Una delle attrattive principali dei Castelli per i romani in gita fuori porta è sicuramente la possibilità di gustare i cibi genuini locali nelle tipiche "fraschette". E' questo un costume assai antico, niente affatto sconosciuto ai nostri antenati, che frequentavano con assiduità le tabernae o più semplicemente acquistavano il cibo in strada dai venditori ambulanti (lixae), non potendo rientrare in casa per il pranzo, impegnati come erano nelle mille attività di lavoro e di vita sociale. Gli ambulanti esponevano la loro mercanzia su bancarelle protette da tende o da coperture smontabili lignee, che i più fortunati posizionavano nei luoghi maggiormente frequentati, quali teatri, terme, stadi e arene. Non bisogna tuttavia credere che la loro attività fosse priva di controllo da parte dello Stato: gli edili autorizzavano, concedendo una vera e propria licenza, e supervisionavano rigorosamente la loro attività . Il fortunato romano che aveva qualche soldo in tasca non disdegnava certo di andare in una taverna per cenare con gli amici, dove si mescolava con gente di ogni estrazione sociale. Nei quartieri più distinti si trovavano anche ristoranti di migliore livello, alcuni addirittura posti sotto la sorveglianza dei sacerdoti dei vicini centri religiosi.
I luoghi di ristoro, nell'antichità romana, offrivano diverse attrattive e sulla base di queste si caratterizzavano con nomi diversi. La taberna, sinonimo dell'odierna osteria, era il luogo specializzato nella vendita al dettaglio del vino e nella consumazione sul posto di bevande e cibo. Nella popina, invece, l'offerta principale era di cibo e il vino serviva solo ad accompagnare le pietanze. Nelle osterie di campagna, chiamate cauponae, dislocate lungo le strade più trafficate dell'impero, il viaggiatore poteva trovare sollievo durante il viaggio. Di livello inferiore erano il gurgustium e la ganea, in genere ricavati nei sotterranei.
Proviamo ora ad esaminare quali fossero gli alimenti prediletti dagli antichi romani in base al gusto e alle possibilità economiche, da gustare in casa e fuori.
I prodotti del maiale
Oggi, come ai tempi di Cicerone, nelle osterie e nelle fraschette vengono serviti i gustosi insaccati, che così bene si sposano con l'aromatico vino dei Castelli. Plinio diceva che nessun animale offriva più del maiale alimenti alla ghiottoneria ed infatti le fonti antiche ricordano a proposito dei cibi più amati quelli ricavati da questo animale: prosciutto, pancetta, poppe di scrofa, capocollo non dovevano mai mancare per un ricco pasto. In particolare erano molto apprezzate le grasse salsicce, le crassa tucceta, che servivano per stuzzicare l'appetito del bevitore. Queste prelibatezze venivano offerte per rapidi spuntini anche sulle bancarelle disposte lungo le strade: le salsicce, ad esempio, erano cotte su calde piastre, che le rendevano belle fumanti, conservandone il calore e garantendone la bontà . Apicio suggeriva numerose ricette per cuocere il porcellus intero, considerato uno dei cibi più sani e genuini, predecessore dell'odierna fragrante porchetta, che contribuisce a rendere ancora più piacevoli e appetitose le soste nelle "fraschette" castellane.
Pane e focacce
Il pane è sempre stato alla base dell'alimentazione degli antichi romani, che nei tempi più antichi si accontentarono di una rude polta, farina di farro od orzo cotta in acqua e sale (qualcosa di molto simile alla nostra polenta) insaporita da cipolle, cavolo e altre leguminacee. Solo nel III secolo a.C. venne introdotto tra i Romani l'uso del grano-frumento e si diffuse l'utilizzo del pane vero e proprio, morbido e bianco (candidus panis). Il pane veniva realizzato in diverse forme e con differenti ingredienti aggiunti, quali spezie, latte, uova, olio e miele. Uno dei più elaborati e lussuosi era l' artolaganus realizzato con miele, vino, latte, pepe, olio e canditi (forse l'antenato del nostro pan pepato). La povera gente mangiava il pane nero, nero probabilmente perché fatto con la nigra farina, cioè piena di impurità . Il pane era classificato anche in base alla modalità di cottura e a seconda della forma: conosciamo infatti il furnaceus, cotto in forno, e il focacius o subcinericus, cotto sotto la cenere, mentre il quadratus era così chiamato perché la sua forma rotonda era divisa in quattro parti da un'incisione a croce, che ne facilitava la suddivisione. Marziale ricordava anche alcune statuine fatte con un impasto di grano, che potevano essere mangiate in caso di fame: certamente simili alle procaci bambole di pane prodotte a Frascati.
Le focacce, dolci e salate, erano sempre presenti sulle tavole, rientrando in quella categoria di cibi, che, già pronti, i romani potevano trovare nelle popinae e tabernae e mangiare in ogni momento. Esse riscuotevano molto successo soprattutto se calde. Le focacce dal sapore dolce venivano impastate con il mosto, mustacea, e come oggi venivano consumate a chiusura del pasto. Tutto lascia supporre che non fossero differenti dalle tipiche ciambelle al mosto di Marino. Esistevano anche dei pistores dulciarii specializzati nella preparazione dei dolci, che in antichità erano per lo più ottenuti con una farina di formaggio secco, semola, miele e uova. Non mancavano certo i biscotti, prediletti dai bambini e dagli adulti, donati ai primi dai maestri per indurli ad apprendere le difficili nozioni scolastiche e sgranocchiati dai secondi a teatro, dove i pistores si trasformavano in venditori ambulanti, certi di un cospicuo guadagno.
I formaggi
Sulle tavole più semplici veniva servito anche il saporito formaggio, realizzato prevalentemente con latte di pecora o di capra, più raramente di mucca, mentre solitamente era assente dalle tavole dei ricchi. Il formaggio era anche utilizzato per rapidi spuntini o durante i viaggi, costituendo insieme al pane un pasto subito pronto, completo e soddisfacente. Poteva essere consumato previa rapida essiccazione al sole e salato in salamoia, oppure affumicato (qualcosa che non dovrebbe differire troppo dal nostro provolone) o aromatizzato con timo, pinoli e pepe.
Le olive e i funghi
Le olive non mancavano mai sulle tavole dei Romani, sia dei ricchi sia della povera gente, e tradizionalmente aprivano e chiudevano il pranzo oppure costituivano il contorno ad altre pietanze. Come accompagnamento al vino, insieme ai capperi e a qualche intingolo, veniva offerto dal gestore della taverna agli avventori per risvegliarne la sete.
Frutti della terra più preziosi, considerati cibo prediletto dagli dei, erano i funghi, pericolosi per il rischio di avvelenamento (non a caso l'imperatore Claudio ne fu vittima), ma degni di essere preparati direttamente dal dominus con le proprie mani, secondo ricette tramandate di padre in figlio.
Come non riconoscere, dunque, in queste rapide notizie le tracce delle nostre radici alimentari e le evidenti similitudine tra le nostre usanze conviviali e quelle degli antichi?