Edito per la prima volta nel 2007 dalla casa editrice Iride (Gruppo Rubbettino), "L'assaggiatrice", romanzo d'esordio della scrittrice Giuseppina Torregrossa, è stato nuovamente pubblicato dallo stesso gruppo editoriale nel 2010, dopo una revisione dei contenuti e con una nuova veste grafica che ha incontrato da subito il favore dei lettori, collocandosi di diritto, per la particolare costruzione del testo e l'argomento trattato, tra i romanzi appartenenti al filone della letteratura enogastronomica. L'opera dell'autrice siciliana rappresenta infatti un vero e proprio omaggio ad una terra generosa, la Trinacria, isola antica dalla cultura gastronomica complessa e variegata, ricostruita grazie ai profumi e ai sapori dei numerosissimi piatti tradizionali che "infarciscono" letteralmente l'intera narrazione. Le ricette, collocate all'inizio di ciascun capitolo e minuziosamente descritte durante il loro completo processo di realizzazione, vanno infatti ad inframmezzare piacevolmente lo svolgersi del racconto. La storia è ambientata in Sicilia, nel paesino di Tummìna, e vede come protagonista principale Anciluzza, donna dal temperamento mite e remissivo, perennemente "attapanata"1, che dopo la sparizione improvvisa del marito Gaetano, ingegnere comunale, "ometto insignificante, basso e un po' grassoccio", è costretta a "fabbricarsi" una nuova esistenza allo scopo di mantenere se stessa e le due figlie. Molte sono le voci che circolano in paese riguardanti la misteriosa scomparsa, e le ipotesi più disparate si rincorrono sovrapponendosi in un'altalenante sinfonia di chiacchiere da bar: si parla di allontanamento volontario, di delitto di mafia, di rapimento e addirittura di un caso di lupara bianca. E mentre la polizia svolge le indagini di rito per tentare di individuare le possibili cause dell'enigmatica sparizione, senza perdersi d'animo Anciluzza, casalinga laureata alla quale il marito non ha mai permesso di svolgere alcuna attività lavorativa, si butta a capofitto in un'impresa impegnativa come quella di aprire un'attività commerciale; su consiglio della sorella Fifidda, decide infatti di recuperare il vecchio magazzino usato un tempo dal padre per custodirvi le attrezzature da pesca - ormai in stato di abbandono - collocandovi una putìa per turisti. Nel locale, situato alle porte del paese, nella località balneare di Strafalcello, dà così avvio ad un florido commercio di prodotti tipici siciliani. Una gastronomia dai mille volti e dalle molteplici emozioni frutto dell'apporto delle numerose civiltà che si sono succedute sul territorio isolano. Nella bottega battezzata da Anciluzza con il nome di "Odori e sapori", "quaranta metri quadri zeppi di oggetti, cibi e bottiglie", si respirano gli effluvi odorosi della zagara e del bergamotto o quelli del sapone all'olio di oliva fatto a mano; mentre sulle pareti, circondati da trecce d'aglio, peperoncini ed alloro, fanno mostra sugli scaffali di legno grezzo barattoli di miele dorato, tonno sott'olio, bottarga e bottiglie di vino locale, tra cui troneggia "il cannellino, un liquore sciropposo e dolce che evoca atmosfere arabe". Ma la specialità che rende unico il negozio è senza dubbio la cioccolata al peperoncino, dalle note proprietà afrodisiache, realizzata artigianalmente e "sottile come una foglia di carrubo". Nel retrobottega inoltre Anciluzza cucina per gli abitanti del paese ma anche per i turisti, realizzando piatti che rappresentano una sorta di sintesi delle numerose specialità che caratterizzano la gastronomia siciliana, contaminata da influenze della cucina della Magna Grecia, di quella romana, araba, normanna, nonché di quella aragonese e francese. E tra cous cous e zuppa di pesce, cassatelle di ricotta, caponata, pane cunzatu, biancomangiare al latte di mandorla e zucca in agrodolce, Anciluzza acquista una nuova consapevolezza, raggiungendo una libertà mai provata che la porta a vivere un'esistenza completamente diversa da quella vissuta precedentemente. L'esercizio dell'arte culinaria diviene infatti una forma di riscatto ma anche un mezzo di seduzione attraverso il quale la donna conquista i suoi numerosi amanti, irretiti dal cibo e saziati attraverso la sua carne. In cucina si coltivano dunque amicizie, si raccolgono confidenze, ma soprattutto si assaporano e si consumano passioni travolgenti, come quelle vissute dalla protagonista. Anciluzza fa dono del suo corpo spontaneamente e senza sensi di colpa; vive storie "platoniche" come quella con Bruno, il commissario di polizia che le rivolge occhiate di fuoco, reali e appassionate come quella con Amed, l'uomo dai profondi occhi neri conquistato attraverso una irresistibile pignoccata, oppure giocose come quella imbastita con Cicciu lu sceccu condita con polpette in spiedini e scorzette di agrumi candite, fino ad approdare ai massaggi da "Mille e una notte" di Adele... Ed assieme al cibo nei simposi degli amanti trionfa anche il nettare di Bacco: i grandi vini siciliani, espressione di un territorio dalla tradizione millenaria, come il Passito di Pantelleria ottenuto da uve zibibbo, "un vino da meditazione, che ha la facoltà di evocare pensieri profondi, fatto con uva dolce, maturata al sole forte di Pantelleria e asciugata dal vento", o il raffinato Moscato di Noto, entrambi descritti e degustati nel romanzo, unitamente ad altre perle enoiche del mare vinicolo siciliano. E nello scorrere le pagine del testo della Torregrossa non possono non percepirsi in lontananza gli echi letterari di componimenti narrativi come "Afrodita. Racconti, ricette e altri afrodisiaci" di Isabel Allende, "Dolce come il cioccolato. Romanzo piccante in 12 puntate con ricette, amori e rimedi casalinghi" di Laura Esquivel, "Gabriella garofano e cannella" di Jorge Amado, romanzi che, come "L'assaggiatrice", comprovano l'imprescindibile legame tra cibo ed erotismo e dove lo stesso atto del nutrirsi diviene un'arma di seduzione infallibile, un simbolo di libertà , un canale privilegiato per trasmettere sentimenti ed emozioni, capace di riscattare un'intera esistenza.
