Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Archeologia

Velitrae: tra testimonianze storiche ed evidenze archeologiche

L'amena città di Velletri, che sorse sulle rovine dell'antichissima Velitrae, si trova su uno sperone del monte Artemisio, nelle propaggini meridionali del sistema vulcanico dei Colli Albani. Il luogo della fondazione fu certamente determinato dalla possibilità di controllo delle grandi direttive di comunicazione con i Colli Albani e con la pianura pontina, mentre la fertilità del suolo, l'abbondanza d'acqua e il clima mite favorirono la frequentazione del territorio sin dall'età paleolitica.
La tradizione più accreditata vuole Velitrae di fondazione latina: Dionigi di Alicarnasso, infatti, la inserisce nel novero delle ventinove città della lega Latina, e così Polibio, che ricordando come il primo trattato tra Roma e la potenza di Cartagine escludesse gli interventi della potenza straniera negli affari di Ardea, Anzio, Laurento e degli abitanti del Circeo e Terracina, implicitamente ne conferma l'ambito di appartenenza. Per molti studiosi moderni Velitrae sarebbe invero fondazione etrusca (costituirebbe l'antico centro di Veltri), ovvero volsca, ma ad oggi nessuno ha potuto addurre prove inoppugnabili a sostegno della propria teoria, lasciando così nell'incertezza gli albori della storia veliterna per la quale il primo dato cronologicamente individuabile è costituito dalla conquista della città ai Volsci da parte del console Aulo Virginio Tricosto Celimontano e la successiva deduzione di una colonia (494 a.C.). Due anni più tardi, stando alla testimonianza di Livio, un nuovo gruppo di coloni fu inviato nel territorio per rendere ancor più saldo il possesso romano. Un ulteriore provvedimento di questo tipo fu preso nel 404 a.C.
Insofferente al giogo romano Velitrae non perse occasione di partecipare, nel 385 a.C., alla lotta contro la città egemone al fianco di Equi, Etruschi e Volsci, lotta che si concluse, ancora una volta, con l'affermazione del primato di Roma (381 a.C.). La città perse così lo status di colonia, ma appena un decennio più tardi tornava a sfidare Roma con ripetute devastazioni nei territori latini e l'assalto portato a Tuscolo. La reazione romana fu immediata: per lunghi anni Velitrae fu sottoposta ad assedio e quindi ad un rigido controllo. Il suo vero assoggettamento avvenne solo molto più tardi, quando la battaglia di Torre Astura consegnò a Roma il predominio indiscusso sul Lazio (338 a.C.): le mura urbiche furono abbattute, i beni dei maggiorenti locali, per i quali era prevista la deportazione, furono sequestrati e ridistribuiti ai cittadini romani, mentre da un punto di vista amministrativo le venne riconosciuto lo status di municipium sine suffragio. La riorganizzazione degli insediamenti nel territorio ebbe poi modo, a partire dal 312 a.C., di sfruttare il nuovo asse stradale dell'Appia, mentre imponenti opere di bonifica regolamentarono le acque della zona rendendola eccellente per l'agricoltura intensiva.
A partire dall'età tardo-repubblicana e per tutto l'impero l'amenità del territorio veliterno favorì il nascere e il moltiplicarsi di grandi ville di facoltosi personaggi dell'Urbe: quella attribuita a Gaio Mario è in località Piazza Mario, quelle degli imperatori Ottone e Nerva rispettivamente presso Colle Ottone e Colle Nerva; dall'opera enciclopedica di Plinio si apprende, inoltre, di una residenza di Caligola, chiamata affettuosamente "il Nido". Ad oggi sono state individuate le strutture di oltre una ventina di residenze variamente attribuite: tra queste i resti della villa di San Cesareo, trasformata nel corso del V secolo in luogo di culto con battistero (di qui il toponimo moderno), sono generalmente riconosciuti come quelli della villa degli Ottavi. Le origini veliterne della famiglia di Augusto (Gaio Ottavio Turino) sono ben note e vanto antico della città. Stando alla testimonianza di Svetonio, infatti, la gens Octavia già in epoca regia avrebbe vantato eroi immolatisi per la salvezza e la grandezza di Roma, mentre le fonti epigrafiche offrono testimonianze della gens solo a partire dal III secolo a.C. Il ramo della famiglia di Augusto era di rango equestre e i suoi membri dediti ai commerci: Giao Ottavio, suo nonno, era un argentarius (un banchiere); il padre si coprì di gloria combattendo contro gli schiavi superstiti delle fila di Spartaco e contro i seguaci di Catilina, allo stesso modo fu uomo apprezzato per le doti amministrative e diplomatiche dimostrate durante il proconsolato in Macedonia. Un cives esemplare, che per opportuni calcoli trasferì la sua famiglia nell'Urbe decretando la nascita del futuro Cesare sul Palatino, nel cuore di Roma. Come ovvio questo non impedì alle leggende di legare in nome e la nascita di Ottavio a Velitrae, cittadella in cui sicuramente trascorse la gioventù, ospite della nonna Giulia, la sorella di Gaio Giulio Cesare.
Per quanto concerne la diffusione del cristianesimo nel territorio, testimonianze letterarie e monumentali ne documentano la precocità. Una leggenda vuole che lo stesso apostolo Pietro, durante il suo viaggio verso Roma, abbia evangelizzato la comunità locale, che già nel IV secolo presentava una gerarchia ecclesiastica organizzata e aveva un suo cimitero nella catacomba fuori Porta Napoletana, lungo la strada che collegava Velletri all'Appia. L'importanza della comunità cristiana di Velletri nella tarda antichità è sottolineata anche dalla presenza della sede vescovile, attestata a partire dal 465 (data del sinodo romano indetto da papa Ilario). Della cattedrale di Velletri, che la presenza del vescovo implicava, si conosce l'intitolazione: l'ecclesia Sancti Clementis è infatti menzionata in una lettera di papa Gelasio (492-496). La dedica al terzo successore di Pietro è giustificabile con la pretesa origine veliterna del papa martire, indicato anche come un discendente della famiglia Octavia. La chiesa sorgeva quasi certamente nei pressi dell'antico Foro romano e di un antico santuario del quale è stata rinvenuta la stipe votiva.

LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE

Come già si è fatto cenno, la città di Velitrae dominava un importante incrocio di strade, costruite prima ancora della via Appia, le quali la collegavano con i centri pontini (Cori, Norba, Setia, Privernum), con Satricum (provenendo da Preneste) ed Antium.
Poche sono le testimonianze monumentali di Velitrae. La città antica si estendeva nella zona tra l'attuale porta Napoletana a sud e le vie Andrea Velletrano e dei Lauri a nord. Il Foro (l'antica piazza dove si svolgevano le attività politiche, sociali ed economiche) doveva svilupparsi probabilmente nella zona della piazza Umberto I. Nelle vicinanze si ergeva la Basilica di età repubblicana (edificio con funzioni civili e legali), come dimostra la provenienza dall'area della Cattedrale e dell'Arcivescovado di due iscrizioni menzionanti appunto il Foro e la Basilica. Velitrae aveva anche un anfiteatro, che può essere localizzato tra il Foro e la via di S. Francesco.
Nella città dovevano esserci tre templi: uno presso il Foro, la cui esistenza è testimoniata dalla scoperta, agli inizi del '900, nel cortile dell'Episcopio di un deposito di ex-voto fittili e dai resti di murature antiche in opera quadrata di peperino e in reticolato, ancora visibili sui lati della piazzetta della Cattedrale di S. Clemente. Un secondo tempio era costruito presso la piazza del Comune, mentre i resti di un terzo sono visibili sotto la chiesa di S. Maria della Neve, nella zona occidentale della città. Le strutture murarie, messe in luce da uno scavo del 1915, appartengono a tre fasi costruttive; la cronologia del materiale rinvenuto (ceramica della tarda età del Ferro, buccheri e ceramica greca) indirizza verso il periodo tra il VII e il V secolo a.C.
Il rinvenimento più importante e celebre, pertinente all'alzato di quest'ultimo tempio, è costituito dalle terrecotte architettoniche, scoperte nel 1748 e nel 1915: vi sono rappresentate a basso rilievo corse di carri, processioni di divinità e cavalieri. Questo tipo di lastre è particolarmente diffuso nell'area tra Cerveteri e il Lazio meridionale, in particolare nella regione pontina, ed è testimoniato anche a Roma: esso è ascrivibile alla seconda metà del VI secolo a.C. Queste terrecotte forniscono una documentazione importante che conferma l'esistenza dell'antico centro di Velitrae già prima dell'invasione volsca ed, inoltre, testimonia i suoi contatti con il Lazio.

IL MUSEO COMUNALE

I materiali archeologici sopravvissuti alla distruzione causata dal terribile bombardamento che ha distrutto la città nel 1944 sono raccolti nel Museo Civico Archeologico, che recentemente è stato riordinato con un sapiente allestimento in grado di valorizzare al meglio la ricca collezione di antichità veliterne, ponendo un'attenzione particolare verso la funzione didattica dell'istituto museale. Il monumento più celebre è sicuramente il sarcofago con le fatiche di Ercole, capolavoro dell'arte romana, rinvenuto nel territorio veliterno nell'estate del 1955. L'eccezionalità di questo colossale sarcofago consiste proprio nella sua unicità, in un ambito produttivo sostanzialmente di serie come è quello dei sarcofagi romani. Composto di tre parti: base, cassa e coperchio, è stato realizzato in marmo pentelico (base e coperchio), cavato nei pressi di Atene, e in marmo di Luni (la cassa), italico. La bottega che lo eseguì per un personaggio locale, facoltoso e colto, operava certamente a Roma, ma secondo uno stile sostanzialmente atticizzante. Per realizzare questa importante opera essa andò oltre il repertorio tradizionale: miti e iconografie diverse si mescolano tra di loro in un messaggio salvifico. Su tre lati, infatti, si ripete la raffigurazione dell'ingresso dell'Ade (porta Ditis), che si apre ad una speranza di salvezza, insieme ad un riferimento all'amore coniugale nei miti di Protesialo e Laodamia e di Admeto e Alcesti. Il complesso programma figurativo è un autentico corpus di temi relativi alla morte, all'aldilà e a messaggi salvifici, incastonati in una complessa costruzione architettonica ad edicole, disposte su due piani: imitazione di scenografia teatrale e immagine del "palazzo dell'Ade". La datazione del sarcofago oscilla fra l'età adrianea e la fine del II secolo d.C.

Per la rubrica Archeologia - Numero 76 novembre 2008
Maria Barbara Savo |
Per la rubrica Archeologia - Numero 76 novembre 2008