Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Biblioteca di Trimalcione

Odore di chiuso

"L’assassino celato in quell’ultimo fatale sorso di Porto… Sulle tracce dell’omicida un meticoloso delegato di Pubblica Sicurezza ed un estemporaneo investigatore dal fiuto infallibile: il letterato gastronomo Pellegrino Artusi, considerato il padre della cucina italiana."

Si sono recentemente concluse le celebrazioni per il centenario della morte di Pellegrino Artusi (Forlimpopoli 1820-Firenze 1911), autore del celeberrimo trattato "La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene; Manuale pratico per le famiglie", pietra miliare nella storia della tradizione gastronomica italiana postunitaria. Ancora oggi, a distanza di più di un secolo dalla sua pubblicazione, il testo dell'Artusi conserva immutato il suo fascino con una freschezza di contenuti e un'attualità sorprendenti che trascendono le finalità insite nel trattato: caratteristiche che divengono uno straordinario elemento di richiamo per qualsivoglia lettore, come testimonia l'eccezionale numero di edizioni succedutesi nel tempo. Piero Camporesi, nella sua introduzione alla "Scienza in cucina"* afferma che "accanto a Cuore e a Pinocchio, il testo è uno dei massimi prodotti della società italiana del secondo Ottocento". Molteplici ristampe hanno dunque modificato e arricchito la prima edizione dell'opera, pubblicata a Firenze nel 1891 a spese dello stesso Artusi.
Il trattato che annoverava fra le sue pagine 349 ricette, venne in seguito rielaborato sia dal punto di vista strutturale che linguistico, sino alla stesura definitiva che inglobava una raccolta di 790 ricette tratte dalla tradizione popolare italiana, intervallate da aneddoti, osservazioni, rimandi, alla quale l'autore - nell'edizione del 1910 - aggiunse un'appendice dedicata alla "Cucina per gli stomachi deboli". Si tratta di un manuale di arte culinaria ante litteram, primo nel suo genere, che ha contribuito all'unificazione nazionale del paese, grazie all'uso della lingua italiana e dove i piatti appartenenti alle diverse gastronomie regionali sono stati diligentemente raccolti divenendo un patrimonio culturale comune per l'intera penisola, un vero e proprio modello di cucina nazionale. Perché "Un libro di cucina dovrebbe essere comprensibile a tutti, perché tutti noi mangiamo e abbiamo diritto di mangiar roba buona e cucinata bene; dovrebbe essere scritto in italiano, perché siamo italiani, e non in quel gergo francioso che viene inteso solo nelle regioni nordiche; e dovrebbe dare delle dosi, vivaddio, in grammi e in litri, che sono uguali per tutti, e non in once, mestolate o pizzichini o ombrette, quando si degnano di darti le dosi."
Queste le parole fatte pronunciare all'Artusi dallo scrittore Marco Malvaldi nel suo romanzo "Odore di chiuso", pubblicato dalla casa editrice Sellerio nel 2011. Nella narrazione, tributo dell'autore all'illustre gastronomo, vengono infatti evocate la figura e i tratti caratteristici della personalità del baffuto e pingue romagnolo, inserito fra i protagonisti principali del racconto. Nell'armonico impianto strutturale del testo, intarsiato di dialoghi "pungenti" e sagaci, conditi ed edulcorati da un'irresistibile ironia dal sapore d'altri tempi, l'azione si consuma in un vetusto castello immerso nel paesaggio paludoso della Maremma toscana. Nelle adiacenze della Bòlgheri del grande poeta Giosuè Carducci, gli abitanti dell'antico maniero, il barone Romualdo Bonaiuti ed i suoi familiari, trascorrono nell'ozio le interminabili giornate, interrotte soltanto dal provvidenziale arrivo di ospiti espressamente convocati che contribuiscono così a movimentare la vita sociale di nobili e famigli. Malvaldi ci restituisce così uno spaccato di vita quotidiana di una nobiltà decaduta non soltanto nella proprie fortune materiali, ma declinata e deteriorata soprattutto nella sua autorevolezza; un'aristocrazia corrotta, le cui consuetudini e i cui privilegi, sembrano appartenere ad un mondo scomparso, superato dall'affacciarsi del nuovo secolo, ma che al tempo stesso, al lettore moderno non possono non rammentare per alcuni versi la condotta dell'attuale classe politica. Dall'esplicita menzione di fatti storici realmente accaduti, come l'avvento del Governo Crispi o l'introduzione del nuovo codice penale Zanardelli, così come da alcuni passi del diario tenuto da Pellegrino Artusi e riportati nel corso del racconto, ricaviamo la collocazione temporale del romanzo, oltre ad importanti annotazioni riferite allo stato sociale ed economico dell'Italia.
Nel giugno del 1895 dunque, in occasione di una battuta di caccia al cinghiale, fanno ingresso presso il castello del settimo barone di Roccapendente, due ospiti alquanto singolari: il signor Ciceri, "dagherrotipista e fotografo d'ambiente", giunto appositamente per immortalare sulle prime lastre fotografiche il maniero oltre a "scene di caccia e di vita del luogo", e il letterato** gastronomo Pellegrino Artusi, autore di un famoso libro di ricette, "La Scienza in cucina e l'Arte del mangiar bene" che allieterà con la descrizione delle sue preparazioni e con il suo intelletto la tavola baronale. Immortalato da Malvaldi in abiti desueti ed un paio di ingombranti mustacchi bianchi, Pellegrino Artusi, ormai ultrasettantenne, approda nella residenza gentilizia, dove in occasione della cena imbandita presso il salone di rappresentanza del castello, si imbatte in un'umanità variegata, silenziosamente assorta nello smantellamento di un gigantesco e appetitoso pasticcio; alla tavola sono presenti, oltre al barone, la dispotica baronessa madre, i giovani eredi Gaddo, poeta ed estimatore del Carducci, il perdigiorno Lapo perennemente dedito ai piaceri della carne, l'insofferente e ribelle Cecilia, oltre al fotografo fiorentino Ciceri.
Intorno ai personaggi principali si muove poi un nutrito entourage costituto da cugine zitelle, domestici e dame di compagnia. L'incanto si spezza con il ritrovamento di un cadavere nella cantina del castello e il successivo ferimento del barone. Tutti gli indizi ed i sospetti si incanalano verso la cameriera Agatina, ma il fiuto infallibile dell'Artusi ribalta una sentenza già emessa. Provocatorio, agrodolce, disseminato di ricette e consigli culinari - dall'artusiano brodo per i convalescenti, al pasticcio della Parisina passando per un'indimenticabile digressione chimica inerente la preparazione della salsa maionese - "Odore di chiuso" è un romanzo leggero, vivace, di straordinaria attualità, che offre innumerevoli spunti di riflessione.