*1) Termine dialettale letteralmente intraducibile che indica una situazione di costrizione a cui è impossibile sottrarsi.
[...] È quasi Ferragosto, e Strafalcello si è riempita di gente. Rumori, cammurrìe, nervosismo, caldo di giorno e di notte; le cicale che gridano senza pausa, l'odore dei fichi sfatti in tutta la contrada. Le spiagge sono affollate di persone che cercano un poco di refrigerio mettendosi ammollo. In mezzo alla piazza, vicino ai tavolini del bar, hanno sistemato uno schermo che aggiunge confusione al disordine anarchico del paese. Don Antonio ora dice la messa venerdì, sabato e domenica; gli altri giorni della settimana celebra matrimoni. In questo periodo dell'anno gli emigrati tornano dall'America a passare le vacanze. Grasse signore di una certa età , bionde, rosse, viola, azzurre, capelli cotonati, girano per il paese accompagnate da vecchi incontinenti con collane d'oro al collo e un brillante al mignolo. E da una parte all'altra della piazza è un continuo scambio di cortesie verbali: e comu si? Okkei, okkei! Signuri' m'avìti a pirdunare, vossia è la figghia di... Toooni! Pigghia la picciridda e tornatinnì a casa! Le parole, a metà tra il dialetto antico di chi ha lasciato il paese molti anni fa in cerca di fortuna e l'invenzione fantasiosa di chi vuole comunicare a tutti i costi, sono una colonna sonora disarmonica, colorita e sgrammaticata. [...] Questa mattina sono stata al mercato, ho preso la zucca gialla, quella di Cenerentola, ho pensato che fredda, all'agrodolce, è il pranzo giusto per me e per un ospite che potrebbe presentarsi all'improvviso. Ci spero sempre che arrivi qualcuno. Dico qualcuno, ma penso a Hamed. Oggi è passata anche Giosi, detta la Romana [...] È in paese stamattina, si vede che in spiaggia proprio non ci si può stare. Ancheggiando in un vestito azzurro, intrusciato attorno ai fianchi, si avvicina alla porta del mio negozio; mi prendo di coraggio e la chiamo: «Dottoressa, le piace la zucca?». Apre la bocca per rispondermi e mi mostra una fila di denti bianchi, lucidi lucidi, mi risponde con un accento forzatamente siciliano: «Signora, me la preparava mia madre, io non la so cucinare». Miiiiiii, quanto ci tiene alla sicilianità , penso mentre cerco di invitarla a mangiare con me. [...] Taglio la zucca a pezzi grossi e regolari. Ho un coltellone grande e affilato e non mi posso distrarre, non vorrei farmi male. Scaldo l'olio e faccio imbiondire due spicchi d'aglio, poi li butto via e comincio a friggere i cubetti. La Romana non parla più, la guardo di nascosto e mi accorgo che ha gli occhi lucidi, sto zitta, è meglio non disturbare i ricordi, ma ora sono certa che il tormento c'è ed è un amore ammalorato, sennò che cosa? In un bicchiere mescolo aceto bianco e un cucchiaino di zucchero, innaffio la zucca dorata, lo faccio evaporare un poco. Cotta. La dispongo su un piatto di portata. Aspetto che si freddi, guarnisco con foglioline di menta e apparecchio. [...]
(Il brano riportato in corsivo è tratto da Giuseppina Torregrossa, L'assaggiatrice, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010)
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La ricetta
ZUCCA IN AGRODOLCE
Ingredienti:
zucca gialla kg 1
2 spicchi d'aglio
olio extravergine d'oliva
1 bicchiere di aceto bianco
zucchero
sale
foglioline di menta
Preparazione:
Privare la zucca della buccia e dei semi. Affettarla e ricavare una serie di cubetti di grandezza media. Pelare l'aglio e imbiondirlo in una padella con abbondante olio; eliminare l'aglio e friggere la zucca, quindi salarla a piacere.
Sciogliere un cucchiaio di zucchero in un bicchiere d'aceto e irrorare la zucca. Lasciare evaporare e trasferire il preparato su un piatto. Servire fredda, con decorazioni di foglioline di menta.