Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Biblioteca di Trimalcione

Irresistibili delizie partenopee per il Natale del Commissario Ricciardi

Il Natale è un'emozione.
Può durare un anno intero, nell'attesa di un regalo, di un nuovo bacio, di un dolce mangiato alla luce di candele rosse.
Ha il sapore di mandorle e cannella, di perline di zucchero e brodo di gallina.
Il Natale è un'emozione.
Viaggia sulla luce di mille lampadine, su fili elettrici dipinti di nero per dare l'impressione di stelle cadute dal cielo, agitate dal vento. Si riflette in tante voci che si scambiano finto affetto, abbracci dimenticati e auguri di ogni bene.
Il Natale è un'emozione.
Un'aspettativa di qualcosa di nuovo, finalmente.
O solo del ritorno, con valigie di cartone legate con lo spago in vagoni pieni e puzzolenti, dai posti del lavoro a quelli degli antichi amori, che ridiventano nuovi se visti da così lontano.
Il Natale è un'emozione.
E' forte, come la voglia di casa nel freddo e nel vento, e sottile, come il suono di una fisarmonica in una taverna per chi passa in fretta, senza sapere bene dove andare.
Il Natale è un'emozione.

Lo puoi aspettare giorno dopo giorno, da quando lo scirocco cade sotto i colpi del vento del Nord, ma ti arriverà addosso all'improvviso, comunque, come un cavallo imbizzarrito pieno di sonagli e pennacchi.
Il Natale è un'emozione.
E' forte come un battito di cuore, è lieve come un battito di ciglia.
Ma può essere portato via da un colpo di vento, e non arrivare mai.

Nel romanzo "neorealista" di Maurizio De Giovanni, il ritratto di una Napoli che brulica di "amori, fame, odi e rancori", un immenso presepe vivente colorato, caotico e chiassoso, impregnato delle fragranze e dei sapori della grande tradizione campana...

