RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Intercultura

La via italiana all’integrazione

Interculturalismo: per comprendere e accogliere le altre identità

In Italia vivono attualmente 2 milioni circa di migranti stranieri, tra cittadini comunitari, di serie A, ed extracomunitari, di serie B, tra residenti e clandestini irregolari, tra giovani, adulti e bambini.
Ai Castelli ne sono presenti circa 5.000, soprattutto della seconda fascia, che è anche quella cui dedicheremo uno spazio privilegiato, non certo per una sorta di razzismo rovesciato, ma semplicemente perché sono la maggior parte e le problematiche legate all’immigrazione e all’incontro, o scontro tra culture, riguardano soprattutto loro.
Da dove vengono? Da quanto tempo vivono in Italia? Come si trovano? Si sono integrati? Hanno trovato risposta ai loro bisogni? Che tipo di relazioni hanno instaurato con gli autoctoni ? Ma soprattutto: chi sono?
Dal modello assimilazionista francese a quello pluralistico culturale del Regno Unito, dall’ospitalità temporanea dei lavoratori stranieri attuata in Germania all’idea del melting pot adottata negli Stati Uniti, al multiculturalismo di stati quali la Svezia, il Canada o l’Australia, sembra che nessun paese occidentale, tra quelli dove a partire dall’’800 si sono verificati massicci fenomeni d’immigrazione, sia riuscito a realizzare, o abbia voluto pensare a modelli d’integrazione che contemplino un scambio vero tra le culture, basati sul principio che un migrante non è mera forza lavoro ma una persona con una storia, una cultura e un’identità propria.
Nelle righe che seguono riportiamo alcuni brani della tesi di Master sulla mediazione interculturale presentata di recente da Cristiana Tamburrano , assistente sociale del nostro territorio e coordinatrice del Progetto “Girasole” (Centro di Prima Accoglienza Diurno aperto a Frascati 1998 ), la quale mette in rilievo come “l’Italia, ovvero il paese del non modello o del modello inconsapevole, potrebbe orientarsi in modo serio e sistematico in direzione dell’interculturalismo, oltre il multiculturalismo, verso una politica di comunicazione e interazione tra i portatori di culture diverse che riesca a superare sia la visione etnocentrica che quella cosmopolita”.
“ I fenomeni migratori - prosegue la Tamburano - sono divenuti ormai un dato strutturale nel nostro paese, che non può più dirsi giovane e acerbo di fronte alla presenza sempre crescente di migranti: la massa di
persone che si muove “verso”, composta da un gran numero di etnie, è destinata a un processo di evoluzione che ha come obiettivo quello di stabilizzarsi. La varietà di culture e stili di vita impongono una riflessione profonda sulla necessità di trasformare una condizione di apparentemente insolubile disordine in una condizione di pluralismo, che evidenzi l’alterità, non più come disagio e conflitto, ma piuttosto come concreta e reale occasione di dialogo e arricchimento….. tuttavia stiamo ancora assistendo ad una fase in cui l’immigrazione viene in parte vista come fenomeno temporaneo, che non include la possibilità che le nuove comunità d’immigrati possano mettere radici e introdurre diversità etniche e culturali. Le stesse politiche d’intervento sull’immigrazione sembrano voler insistere sulle “emergenze”, trascurando e relegando in posizione secondaria, quando non marginale, gli aspetti religiosi e culturali.
Sembra prevalga il desiderio di evitare di riflettere sul legame che ogni individuo immigrato ha con il proprio passato e si sceglie di pensare ad una società multiculturale in cui convivano svincolate tra loro molte anime, costruendo così celle in cui isolare le culture altre in un processo
di differenziazione e, in taluni casi, di discriminazione…Il rischio che si corre, alimentando questa forma di disinteresse per gli aspetti culturali e religiosi,e quindi identitari, è quello di esaltare l’apertura all’altro, evitando però di mettersi nella posizione di accoglierlo realmente…Rimuovendo “tratti” culturali, religiosi, spirituali, identitari, molti discorsi sull’intercultura divengono null’altro che forme mascherate di assimilazionismo, camuffato di tolleranza, privo di interesse per la diversità, che viene invece concepita come temporanea, fino al momento in cui l’immigrato e i suoi discendenti acquisiranno gli stili e i valori che ci caratterizzano. Tale comportamento di accondiscendenza genera un atteggiamento di generica benevolenza senza la volontà di mettersi in gioco - condizione necessaria in ogni dialogo - che instaura una subordinazione, tanto più forte quanto più ampia è la disponibilità a concedere spazi di espressione e costringe l’altro a manifestare, per tanta generosità, un’infinita riconoscenza che può generare una cronica subalternità.
Ma la subalternità, prima o poi, genera conflitto…La maggior parte degli studiosi dell’immigrazione ha trascurato l’importantissimo ruolo dell’identità nei processi migratori internazionali e gli effetti che la stessa provoca, se relegata sempre ad uno stato di inferiorità…Le lotte per l’identità culturale, se prive di gestione o non sufficientemente gestite, possono rapidamente diventare una delle maggiori fonti di instabilità all’interno e tra gli stati, scatenando il conflitto che farebbe regredire lo sviluppo; le politiche sull’identità, che separano le persone e i gruppi e che stanno creando confini anomali tra “noi” e “loro”, possono riportarci alla repressione e alla xenofobia, incoraggiando il passaggio al conservatorismo e al rifiuto al cambiamento, bloccando l’afflusso delle idee e delle persone, “ambasciatrici” di valori diversi.. La gestione della diversità e il rispetto delle identità culturali non rappresentano delle sfide soltanto per pochi stati multietnici. Quasi nessun paese è interamente omogeneo. I circa 200 paesi del mondo hanno al loro interno qualcosa come 5.000 gruppi etnici…Oggigiorno, in un modo o nell’altro, ogni paese rappresenta una società multiculturale contenente gruppi etnici, religiosi o linguistici che hanno legami comuni con la loro eredità, cultura, valori e modi di vivere. La diversità culturale durerà a lungo e finirà per aumentare. Gli stati devono trovare i modi per dare vita all’unità nazionale costruendola però nella diversità. Il mondo, sempre più interdipendente dal punto di vista economico, può andare avanti solo se le persone impareranno a rispettare le diversità e a costruire l’unità attraverso i legami comuni con l’umanità.”

Incredibile della serva

Le ho regalato la mia sottana a pois
Le ho prestato il mio bambino che la colmi di ossi duri
Con dolore le ho messo nella branda i miei barboncini
L’ho lasciata lavare ciò che a nessuno lascerei vedere
Ho permesso alla sua mano i miei cristalli le mie porcellane
L’ ho liberata da fidanzati lune amiche uccelli
L’ho riscattata dalla fame da erbacce e selvatiche intemperie
E mi guarda furiosa adesso, tutta rossa,
resta sdraiata, ben felice, aperta,
le parlo ed è come se parlassi a mille venti,
come gode la pazza, coi capelli sulla faccia.
E adesso dovrò fare tutto io
Perché alla negra immonda viene in mente
Di buttarsi dal balcone senza chiedere permesso.

Julio Huasi, Argentina

Per la rubrica Intercultura - Numero 60 marzo 2007