Quindi non abbiamo inventato nulla di nuovo, ma abbiamo imparato a sfruttare i fasci di particelle in una infinità di modi utili ed anche divertenti. Di queste cose si è recentemente parlato in una serie di seminari divulgativi presso i Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN.
Vediamo qualche esempio. Il televisore è di uso talmente quotidiano che spesso ci si dimentica che alla base del suo funzionamento c’è proprio un acceleratore di particelle, in questo caso elettroni accelerati a basse energie. Il fascio di elettroni viene emesso da un filamento incandescente, proprio come quello delle normali lampadine, ed accelerato da un debole campo elettrico. Campi magnetici lungo il percorso servono ad indirizzare il fascio di elettroni verso lo schermo dove si forma l’immagine nei punti in cui viene colpito.
Anche negli acceleratori in uso nell’ambito della ricerca pura sono presenti gli stessi elementi: una sorgente di particelle, campi elettrici acceleranti, campi magnetici deflettenti. In questo caso gli acceleratori servono per studiare i costituenti fondamentali della materia, studio estremamente importante per capire l’origine del nostro universo, quando, poco dopo il big bang, le particelle elementari erano ancora libere ed i nuclei atomici non si erano ancora formati. In queste macchine l’energia fornita al fascio di particelle è di gran lunga più elevata ed il fascio viene accelerato e guidato contro un bersaglio. Nell’urto con il bersaglio, tipicamente una lamina di metallo di alta densità, si producono particelle elementari provenienti dai nuclei atomici della lamina di metallo contro il quale il fascio di particelle si è scontrato. In alcune macchine acceleratrici circolari, come l’acceleratore Dafne dell’INFN, il bersaglio è sostituito da un fascio di positroni (l’antiparticella degli elettroni), propagante in direzione opposta, che si scontra ripetutamente con il fascio di elettroni, producendo altre particelle elementari.
Una nuova e promettente applicazione degli acceleratori di particelle consiste nella produzione di radiazione X di intensità molto più alta dei normali impianti di radiologia presenti negli ospedali e di maggiore direzionalità, tale da essere indirizzata solo sulla zona malata del paziente preservando dall’irraggiamento i tessuti sani. I raggi X sono utilizzati attualmente in una vasta gamma di campi, dalla ricerca fondamentale ed applicata, alla diagnosi radiologica e all’analisi di prodotti industriali.
Il progetto pilota per simili applicazioni è il progetto SPARX (Sorgente Pulsata Autoamplificata di Radiazione X), proposto nell’ambito della collaborazione tra CNR, ENEA, INFN. ed Università “Tor Vergata” ed in parte finanziato dal MIUR e dalla Regione Lazio, consistente nella realizzazione di un Laser ad Elettroni Liberi (FEL) per la produzione di impulsi di radiazione UV e X. Da tali dispositivi ci si attende la produzione di radiazione UV ed X con le caratteristiche di monocromaticità e direzionalità tipiche di un laser. La sorgente SPARX consentirà d’inviare per la prima volta una concentrazione enorme di energia su piccole aree di sistemi condensati e biologici. Si possono specificamente intravedere una serie di risultati nell’ambito della fotochimica, che potrebbero avere interessanti ricadute industriali.
Per la rubrica
Gocce di scienza
- Numero 57 novembre 2006