Tutti coloro che hanno avuto modo di conoscere ed apprezzare la produzione drammaturgica di Eduardo De Filippo e nella fattispecie, la celeberrima opera teatrale "Natale in casa Cupiello", rappresentata per la prima volta al teatro Kursaal di Napoli nel dicembre del 1931, non potranno non rilevare, l'omaggio tributato da Maurizio De Giovanni all'esimio autore della commedia, nel romanzo "Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi", (Einaudi 2011). Dopo le appassionanti avventure dell'incorruttibile ispettore di polizia, narrate nella quadrilogia afferente al ciclo delle "Stagioni", il commissario Luigi Alfredo Ricciardi torna dunque protagonista di un originale "noir", imbevuto dell'ironica malinconia, delle solitudini, della comicità amara della commedia di Eduardo. Ancora una volta, De Giovanni sceglie per l'ambientazione del romanzo che inaugura il nuovo ciclo delle "Festività", la città di Napoli, terra in cui affondano le sue radici, fotografata nella settimana immediatamente precedente le festività natalizie. La storia, densamente popolata da una moltitudine di personaggi memorabili, finemente cesellati grazie alla straordinaria capacità dello scrittore di renderli vivi e reali, nasce nel cuore di una metropoli che è un immenso presepe vivente. Un presepe che dura tutto l'anno, che "si ripara dal caldo e dal freddo come meglio può e che medita come migliorare la propria terribile condizione. Un presepe in cui i pastori sono pronti a tutto". Come in un ideale palcoscenico del vivere quotidiano, i diversi attori che animano la narrazione, emblemi viventi dello spirito partenopeo, appaiono dunque scolpiti nella duttile cera della veridicità, in quanto il "teatro non è nient'altro che lo specchio della vita umana". E mentre fervono i preparativi per l'allestimento della prima rappresentazione della commedia, quell'atto unico di De Filippo, che rappresenta il Natale vissuto in una famiglia borghese di Napoli, il clima gioioso e carico di promesse in cui sembra avvolta la città, viene bruscamente squarciato dalla notizia di un efferato delitto, consumato in un opulento alloggio di Mergellina, l'antico borgo di pescatori divenuto nel tempo uno dei quartieri più rinomati ed eleganti. Nell'appartamento, situato in una palazzina di recente costruzione, immersi in un lago di sangue, vengono rinvenuti i corpi di Emanuele Garofalo, funzionario della milizia portuaria e di sua moglie Costanza; la donna è stata sgozzata con un unico colpo di lama, mentre all'uomo sono state inferte più di sessanta coltellate, molte delle quali assestate dopo la morte. Sulla scena del delitto l'assassino ha vergato un inquietante messaggio celato nel grande presepe allestito nel salottino addobbato con festoni e coccarde: una statuina di san Giuseppe, patrono dei lavoratori, spezzata e nascosta assieme ai suoi cocci, sotto la pesante tovaglia di tela rossa con le stelle ricamate. Le indagini relative all'omicidio vengono condotte dalla squadra mobile della regia questura di Napoli, nella persona del commissario Ricciardi coadiuvato dal brigadiere Maione. Schivo, solitario, di poche parole, anticonformista e privo di ambizioni, l'ispettore di polizia "dagli inquietanti occhi verdi" e che "porta male" in quanto possiede il dono della premonizione, che gli consente di vedere e sentire "i morti ammazzati", percependone i pensieri e le parole nel loro ultimo istante di vita, deve risolvere un caso particolarmente complesso e delicato, in quanto per il regime "l'uccisione di un ufficiale non è un crimine da strada, è un problema di Stato!". L'indagine serrata e ricca di continui colpi di scena prende così avvio tra i vicoli del porto, dove i pescatori strappano al mare ogni giorno la propria sopravvivenza, tra le strade di una Napoli rumorosa e frenetica, dove "i profumi di mandorle caramellate, di castagne arrosto, di carciofi alla brace e pizze fritte, vengono portati ovunque dal vento, facendo aumentare la saliva in tutte le bocche e facendo gorgogliare gli stomaci". Procede in via San Gregorio Armeno, il luogo dove nell'antichità venivano realizzate le statuette celebrative di Cerere, dea dell'abbondanza e che ora ospita i "figurari", gli artigiani che fabbricano le artistiche statuine utilizzate nei presepi. Rovista tra le botteghe e le macellerie, tra le vetrine dei "dolcieri", traboccanti di struffoli, paste di mandorle, roccocò, mostaccioli e pignolate; tra i "verdummari" e le loro variopinte e profumate composizioni, fino ad approdare presso lo scenografico mercato del pesce di Via Toledo. Ma la soluzione dell'enigma è nascosto in un rituale irrinunciabile per il popolo napoletano, il presepe, protagonista assoluto del Natale nelle case dei ricchi quanto dei meno abbienti, perché è proprio nella più famosa delle rappresentazioni, là dove fede e superstizione si mescolano, dove verità e leggenda si sovrappongono, che si cela il movente dell'atroce delitto di Mergellina. Ricciardi è chiamato dunque a decifrare la complessa simbologia legata all'arte presepiale, in un affascinante viaggio misterico che attraverso la rappresentazione plastica della nascita di Gesù, ripercorre le tappe del cammino dell'uomo, dal buio del peccato alla luce della speranza incarnata dal dio fatto bambino: per questo ogni presepe, anche il più misero, è articolato su tre livelli: "in alto il castello di Erode, che rappresenta il potere e la prevaricazione; in mezzo la campagna, col gregge, i pastori e il resto; in basso, e davanti, la grotta con la Natività." Quale messaggio ha dunque voluto inviare l'assassino frantumando la statuina di san Giuseppe, simbolo per eccellenza della paternità, ma anche dello spirito di sacrificio, del lavoro quotidiano esercitato per assicurare il pane ai propri figli e "di tutto l'amore e tutta la sofferenza che si porta un padre addosso"? Chi e per quale motivo è stato ingiustamente privato di tali diritti? E perché le ferite prodotte sul corpo del centurione Garofalo sono assimilabili per tipologia e numero a quelle inferte nel martirio a san Sebastiano, il capo delle guardie imperiali di Diocleziano, divenuto patrono della milizia? Tra i vicoli di una Napoli senza tempo, cullata dalle melodie dei suonatori di zampogne e impregnata "degli odori della frittura, della pizza, dei maccheroni, dei frutti di mare e delle mandorle caramellate", la verità ha il sapore agrodolce ed incandescente della passione e della vendetta, perché il delitto - come afferma il commissario Ricciardi - è sempre il frutto amaro della fame e dell'amore: dalla prima vengono generate ambizioni e invidia, dal secondo odio, gelosia e rabbia. E attraverso la descrizione della capitale partenopea, raccontata e resa viva dalla straordinaria sensibilità dell'autore, si contempla così l'intera umanità con le sue gioie e le sue miserie: passioni e debolezze che alimentano la narrazione alternandosi in un gioco di luci e ombre, disperazione e speranza. Stilisticamente impeccabile, soffuso di poesia, commovente, il racconto "neorealista" di De Giovanni raggiunge l'apice del pathos nelle particolareggiate descrizioni dei paesaggi dell'anima, a lui così congeniali da regalarci pagine struggenti sull'amicizia, sull'amore coniugale, paterno e filiale, sulla vendetta e sulla capacità di perdono, senza dimenticare mai le storie e la composta indigenza degli abitanti dei bassifondi e la loro fiera quotidiana lotta per la sopravvivenza. E per questo, la festa che segna l'inizio della redenzione dell'umanità - la natività di Cristo - dopo essersi immersi nella magia della città del "presepe che dura tutto l'anno", anche per coloro che ne stigmatizzano le ipocrisie, i falsi buonismi, la ricchezza ostentata, non sarà più la stessa: perché "Il Natale è un'emozione, che viaggia sulla luce di mille lampadine, su fili elettrici dipinti di nero per dare l'impressione di stelle cadute dal cielo, agitate dal vento", "Lo puoi aspettare giorno dopo giorno, da quando lo scirocco cade sotto i colpi del vento del Nord, ma ti arriverà addosso all'improvviso, comunque, come un cavallo imbizzarrito pieno di sonagli e pennacchi...".

