Il percorso è conforme alla distanza secondo le misurazioni ufficiali: 26 miglia e 385 iarde, ossia 42 chilometri e 195 metri. E qui finisce la somiglianza con le maratone tradizionali. I maratoneti sono incoraggiati a vestirsi con un pizzico di fantasia, e più fantasia c’è meglio è. Per dar loro refrigerio durante le fatiche della gara ci sono venti points de dégustation distribuiti lungo il percorso, che offrono vini di qualità superiore. E’ piuttosto improbabile che i concorrenti che si fermano per una bevuta abbattano un qualche record mondiale, ma in una gara conviviale come questa la velocità conta molto meno del divertimento. Sarà una giornata piacevole per tutti, una giornata memorabile, perché i concorrenti partecipano a quello che costituisce il contributo più civile della Francia allo sport della corsa, e che si svolge in una delle campagne più civilizzate del mondo. Si tratta della Maratona di Médoc, che si corre attraverso i grandi vigneti di Bordeaux. Non mi è mai venuto in mente di associare la corsa al divertimento e ancora meno all’alcol […] Quando venni a sapere della Maratona di Médoc, la prospettiva d’incontrare un corridore d’una specie completamente diversa – un corridore con il gusto del travestimento e una simpatia spiccata per l’uva – mi sembrò troppo interessante per lasciarmela sfuggire. Finalmente si presentava l’occasione di colmare uno dei tanti vuoti della mia educazione sportiva. C’erano anche, devo confessarlo, un paio di ragioni altrettanto valide: non avevo mai visto i castelli della zona di Bordeaux, che a quanto pare sono tra le più eleganti dimore di campagna che siano mai state costruite. E poi c’erano gli incentivi liquidi: Lynch-Bages, Lafite Rothschild, Phelan Segur, Latour, Pontet-Canet, Beychevelle, Cos d’Estournel…[…] Su diciannovemila iscritti alla gara di quell’anno, ottomila si erano assicurati il posto di partenza. Di questi, seimila erano déguisés sotto un abbigliamento fantasioso, mentre il resto era composto da podisti seri, compreso il campione di Francia. Il concorrente più giovane aveva vent’anni, il più anziano settantacinque. Si prevedeva che alla manifestazione avrebbero assistito più di cinquantamila spettatori. La competizione agonistica era stata istituita sedici anni prima, e dei cinque fondatori tre erano medici. […] A parte i ventidue baracchini piazzati lungo il percorso, con vasta offerta di spuntini ad alto contenuto energetico, il podista affamato poteva scegliere tra quindicimila ostriche, quattrocento chili di bistecche e centosessanta chili di formaggio. Il tutto annaffiato dal vino adatto, naturalmente. […] Quando raggiungemmo Pauillac, la prima impressione fu che gli addetti al guardaroba si fossero mobilitati alla grande per un film di Fellini. La città brulicava di personaggi uno più strano dell’altro – uomini e donne in parrucche settecentesche, tutù di raso, abiti religiosi, divise da carcerato, parti del corpo finte, corna, catene, tatuaggi, gambe viola, nasi rossi, facce blu. C’erano persino un paio di persone in calzoncini corti e maglietta, vestite da podisti.[…] Allo scoccare delle nove e trenta i concorrenti partirono, in testa due giovani con l’aria serissima che erano schizzati via dal gruppo come due schegge, seguiti a breve distanza da un coniglietto “Playboy” in calze nere, parrucca nera e orecchie bianche. Mentre i tre scomparivano in lontananza gli altri ottomila incominciarono a farsi largo a spintoni, chi mandando saluti, chi cantando, chi gridando qualcosa agli amici. […] Guardando i podisti che salivano su per il viale del castello rimasi colpito dall’assenza totale di competitività. Più che vincere sul compagno, tendevano a incoraggiarsi vicendevolmente, fermandosi per fare compagnia a chi era rimasto indietro e restando in gruppo invece di correre isolati. Non si vedeva traccia alcuna della solitudine tipica del maratoneta. Non era quel tipo di gara. […] Un altro viaggio disorientante attraverso i vigneti ci condusse al Châteaux Lafite Rothschild, luogo d’origine di quella che ha fama di essere la bevanda più bella e aristocratica del mondo. L’ambientazione è altrettanto bella e aristocratica con il castello sulla sommità di una collinetta che domina un prato liscio e verde come un tavolo da biliardo, il parco, e un lago con una fontana nel mezzo, circondato da maestosi salici piangenti. […] A questa raffinata scenografia bucolica aggiungevano un tocco esotico alcuni concorrenti tra i più pittoreschi: i sette nani che trotterellavano (ma senza Biancaneve, che probabilmente era stata trattenuta a qualche banchetto di dégustation) seguiti a ruota da un bombo e da una sposa in abito lungo, occhiali da sole e un paio di baffi sontuosi. […] Le strade di terra battuta che tagliavano i vigneti brulicavano di un lunghissimo sciame di insetti colorati: i podisti, che si allungavano ormai per parecchi chilometri. […] Quella sera cenammo con due concorrenti, Pierre e Gérard. Il primo veniva da Lione, il secondo da Washington; entrambi avevano già partecipato a parecchie maratone, ed erano d’accordo nell’affermare che questa era diversa da tutte le altre. L’allegria generale, lo spirito cameratesco, il divertimento della gara, i costumi, il bel tempo, la bellezza del paesaggio, tutto aveva contribuito a fare di quella giornata un evento memorabile.
Gérard levò il bicchiere, pieno di Châteaux Lynch-Bages del 1985. “En plus”, disse, “le bevande sono particolarmente buone.”
Tratto da Peter Mayle, “Lezioni di francese: avventure con coltello, forchetta e flûte”, Garzanti, 2002.