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Spesso una grande idea, la nascita di un progetto, sono il prodotto di un incontro, di una sinergia, di una coincidenza fortuita. Com'è nata l'idea di scrivere "Il conto dell'ultima cena"? Il giornalista Gianni Di Santo ha qualche responsabilità in merito?...
Sì, certamente...Anzi è il principale responsabile; è lui ad avermi proposto, con molta semplicità , di collaborare... Io non avevo mai pensato di scrivere qualcosa del genere... La redazione del libro è stata travagliata, si è trattato di un impegno per me particolarmente gravoso ...
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Nel sottotitolo del "Conto dell'Ultima Cena" si legge: "il cibo, lo spirito e l'umorismo ebraico". Come definirebbe il suo testo, un libro sull'alimentazione, sulla spiritualità o piuttosto sull'umorismo?
Direi che il libro è un po' di tutto questo. L'umorismo contraddistingue totalmente il mio lavoro: è la griglia attraverso cui guardo il mondo, l'antidoto contro il fanatismo e la violenza. Dal mondo ebraico provengono moltissime storielle; nel libro, in particolare, ho voluto raccogliere quelle che avevano come tema specifico il cibo ... Un altro argomento fondamentale trattato nel testo è quello del vegetarianesimo. Albert Einstein scriveva che solo la dieta vegetariana avrebbe garantito alla terra la possibilità di sopravvivere. E come dimenticare del resto le parole di Isaac Bashevis Singer quando afferma che "nei confronti degli animali siamo tutti nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno". Il mio libro dunque è anche un cammino di ricerca di un'etica del cibo. Molti illustri personaggi si sono apertamente schierati a favore del vegetarianesimo, tra cui il grande maestro rabbi Abraham Isaac Kook, il quale sostiene che la Torah é vegetariana. "Non c'è luogo della Scrittura che non condanni la brutalità nei confronti del mondo animale". Esistono centinaia di versetti che condannano il consumo di carne e il versamento di sangue di animali innocenti con la pratica dei sacrifici. Il Santo Benedetto ha stabilito il suo patto, non solo con l'uomo, ma con tutte le creature viventi, quindi anche con gli animali. Secondo i suoi dettami, prima del diluvio universale gli uomini non si cibavano di carne ma esclusivamente di specie vegetali. Solo in seguito, quando "Dio vide che la terra era corrotta" concesse all'uomo, troppo lontano dallo stato di eccellenza quale è il vegetarianesimo, il permesso di nutrirsi di carne di una ristretta varietà di animali osservando delle regole precise che consentono di effettuare la macellazione senza provocare sofferenza.
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Cibo e cultura ebraica, un legame indissolubile. La kasherut è ancora un valore rigidamente osservato dalle nuove generazioni?
La Kasherut é un valore ancora praticato fra gli ortodossi, ma é molto limitativo. Una delle sue regole fondamentali prevede il divieto di cibarsi di sangue e di mischiare alimenti a base di carne con alimenti a base di latte e latticini ("Non far cuocere il capretto nel latte di sua madre") e questo perché il latte rappresenta la vita, mentre la carne appartiene ad un animale macellato che ne è quindi privo. Il divieto si estende anche sulla tavola con una separazione fra stoviglie e pentole adibite alla loro preparazione. Con l'essere vegetariani si evitano molti problemi; fra gli ebrei ce ne sono molti: il vegetarianesimo é una scelta prima di tutto etica, ma anche dietetica. Io sono profondamente convinto che si tratti di un'alimentazione più sana!
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Nel Suo libro viene riportato il testo della canzone "Alla fiera dell'Est", celebre motivo portato al successo dal cantautore Angelo Branduardi nel 1976. Pochi sanno, che in realtà ci troviamo di fronte alla trasposizione in italiano, di un'antichissima canzone ebraica che veniva eseguita alla fine della cena pasquale. Qual è il significato celato nel testo?
Perché veniva? No, viene cantata anche oggi; anch'io la canto sempre alla fine della cena pasquale. Il canto Khad gadià («Un capretto») presenta diverse interpretazioni. A mio parere, sembra suggerire il momento preciso in cui comincia la violenza, con l'uccisione di un animale innocente. L'uomo compra il capretto al mercato, quindi per l'animale è già sopraggiunta la morte, poi arriva il gatto che mangia il capretto, poi viene il cane. Quindi è il turno del bastone, arriva il fuoco ed è la volta dell'acqua. Dopodichè tocca al bove, arriva il shokhet (il macellaio) e in ultimo l'angelo della morte sconfitto dal Santo Benedetto che chiude la catena. "E' un circolo perverso che richiede l'intervento risolutivo del Santo Benedetto (che rappresenta la vita) per far cessare la spirale della violenza e della morte".
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Come descriverebbe il Suo personale rapporto con il cibo, l'alimentazione?