[...] A Ricciardi e Maione il Natale arrivò addosso urlando, appena girarono l'angolo di via Toledo. Come da tradizione, il 23 di dicembre trasformava una delle più storiche strade della città, quella che dagli antichi quartieri dell'esercito aragonese conduceva al porto, nel grande mercato a cielo aperto dell'alimento principe delle tavole festive napoletane: Sua Altezza il Pesce. Decine di cassoni di legno dipinti d'azzurro per dare l'idea del mare e della freschezza erano stati sistemati, come accadeva ogni Natale, sui marciapiedi, decorati con reti da pesca, ricci di mare, alghe e perfino cavallucci marini. All'interno guizzavano, in venti centimetri d'acqua di mare e costantemente annaffiati, pesci di tutti i colori, anguille, alici e ogni genere di pescato recente. La via, larga e breve, si prestava perfettamente all'esposizione e al passeggio dei corteggiatissimi acquirenti. I pescivendoli avevano installato i propri banchi, con un'alzata posteriore che li inclinava verso la strada per offrire la massima superficie alla vista; in ordine perfettamente simmetrico, su di essi erano state disposte le spaselle, basse ceste di giunchi intrecciati in cui brulicavano vongole e telline, cozze e aragoste dalle chele legate con lo spago e dalle antenne in perenne movimento, cefali boccheggianti e triglie di scoglio. I banchi erano illuminati dalle lampade all'acetilene, che mandavano una luce quasi abbagliante nel pomeriggio che si faceva sempre più buio. Attorno, le decorazioni faticosamente innalzate dalle mani delle donne quella stessa notte: fiori, alghe verdi, conchiglie, pietre colorate a rafforzare l'impressione del mare venuto in visita alla città per il Natale. E del mare era intenso il profumo, sia per la vegetazione che per la fauna presenti in gran misura; ma anche per l'acqua salata che veniva continuamente sparsa sulla merce per accentuare l'impressione di freschezza, e soprattutto per le facce brune che sembravano di cuoio dei pescatori cotti dal sole e conciati dal vento, con i pantaloni arrotolati sulle cosce muscolose e i cappelli a piramide flosci sulle spalle, portati all'indietro. Pronti ad aprire sorrisi invitanti sulle bocche sdentate, la giacca su una spalla e la bilancia in mano, la sfida negli occhi: provateci, se ci riuscite, a trovare merce migliore della mia. Il rumore era quasi insopportabile. Al brusio costante della folla immensa che si accalcava in cerca di occasioni, si aggiungevano i richiami di tutti i venditori. [...] Sul pesce, si sa, non era possibile anticiparsi nell'acquisto e nessuna tavola poteva farne a meno. Si giocava perciò in poche ore, e in quell'unico territorio, la disperata partita dei pescatori napoletani per il Natale. [...] E se il pesce è il principe delle tavole natalizie, il capitone ne è sicuramente il re. Questa grossa anguilla dalla mascella sporgente, grassa e viscida, in perenne movimento, portata a casa istupidita dal cartoccio in cui viene avvolta, si rianima appena la si getta in acqua per lavarla e ridiventa simile a un serpente, sotto gli occhi terrorizzati e affascinati dei bambini che assistono alla cruenta preparazione per non dimenticarla mai più. I pezzi tagliati, infatti, continuano a muoversi nel sangue come se fossero dotati di vita propria, come se l'animale fosse in grado di sconfiggere la stessa morte, fino a quando, impanati nella farina, approdano alla padella per diventare il piatto principale della cena di Natale, contornato dalle tipiche foglie d'alloro. A via Santa Brigida le vasche coi capitoni erano letteralmente prese d'assalto, man mano che il tempo passava e si avvicinava l'ora del ritorno a casa. Uno dei venditori più attivi, un bel ragazzo bruno dal sorriso accattivante e dalla voce profonda, attirava le donne prendendo in mano gruppi di capitoni e rimestando nel vascone che aveva davanti, urlando: - So' vive e so' muorte, capitune verace, 'e ccore d'o Diavulo! La frase simbolica, il richiamo alle code del Diavolo e alla vita e alla morte, attirò l'attenzione del commissario che si avvicinò separandosi, nella folla, da Maione, che osservava ancora i Boccia ai quali le vendite sembravano star andando bene. Quando Ricciardi fu vicino alla vasca dei capitoni, nel passaggio dalla bilancia al cartoccio un grosso animale ebbe uno scatto improvviso e volò in strada. [...] In pochi attimi si scatenò un putiferio: c'era chi urlava e chi rideva, qualche ragazzina scoppiò a piangere perché si trovò separata dai genitori, tutti cercavano di acchiappare il capitone che, viscido e contorto secondo la propria natura, riusciva a sfuggire da tutte le mani. Ricciardi guardava, a bocca aperta, unico a rimanere immobile nella confusione generale. Guardava l'anguilla, imprendibile, inafferrabile. La guardava scivolare tra le dita di tutti, fino a quando, con un tufffo in avanti, lo stesso pescivendolo che l'aveva fatta fuggire l'agguantò riconducendola al proprio destino. [...]

