RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

A come artisti

Franco Crocco e il “non figurativo”


Franco Crocco, 42 anni, vive ed opera tra Ciampino e Velletri. Direttore Didattico del Liceo Artistico “San Giuseppe” di Grottaferrata, è anche docente di pittura ed incisione. Attivo nel settore delle arti visive da oltre 25 anni, dopo una intensa stagione figurativa la sua ricerca è ormai da anni indirizzata verso l’arte astratto- informale o meglio, come lui stesso ama definirla, “non figurativa”.

Cosa intende per pittura “non figurativa”?

Sono figlio d’arte, anche mio padre dipinge, e lo fa da quasi 50 anni sempre allo stesso, splendido modo, cioè con un figurativo quasi iperreale. Lui mi ha trasmesso la passione per l’arte e per la pittura in particolare. Ma non potevo rimanere ancorato tutta la vita al dato “reale”. Grazie ad Enzo Brunori – uno degli artisti che teorizzò negli anni ’50, insieme a Lionello Venturi, il cosiddetto periodo “astratto-concreto” – e alle sue lezioni in Accademia, ho capito che la realtà va interpretata a seconda dei propri stati d’animo. Per fare questo ho dovuto abolire ogni riferimento riconducibile con la realtà e ripartire, in pratica, da zero.

Eppure la sua stagione figurativa le diede diverse soddisfazioni.

È vero, penso alle nature morte degli anni ’90, oppure al periodo che amo definire “neo – divisionista”, che mi portò per quasi 5 anni a dipingere soggetti ispirati a Giovanni Segantini. Sono stati periodi molto belli e intensi, e non è detto che non possano tornare, ma ora la mia ricerca è indirizzata altrove.

Ha degli artisti di riferimento?

È chiaro che ogni fase che ho attraversato ha risentito di influenze particolari. Da ragazzo amavo Caravaggio; il mito dell’artista maledetto mi affascinava molto. Grazie a Morandi, circa vent’anni fa, ho scoperto l’incisione. Poi a parte Segantini e i divisionisti in genere, adoro tutta la pittura italiana dell’800. Verso la fine degli anni ’80, quando ho cominciato a fare ricerca e sperimentazione, ho scoperto l’Arte Povera e Burri in particolare. Ma attualmente il mio modello di riferimento è Afro.

Ci parli allora tecnicamente delle sue composizioni astratte.

Utilizzo materiali tradizionali e sperimentali insieme. Mi piace vedere emergere la materia, i rilievi e le stratificazioni. Attraverso passaggi successivi cerco di creare forme riconducibili al mio stato emozionale. Alcune volte parto da un concetto o da un’idea ben precisa, altre volte l’idea può variare o svilupparsi in modo completamente diverso da come avevo iniziato. Ogni mia opera astratta ha un titolo che trascrivo sul supporto, perché ho la necessità di far comprendere a chi osserva quello che io volevo rappresentare; poi, ognuno è libero di interpretarla in modo personale.

Lei è anche Direttore Didattico e insegnante; riesce a conciliare questa professione con quella di artista?

Non è facile, il tempo a disposizione è sempre poco. Anche per questo la mia produzione è piuttosto limitata, ma soprattutto perché impiego tantissimo tempo ad elaborare le mie opere. Spesso mi ritrovo a riprendere dei lavori che ritenevo da tempo conclusi sui quali sento invece di dover intervenire di nuovo perché non mi soddisfano più. Comunque, insegnare disegno e pittura ai giovani mi gratifica molto.

Quanto ha inciso sulla sua arte il fatto di vivere e formarsi ai Castelli Romani?

Sono molto legato ai Castelli Romani, fanno parte della mia vita. In passato ho partecipato a diverse iniziative legate alla valorizzazione dei Castelli, anche con importanti associazioni, come la “Latium Vetus”, che mi piacerebbe ricomporre. Conoscere il proprio territorio significa conoscere se stessi, ma le istituzioni dovrebbero dare agli artisti locali anche gli stimoli e le possibilità per valorizzarlo.

Questa rubrica è nata anche con il proposito di creare un archivio permanente degli artisti che operano nei Castelli. Cosa pensa di questa iniziativa?

È molto lodevole, ma bisogna dare a queste iniziative una continuità concreta. La colpa è anche degli artisti, tendenzialmente schivi e refrattari al confronto; per me invece è fondamentale. Ma se ci fossero dei luoghi dove incontrarsi e scambiarsi le proprie esperienze, forse sarebbe diverso. Ho alcune idee in mente, anche legate alla valorizzazione dei giovani artisti del territorio, e spero di poterle concretizzare.

Che consigli darebbe ad un giovane artista dei Castelli Romani?

Di lavorare con impegno e serietà, senza curarsi delle mode correnti, esclusivamente per se stesso. Sono convinto che chi ha del talento alla fine emerge. Le possibilità per farsi conoscere ci sono, ma bisogna valutarle con molta attenzione per non commettere errori.

Per la rubrica A come artisti - Numero 56 ottobre 2006