisporsi come spazio di conoscenza e di comunicazione dove la società locale, nel dialogo con lo staff del museo e con i visitatori, si esamina e si autorappresenta. Attraverso la focale di una festa che perdura con successo da oltre due secoli, viene raccontato il mondo interno e il rapporto con l’ambiente circostante, mostrato il vitale nesso tra effervescenza locale e attenzione turistica, la tensione tra conservazione e innovazione, tra solidarietà e conflitto. Con le dovute accortezze scientifiche ed espositive una festa popolare, e l’infiorata in modo esemplare, si presta per offrire una panoramica articolata e inedita di una comunità, un’interpretazione della sua cultura. Per gli antropologi essa individua un “farsi società di un rito” ovvero per usare l’espressione di Marcel Mauss “un fenomeno sociale totale”, di quelli che “mettono in moto la totalità della società e delle sue istituzioni” configurandosi e funzionando come dei “sistemi sociali completi” in grado di coinvolgere varia umanità e distinte dimensioni sociali. Aspetti eterogenei e discontinui vengono stabilmente a convivere in un grandioso complesso festivo, come l’infiorata, arricchendolo di umori sentimentali e conflittuali, di interessi economici e politici, di nessi morali, religiosi, estetici, giuridici, ecc. Se da una parte queste immissioni e connessioni appaiono abusi e contaminazioni, dall’altra potenziano l’evento festivo, ne fanno il catalizzatore dell’attenzione collettiva: rendono attiva e concreta la trama che connette la gente non solo nell’identità, ma anche nella differenza. L’immagine che della comunità viene riflessa attraverso l’esame di un sua festa, pur centrale come l’Infiorata, chiaramente non può dirsi esaustiva, ne è però una sua legittima rappresentazione. A rendere ancor complessa e terribilmente delicata l’opera museale da intraprendere, interviene il carattere di performance che contraddistingue la festa, come fenomeno rituale. La sua messa in valore antropologica lo qualifica come “bene volatile”, “immateriale”, “intangibile” che, a differenza di un quadro, di un oggetto o di un documento, esiste solo temporaneamente nel momento in cui viene realizzato – come nel caso di una fiaba che viene in certi modi narrata o di un artefatto che con saperi, tecniche, maniere e posture, viene prodotto. La testimonianza visiva o auditiva ne può conservare tracce significative, fondamentali per il lavoro di documentazione, ma non è in grado di sostituirne l’intrinseca valenza patrimoniale. Come dire che un museo, istituzione per sua natura stabile e permanente, devoluta all’esposizione di testimonianze materiali si trova a dover patrimonializzare un bene volatile, intangibile, effimero e sostanzialmente refrattario per definizione ad essere rinchiuso in una veduta, immobilizzato in una forma unica, e soprattutto sottratto al suo divenire, a ritmo temporale che ne è al tempo identità e fulcro creativo. Se il carattere di performance pone seri problemi ad ogni museografo che ambisca a documentare, raccontare e interpretare una festa, la questione si fa più radicale nel caso dell’Infiorata. Qui la dimensione della transitorietà, di un tempo speciale inscritto nel richiamo organico alla stagione primaverile, nella durata del fiore in simpatia con la durata del rito, nel carattere effimero delle composizioni artistiche, pervade di sé tutto l’evento dando impronta all’intera organizzazione e convocando interpretazioni simboliche che da varie direzioni segnalano la fugace natura del piacere, l’annuncio di speranza che il sacrificio del fiore porta per frutti di là da venire. Meraviglie che nel breve lasso di poche ore e di molti sguardi svaniscono non lasciando altro di sé, concluso l’evento, se non sensazioni forti e limitati documenti. Ecco. Se questa labilità temporale della festa dei fiori ovvero questa patrimoniabilità effimera, rende arduo e tutto in salita il lavoro museale è anche vero che vi può inscrivere un salutare rinnovamento. La transitorietà delle composizioni floreali non va ritenuta semplicemente ostacolo all’esposizione, ma deve essere assunta come valore guida grazie a cui uniformare e sovvertire lo stesso museo. Il che vuol dire riconoscere e rendere attiva quella dialettica tra l’idea di patrimonio come monumento e l’idea di patrimonio come memoria nel flusso presente nell’ambito dell’attuale dibattito antropologico.
Per la rubrica Beni culturali - Numero 63 giugno 2007