 


La ricetta
"Capitone" è il nome con il quale viene indicata, nelle regioni del sud Italia, la femmina adulta dell'anguilla europea quando raggiunge grandi dimensioni (lunghezza superiore ai 50 cm.). Nella cucina partenopea rappresenta il piatto tradizionale della cena di magro della vigilia e può essere gustato durante l'intero arco delle festività natalizie in numerose varianti, ciascuna ascrivibile alla propria tradizione familiare: fritto, in umido, al forno, alla brace o in carpione ("alla scapece"). Il rituale stabilisce che il capitone debba essere acquistato il 23 dicembre e mantenuto in vita fino al periodo immediatamente precedente all'utilizzo. Sin dall'antichità la sua similarità con il serpente, simbolo della forza demoniaca, ha conferito al suo consumo valore scaramantico: mangiare l'anguilla significa infatti soggiogare il male propiziandosi un nuovo anno felice e prospero: non a caso, nel presepe napoletano, è sempre presente la figura del pescivendolo che tiene tra le braccia una cesta ricolma di anguille.

Capitone fritto
Ingredienti (per 4 persone)
1,200 kg. di capitoni; farina q.b.; olio di oliva q.b.; sale q.b.; qualche foglia di alloro.
Preparazione

Pulite esternamente il capitone, quindi dopo aver eliminato la testa evisceratelo, senza spellarlo. Tagliate il pesce a tocchetti di circa 10 cm. di lunghezza e passateli sotto l'acqua per eliminare qualsivoglia residuo. Intanto in una padella, versate l'olio e fatelo scaldare alla giusta temperatura per la frittura. Passate i pezzetti di capitone nella farina e tuffateli nell'olio bollente rigirandoli spesso al fine di raggiungere un cottura ottimale anche internamente; quando saranno dorati, ponete i pezzi di capitone su della carta assorbente da cucina per eliminare l'eccesso di olio, salateli e cospargeteli con l'alloro spezzettato.

