Sarà forse perché non contiene la parola 'techne' (dal greco, arte), se la figura dell'ingegnere (che però include il latino 'genius') ha rappresentato nella storia il lato freddo, matematico e calcolatore della progettazione, della costruzione e dell'edilizia. Tutto ciò che riconduce semanticamente all'ingegnere (e l'ingegno è la facoltà dell'intelletto di intuire ed escogitare, è vivacità di mente, creatività e perfino fantasia) è paradossalmente messo da parte. Dio è il divino, l'eterno architetto (non il divino ingegnere!). Leonardo è 'architetto' quando realizza gli apparati decorativi e teatrali alla corte di Giangaleazzo Sforza, progetta il nuovo palazzo mediceo a Firenze e il palazzo reale a Romorantin ma è 'ingegnere' allorché concepisce le macchine da guerra e le fortificazioni militari. La mancanza di una connotazione culturale, artistica, estetica ed addirittura umanistica ha caratterizzato da sempre la figura dell'ingegnere, differenziandola in tal senso da quella dell'architetto.
Diciamo la verità : un architetto che fa l'artista è cosa comune, ma un ingegnere è assai più raro. Eppure le opere di Anish Kapoor o di Anselm Kiefer, per citarne solo qualcuno, sarebbero inconcepibili senza un considerevole supporto ingegneristico. Arte, scienza, ingegneria, chimica, sono discipline che appartengono ad un'unica grande branca: la ricerca. E gli artisti sono ricercatori tra i ricercatori, ricercatori, dunque, a tutti gli effetti. Le opere di Vincenzo Pennacchi, ingegnere e artista veliterno, si muovono sul filo sottile che separa/unisce arte e scienza, testimoniando e supportando la difficoltà di trovare un limite preciso ai due ambiti di ricerca. Sono molti, come è noto, i medici, i chimici, gli scienziati che dipingono, ma qui è tutt'altra cosa. Singolare è l'uso e l'applicazione delle sue conoscenze chimico-ingegneristiche per la realizzazione dei pezzi: Pennacchi non è un ingegnere che dipinge, ma un ricercatore tout court. Il suo modo di procedere è neo-rinascimentale, in cui, senza soluzione di continuità , l'ingegnere si fa artista e l'artista ingegnere, ma forse, più esattamente, 'goethiano', ovvero vedere-verificare il fenomeno (scienza) e, nel suo manifestarsi, cogliere l'universale (arte). La dimestichezza con la quale usa gli acidi sulla lamiera, con la stessa pratica con cui un pittore utilizzerebbe i colori sulla tavolozza, gli deriva dalla conoscenza dei materiali che l'ingegneria richiede. Ma l'aspetto più interessante, accanto a quello tecnico, è sicuramente nella rilettura degli effetti dell'acido, con gli occhi di un ricercatore - ma che altro sono gli artisti se non ricercatori? - attento a cogliere l'attimo della metamorfosi della materia. I suoi lavori sembrano immagini satellitari del nostro pianeta, fiumi in piena, vulcani in eruzione, distese desertiche e barriere coralline viste dall'alto di una ripresa aerea. Ma prima di tutto, o forse solo e semplicemente, sono l'effetto di un'energia (l'acido) che si è scatenato su una vittima (la lamiera) e ne misura gli effetti. Se Burri durante la prigionia dovette 'arrangiarsi' con quello che trovava - è così che nacquero i suoi celeberrimi Sacchi - Pennacchi si 'arrangia' con i materiali più a sua portata di mano (le lamiere, gli acidi). Scienza-conoscenza per la forma e per la materia, unita all'arte-stupore-meraviglia di fronte ad un'energia che interviene, si scatena, trasforma ma non distrugge, sono le chiavi di lettura per opere solo apparentemente astratte, ma concretamente vere e reali.
ARTE E SCIENZA: IL CASO DI VINCENZO PENNACCHI
Per la rubrica
Arte
- Numero 72 giugno 2008