Alterno e articolato. Per certi aspetti ho una tendenza compulsiva verso i dolci. Per loro ho una predilezione quasi smodata: i dolci sono una promessa edenica, la controprova che l'Eden é esistito. Il sapore che li contraddistingue ricorda quello dolciastro del latte materno, il primo alimento con cui entriamo in contatto. I dolci inoltre sono un antidoto per la nostra vita, spesso così brutale e crudele: come tutti i bambini nati nel dopoguerra, non posso dire di aver sofferto la fame, ma di privazioni ne ho subite tante. Non c'erano molti soldi e quando potevamo comprare un gelato da dieci lire era una grande festa. Sono irresistibilmente attratto anche dai latticini:"il sapore dolce come quello della mozzarella o della ricotta fresca é l'unica traccia di Paradiso concessaci dopo la cacciata". Altri sapori sublimi sono quelli del cioccolato di cui posso affermare di essere un vero cultore, e dei dolci "estremi" che caratterizzano la pasticceria siciliana, come la cassata, la pasta di mandorle, la pasta reale... del resto i miei nonni erano turchi!...
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Gli ebrei della diaspora hanno saputo conservare la propria identità gastronomica ma anche arricchirla con l'apporto della cucina di altri popoli con cui sono venuti in contatto?
Nel modo più assoluto; hanno preso tutto quello che potevano, nonostante la kasherut, e il resto lo hanno trasformato: per esempio, per fare il salame hanno usato l'oca che è un animale kasher...
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Quale libro consiglierebbe ai nostri lettori, oltre naturalmente al "Conto dell'ultima cena", per approfondire la conoscenza di questi argomenti?
Di recente ho letto "Se niente importa"*, il capolavoro di Jonathan Safran Foer, l'autore di "Ogni cosa é illuminata", testo di cui ho realizzato una recensione sull'Unità . Non nascondo che avrei avuto piacere di citare questa interessante testimonianza nel "Conto dell'Ultima Cena", se fosse stata pubblicata prima. Leggendo questo libro, comprendiamo chiaramente come gli uomini siano sadici e sanguinari nei confronti degli animali; come questi ultimi vengano sfruttati negli allevamenti intensivi e sottoposti ad atroci sofferenze durante l'uccisione per trasformarli infine nel nostro cibo quotidiano. A questo proposito Foer racconta un toccante episodio riguardante la sua famiglia: sua nonna durante la guerra, riuscì ad evitare di essere internata nei campi di concentramento, ma per questo dovette rifugiarsi nella foresta; la sua fu una fuga rocambolesca, senza cibo e con i tedeschi alle calcagna. Quando era ormai ai limiti delle forze, un contadino russo la vide e ne ebbe compassione: entrato in casa, ne uscì con un pezzo di carne di maiale, ma lei scelse di non mangiarlo. Alla domanda del nipote che sconvolto le chiedeva come mai avesse rifiutato, lei rispose decisa: "Non era kasher". "Ma nonna, neppure per salvarti la vita?" E lei allora aggiunse: "Se niente importa, allora perché vivere?". La legge ebraica in casi eccezionali come questo, in cui si tratta di salvare una vita, concede di infrangere i suoi divieti. Ma questa donna ci ha lasciato una testimonianza esemplare: non fu la legge a rappresentare una proibizione, la sua scelta fu il frutto della sua visione del mondo, della sua etica.
E per finire qualche domanda un po' più frivola...
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Il suo piatto preferito? Ho letto che sua madre era un'eccellente cuoca, c'è un piatto in particolare che le ricorda la sua infanzia?
E' difficile scegliere; ci sono molte cose che amo, moltissime direi. Mia madre preparava pietanze squisite, in particolare ricette della cucina greca. C'è un piatto che adoravo: i dolmades, involtini di foglie di vite con ripieno di riso e carne. Lei sapeva dosare gli aromi in modo da ottenere un sapore agrodolce eccezionale. Possedeva una maestria che non ho mai più ritrovato. Sapeva anche preparare una zuppa di fagioli alla bulgara, con salsa di pomodoro, cipolla,etc. ...Sublime!
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Una ricetta ebraica da suggerire ai nostri lettori?
Non saprei... Ne ho inserite molte nel mio libro, tutte da scoprire e sperimentare!
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Il suo prossimo progetto editoriale o teatrale?
Dal punto di vista editoriale, non ho per il momento nulla in programma...Per il teatro sto preparando due monologhi sulle poesie di Yannis Ritsos, un gigante della poesia ellenica che io amo alla follia e che conosco nella sua lingua originale. Attualmente sono ancora in tournée con il mio ultimo spettacolo scritto insieme a Roberto Andò "Shylock - Il mercante di Venezia in prova" tratto da Shakespeare.
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* Jonathan Safran Foer, Se niente importa : perché mangiamo gli animali?, Parma, Guanda, [2010]
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Un particolare ringraziamento a Moni Ovadia per la straordinaria disponibilità e a Maria Grazia Dal Bianco per la collaborazione nella realizzazione dell'intervista.