Fra le pagine del romanzo, De Giovanni inserisce un altro grande classico della tradizione gastronomica partenopea: "la minestra maritata", l'antica pietanza a base di carne, unita a verdure coltivate ed erbe spontanee, consumata anch'essa durante le festività natalizie, solitamente nel giorno di Santo Stefano.

[...] Ascoltando il suono degli zampognari che veniva dalla strada, Lucia Maione pensava alla vita.[...]
E adesso, che si avvicinava di nuovo il Natale, da lei ci si aspettava la migliore tavola del quartiere, per cui marito e figli erano sempre stati invidiati da tutti gli amici. Le mani sui fianchi, il grembiule umido, passò in rivista quello che c'era sul tavolo, recitando a bassa voce come una preghiera: i broccoli puliti, dalle larghe foglie verde scuro; i broccoletti, dalle foglie strette e lunghe; la cicoria; il cappuccio e le torzelle. Tutte le verdure erano presenti. Si fa presto a dire: la minestra maritata. E invece, nella sua semplicità, era una delle pietanze più difficili dell'anno; ma senza la minestra maritata, che Natale era? E allora, dopo le verdure, ecco le carni: un osso di prosciutto; le cotiche, il salame, le tracchiolelle, le pezzentelle, il maiale fresco. A un occhio inesperto tutti avanzi, ritagli di carne buoni per il cane di casa, e invece il segreto della minestra perfetta. E naturalmente il lardo, le salsicce fresche da sbriciolare, la testa di caciocavallo secco, imprescindibile. Poi il suo tocco speciale, un peperoncino forte e un bicchiere di vino rosso. [...]

La ricetta
Minestra maritata
Ingredienti
500 gr. di "Mascariello" (guanciale) fresco; 400 gr. di tracchie (costine) di maiale ; 1 osso di prosciutto, 150 gr. di guanciale magro salato, 100 gr. di lardo; qualche cotica; 3 salsicce fresche; 1 salamino; 1 mazzetto aromatico; verdure miste (500 gr. scarola, 500 gr. cicoria, mezzo cavolo cappuccio, broccoli, broccoletti, bietole selvatiche, borragine); croste di parmigiano; qualche pezzetto di caciocavallo secco; peperoncino rosso; sale q.b.
Preparazione

Lessate le carni, unendo il mazzetto aromatico ed il sale e schiumando di tanto in tanto. Terminata la cottura della carne, scolatela e tagliatela a pezzi, tendendola da parte. Nel frattempo mondate le verdure e fatele cuocere in acqua salata, scolandole a metà cottura. Una volta raffreddato sgrassate il brodo di carne, filtrandolo, e ponetelo nuovamente sul fuoco, unendovi quindi le verdure, le croste di parmigiano, il caciocavallo tagliato a dadini, l'aglio e il peperoncino. Completata la cottura delle verdure aggiungete le carni precedentemente messe da parte e tagliate a pezzetti e regolate di sale. Servite la minestra molto calda accompagnandola a piacere con dei crostini.
N.B. Una versione "più leggera" del piatto può essere ottenuta utilizzando carne mista (manzo, maiale, gallina); in realtà esistono numerose varianti della ricetta, con indicazioni delle quantità e scelta delle materie prime piuttosto "elastiche", in quanto la minestra viene realizzata tradizionalmente con i soli ingredienti a disposizione al momento in casa.

(I brani riportati in corsivo sono tratti da Maurizio De Giovanni, Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi, Torino, Einaudi, 2011).


PER SAPERNE DI PIU'

  • Isabella Quarantotti De Filippo, Si cucine cumme vogli'i'... La cucina povera di Eduardo De Filippo raccontata dalla moglie Isabella, Milano, G. Tommasi, 2001
  • Mario Stefanile, Breviario della cucina napoletana, Napoli, Colonnese, 2010
  • Edmondo Capecelatro, La cucina napoletana. La storia di una città attraverso la storia della sua cucina, Milano, Ponte alle Grazie, [2010]

 

 

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