Domande mal poste, secondo l’economia dello spettacolo e della cultura; domande alle quali seguono risposte tutt’altro che scontate.
Esperienza e creatività sono le due parole-chiave necessarie per iniziare a decifrare meglio la frontiera verso cui oggi è profondamente orientata la produzione di cultura sul territorio.
Che l’esperienza fosse alla base di una nuova scuola di consumo si era capito già da qualche anno. Risale al 1999 il saggio L’economia delle esperienze di B.Joseph Pine e James J.Gilmore (il titolo originale è The experience economy, Work is theatre & every business a stage). Nel volume si analizza l’evoluzione degli scenari del consumo, che vede protagonisti individui sempre più attivi e partecipi, fino ad arrivare agli spazi recentemente inaugurati dalla Sony in cui non si vende, ma si prova soltanto: si vivono esperienze.
Il presupposto è che in un ambiente competitivo come l’attuale, e davanti a consumatori sempre più consapevoli ed esigenti, aggiungere la componente “esperienza” a un servizio o a un prodotto diventa essenziale per continuare a creare valore: la personalizzazione del bene ne aumenta la desiderabilità.
Non si tratta, sostengono gli autori, semplicemente di aggiungere una componente di intrattenimento generica a ciò che si offre. Quattro sono le dimensioni da considerare per riuscire a coinvolgere: intrattenimento, educazione, esperienza didattica ed evasione. Tali elementi si distribuiscono lungo due assi che si incrociano, ma è dal saperli bilanciare e fondere, badando che mai manchi uno di essi, che deriva un vero arricchimento delle esperienze: e così i beni acquisiscono più valore.
Se educazione e intrattenimento si fondono già da tempo, e il neologismo edutainment ormai è acquisito, almeno nel linguaggio specialistico, un discorso separato va fatto per evasione ed esperienza estetica. L’evasione si colloca esattamente all’opposto dell’intrattenimento: non si tratta semplicemente di un modo piacevole di trascorrere del tempo. Al contrario, l’immersione è totale, la partecipazione attiva: si viaggia verso un luogo distante dal presente e dalla realtà quotidiana. L’esperienza estetica è un dominio di particolare rilievo nei beni culturali, e in esso risiedono gli imperativi che riguardano la cura e il decoro di un centro storico, o l’attenzione da dedicare agli allestimenti in un festival.
Abbiamo così citato alcuni elementi alla base dell’organizzazione di ogni evento culturale e di intrattenimento: ed è alla loro gestione che tali riflessioni sono peculiarmente orientate.
Creatività era la seconda parola-chiave attraverso la quale vorremmo leggere l’economia dell’immateriale.
Esiste una letteratura che aspira ad applicare modelli economici e gestionali già affermati in ambiti tradizionali al mondo della creatività, dell’arte e in generale della cultura. Da una parte si riconoscono cultura e creatività come risorse strategiche: da qui l’esigenza di impostarle in un’ottica di marketing; in particolare, se si pensa a beni di pubblica utilità, dotati di esternalità positive per una collettività, se ne vogliono enfatizzare le componenti di servizio. Dall’altra, se ne vorrebbero poter prevedere gli andamenti e smorzare le “zone buie” di imprevedibilità: da qui, il ricorso alle moderne tecniche di gestione e organizzazione.
Mille sono le particolarità, che facilmente si traducono in rischi per gli operatori, ma che, se affrontate sapientemente, possono convertirsi in opportunità. La domanda di beni creativi o di cultura è incerta, difficilmente prevedibile e incostante; esiste un coinvolgimento in chi produce il bene inusuale per i beni materiali comuni; molti dei prodotti creativi non riconoscono la paternità di un’unica persona ma necessitano di molti padri e molte madri, ovvero di professionalità eterogenee, per essere realizzati (pensiamo a un film oppure a un festival); la differenziazione dei prodotti e degli autori segue logiche diverse da quelle che vigono per i beni tangibili; la variabile temporale ha un peso enorme; infine, la durata nel tempo delle rendite di questi tipi di prodotti dipende da modalità di distribuzione e replicazione che vanno sapute gestire con sapienza.
La maggior parte dei prodotti che possono coinvolgere un territorio, un centro, una popolazione (pensiamo a un festival, una rassegna, una performance) sono di tipo complesso, richiedono cioè l’incontro riuscito tra competenze artistiche e non, di input creativi e non creativi. Non poche sono, come è intuitivo concludere, le difficoltà dell’operare con beni immateriali.
Riferimenti:
B.J.II Pine, J.H. Gilmore, L’economia delle esperienze, Etas (2000); R. E. Caves, L’industria della creatività. Economia delle attività artistiche e culturali, Etas (2000).
Per la rubrica
Beni culturali
- Numero 63 giugno 2007