 

Dal diario di Pellegrino Artusi
Domenica, 18 giugno 1895

[...] Stasera, dopo cena, andai a trovare la cuoca nel suo regno, per insegnarle il brodo per i convalescenti; [...] Se io preparo il brodo, dico, e voi preparate il vostro polpettone zingaro (tale è il nome del manicaretto di tonno a cui non riuscivo a togliere il pensiero) ognun dei due, guardando, imparerà dall'altro come fare, ed intanto potete raccontarmi di Agatina: giacché quello avevo inteso essere il suo primo desiderio. Così ci mettemmo all'opra; ella cominciò collo spellare un peperone giallo sul fuoco, e dopo andò a mettere in una padella del sedano tagliato grosso, cui aggiunse il peperone a listarelle e le olive senza il nocciuolo. Nel mentre, fece alzare il bollore a due decilitri dì latte circa e vi bagnò delle fette di pane raffermo. Dopo aver messo nella padella del tonno sott'olio, sbriciolandolo colle mani, mescolò fino a che l'intruglio ebbe tirato tutto l'unto. Indi vi aggiunse il pane, vi ruppe due uova, mescolò il tutto e lo mise nel forno. Nel mentre faceva, mi raccontò di come questo piatto le fosse stato insegnato proprio da degli zingari, anni prima, quando suo padre mercanteggiava in cavalli e aveva frequentazioni con questi nomadi. Le frequentazioni erano intense e spesso, trattandosi dì affari e per di più con gente di natura focosa, dalle contrattazioni si addiveniva alle liti, le quali poi si placavano con la stessa facilità con cui si erano innescate, e si necessitava allora di far la pace: e da che mondo è mondo, la pace si fa a tavola. [...]

 


La ricetta
Polpettone all'uso zingaro

Ingredienti: Tonno sott'olio, gr. 500; Peperoni gialli, n. 2; Pane del giorno avanti, gr. 300; Olive nere, gr. 100; Uova, n. 2; Latte, decilitri 2; Olio, tre cucchiaiate; Burro, gr. 20; Pangrattato, gr. 40; Panna della più fine, decilitri 0,5; Costole di sedano lunghe un palmo, n. 3; Prezzemolo, alcune foglioline. Avendo a disposizione olive taggiasche, il piatto ne guadagnerebbe.

Procedimento: Passare i peperoni sulla fiamma onde spellarli con facilità, soffregandoli nella carta gialla; mondarli, privarli dei semi e tagliarli a pezzetti. In una ampia padella, fare soffriggere il sedano a sottili fettine, e quando avrà preso il colore aggiungere il peperone e far cuocere per il tempo di un saluto ad una bella dama. Mettere nel frattempo il pane ad ammollare nel latte dopo avergli fatto alzare il bollore. Aggiungere indi il tonno, dopo averlo sbriciolato con una forchetta, e lasciare che si ritiri. In successione, sempre girando, aggiungere olive snocciolate, il pane ammollato e strizzato, prezzemolo, sale e pepe. Lasciar quindi raffreddare. In una ciotola riprendere il composto, intridendolo con le uova, e lavorandolo bene colle mani; poi legare con la detta panna. Si unga quindi una teglia di rame stagnato e si spolverizzi con la metà del pangrattato; versare quindi il composto, coprire la superficie col resto del pangrattato e cuocerlo nel forno o nel forno da campagna. Questa dose potrà bastare per quattro persone; ed anche di più, se si accontentano.


Il trionfo della chimica in cucina...

La maionese? Niente di più di "un'emulsione stabile di olio in una base acquosa".
Nel romanzo di Malvaldi la regina delle salse raccontata da Pellegrino Artusi.

[...] L'Artusi ridacchiò e si pulì i baffi con aria saputa. - Cosa state mangiando, signor Lapo? Intendo, con cosa è condito il vostro pesce?
- Con della maionese. Volete assaggiare?
- No, vi ringrazio. Sapete di cosa è composta cotesta salsa?
- Ma, non saprei. C'è dell'uovo, senza dubbio. E dell'agro di limone, credo.
- Esattamente. [...] - Permettetemi allora una breve digressione di cucina. La maionese è un'emulsione stabile di olio in una base acquosa, costituita dal succo di limone e dall'aceto. In pratica, è come se fosse un insieme di minutissime goccioline d'olio disperse in una matrice acquosa. La stabilità di tali gocce è data da un componente del torlo d'uovo, detto lecitina. [...] - La lecitina è una molecola che si ritiene fatta come una sorta di girino, perdonate la rozzezza di questa spiegazione, che ha una testa idrofila - ovvero che si scioglie in acqua - ed una coda lipofila, ovvero che si scioglie in olii e grassi. Quando sbattiamo insieme acqua ed olio, queste goccioline che si formano vengono stabilizzate proprio dalla presenza di questi piccoli girini, che si dispongono con le loro code dentro la goccia e con le loro teste in acqua, ancorando così la superficie della goccia al proprio ambiente acquoso ed evitando che l'emulsione si rompa, e il tutto si smescoli tornando ad olio che galleggia in acqua.
[...]

(I brani riportati in corsivo sono tratti da Marco Malvaldi, Odore di chiuso, Palermo, Sellerio, 2011)



La ricetta
Salsa maionese
Questa è una delle migliori salse, specialmente per condire il pesce lesso.

Ponete in una ciotola due torli d'uovo crudi e freschi e, dopo averli frullati alquanto, lasciate cadere sui medesimi a poco per volta e quasi a goccia a goccia, specialmente da principio, sei o sette cucchiaiate od anche più, se lo assorbono, d'olio d'oliva; quindi fate loro assorbire il sugo di un limone. Se la salsa riesce bene deve avere l'apparenza di una densa crema; ma occorre lavorarla per più di 20 minuti. Per ultimo conditela con sale e pepe bianco a buona misura.
Per essere più sicuri dell'esito, ai due rossi d'uovo crudi si usa aggiungerne un altro assodato.

(Pellegrino Artusi,La scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene)

 


*Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene, Torino, Einaudi, 1995
**Pellegrino Artusi si era dedicato con passione agli studi letterari e filologici, dando alle stampe, sebbene con scarso successo, due saggi: Vita di Ugo Foscolo. Note al carme dei Sepolcri, Casa Editrice Barbera, Firenze, 1878 e tre anni dopo presso la stessa casa editrice le Osservazioni in appendice a trenta lettere di Giuseppe Giusti.

 

Bibliografia essenziale

  • Alfredo Roncuzzi, Profilo biografico di Pellegrino Artusi e osservazioni su La scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene, Forlimpopoli, Cassa rurale ed artigiana, 1990
  • Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene, Torino, Einaudi, 1995
  • Giuseppe Sangiorgi, Annamaria Toti, Artusi. La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene. Le ricette di Pellegrino Artusi analizzate da due dietologi amanti della buona cucina, Milano, Il Gazzettino, 2006
  • Lucio Braglia, Eppur si cuoce. Conversazioni filosofico-gastronomiche tra Galileo Galilei e Pellegrino Artusi, Roma, Avverbi, 2000
  • Massimo Popolizio, Il caso Artusi. Patologie italiane, Roma, Luca Sossella, 2005
  • Rino Pensato, Antonio Tolo (a cura di), Pellegrino Artusi. La cucina domestica e i ricettari di casa. Mostra bibliografica e documentaria 1891-2011, Forlimpopoli, Casa Artusi, 1-30 aprile 2011, Forlimpopoli, s. n., 2011

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  • Luciano Artusi, Ricciardo Artusi, A tavola con gli Artusi. 120 anni dopo La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, Firenze, Mauro Pagliai, 2011