"Quel Natale. Che era un Natale pessimo, di quelli con la neve e tutto, quasi il luogo comune stesso del Natale, col generale Inverno che invade ogni cosa. Natali che piacevano a mia zia per intenderci, quando occorreva mettere i guanti e il cappello coi paraorecchi. Quel Natale è stato così, non concorda? Ci sono dei Natali che non si sopportano tanto assomigliano alla retorica della festa." (Marcello Fois)
"Non c'è epoca dell'anno più gentile e buona", potremmo affermare a proposito delle festività natalizie, prendendo in prestito le parole di Italo Calvino, riportate nell'incipit della novella "I figli di Babbo Natale". Ma è veramente così, oppure dietro l'atmosfera ovattata e idilliaca della solennità cristiana, dietro lo scambio dei doni, tra i commensali dei pantagruelici simposi natalizi, si celano talora inconfessabili zone d'ombra, inquietudini, pulsioni e conflitti insanabili?...Contro il buonismo dilagante, legato per antonomasia alla ricorrenza più attesa, il Natale, dieci scrittori italiani si misurano con il lato oscuro della festa più scintillante dell'anno, cucinando per i propri lettori nove succulente suggestioni giallo-culinarie. Nella raccolta il cibo viene scandagliato nelle sue molteplici manifestazioni, attraverso la potente lente d'ingrandimento dell'invenzione narrativa, per cui a ciascuna composizione corrispondono un ingrediente od un piatto infarciti della fantasia e originalità proprie dello stilema di ciascun scrittore, in una scorribanda letteraria che percorre l'intero Bel Paese. Del resto l'utilizzo del binomio cibo-delitto nel giallo è una formula di successo consolidata, che vanta precedenti illustri; molti scrittori di polizieschi hanno infatti caratterizzato i loro personaggi attraverso le loro "inclinazioni alimentari": basterebbe pensare a Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle, Hercule Poirot di Agatha Christie, Nero Wolfe di Rex Stout, Maigret di Georges Simenon, passando per Pepe Carvalho di Manuel Vázquez Montalbán o il nostrano commissario Salvo Montalbano di Andrea Camilleri. Pagine e pagine di indagini, inframmezzate da molteplici e minuziose descrizioni di preparazioni culinarie, divenute spesso dei classici della letteratura gastronomica. Ma la novità, come afferma lo scrittore Luca Crovi, nell'interessante prefazione imbandita per la tavola di "Giallo panettone", è l'aver accostato al cibo e al delitto la ricorrenza della natività perché come afferma Joseph Commings in "Serenata per un assassino", "Di solito, il delitto e il Natale sono agli antipodi". E se è palese il fatto che alla solennità che celebra la nascita del Salvatore, vengano associate connotazioni positive di pace, fratellanza e rinascita, è d'uopo riconoscere che, le festività, "sembrano essere un periodo perfetto per ideare crimini e delitti". Reati architettati e messi in opera in special modo a tavola, nel momento della condivisione del cibo, nel luogo dove più di altri affiorano antichi rancori e malcelati scontenti: impossibile non riportare alla mente le immagini della celeberrima pellicola di Mario Monicelli "Parenti serpenti", dove a un gioioso cenone natalizio trascorso in perfetta armonia, fa seguito un pranzo di Natale, carico di astio e recriminazioni, da cui scaturirà la progettazione di uno scellerato disegno di morte. E nella golosa antologia "Giallo panettone", sedersi a tavola è parimenti pericoloso: nel primo racconto che apre la raccolta, Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli ci trasportano con la malia della loro scrittura, sull'Appennino, nel borgo di Casedisopra, per svelarci, attraverso la descrizione del vero e proprio rituale di lavorazione delle carni suine officiato dai norcini, alcuni degli antichi segreti legati alla macellazione del maiale. E al delizioso sapore dei fegadetti (fegato di maiale tagliato a pezzetti e avvolto nella sua rete, aromatizzato con alloro) e dei topi, (ricetta locale realizzata con l'impasto delle salsicce, avvolto nella carta gialla da macelleria e cotto sotto la cenere calda del camino) si mescola, in un amalgama letale, l'aconito di dannunziana memoria. Il titolo del racconto "Come sparti fiori", riecheggia infatti un celeberrimo verso dell'Alcyone-Undulna di Gabriele D'annunzio: «Azzurre son l'ombre sul mare/come sparti fiori d'acònito./Il lor tremolio fa tremare/l'Infinito al mio sguardo attonito». Nella narrazione il venefico arbusto (Aconitum napellus), dalle bellissime infiorescenze, conosciuto fin dai tempi antichi per la sua elevata tossicità, è cagione di morte per Bonacina, di professione norcino, vittima delle lotte intestine per il controllo del territorio da parte dei cacciatori di frodo e dei trifolini (cercatori di tartufi) o forse a detta di qualcuno, dei malefici di una stria (strega). Valeria Corciolani con "Il gatto, l'astice e il cammello" ci conduce invece nella cucina delle anziane sorelle Luigina ed Elvira. E' il 23 dicembre e come ogni anno le due donne "si disfano nella preparazione di un impeccabile, devastante, menosissimo pranzo di Natale". Così almeno lo definisce il nipote prediletto Stefano, ospite d'onore del "convivio da reparto geriatrico". Il ragazzo, svogliato e indolente, nonché accanito giocatore d'azzardo perennemente nei guai per debiti di gioco, medita di sbarazzarsi delle zie per incassarne la cospicua eredità. L'idea geniale è quella di sostituire il fruttosio adoperato dalle donne per dolcificare il caffè, con della digitalina, un farmaco di origine vegetale usato per curare disturbi cardiaci, un'insospettabile "polvere bianca insapore e, in discrete quantità, micidiale". Peccato che, alla fine della storia i ruoli si invertano, così come le intenzioni: naufragate miseramente dinnanzi ad un "Eldorado di latte fritto", croccante leccornia dal cuore giallo e dolce, "amorevolmente" cucinata da Luigina, mentre canticchia felice sulle note di We Wish You a Merry Christmas... "Per un cipolla di Tropea", indispensabile ingrediente costitutivo della caponata, ci avventuriamo con Alessandro Defilippi, nella Genova degli anni Cinquanta. L'intricata indagine inerente la misteriosa morte di alcuni tunisini, condotta dal colonnello dei Carabinieri Enrico Anglesio, in un appassionante gioco di rimandi e coincidenze, trova soluzione proprio grazie alla forsennata ricerca da parte dello stesso delle rare cipolle, setose e rosse come il vino, iniziata nel mercato della frutta della città marinara. E alla fine della storia il premio agognato è, naturalmente, una spettacolare caponata, dall'inconfondibile ed insolito "Odore di Sud". Con "Troppo buono" di Marcello Fois, assaporiamo un racconto seducente, squisitamente noir, che ci imprigiona nei meandri di un'ossessione - quella di un uomo per la professione di pasticcere e della sua indefessa ricerca della perfezione - perché la "pasticceria è pedante e la magnificenza di quest'attività consiste proprio nella necessità improcrastinabile di seguire le regole". E così uno strudel dalla pasta sfoglia e dal ripieno perfetti, finisce con il fagocitare i legami affettivi e la vita di un uomo, sprofondato nel baratro della menzogna, incapace di amare altri al di fuori di se stesso e della propria mania. E del resto, tutto può succedere sorseggiando una tazzina di fumante caffè, considerato nei secoli passati come la "la bevanda del diavolo", ingrediente chiave di ben due racconti dell'antologia: nel primo, "Atto di dolore", di Alfredo Colitto, lo stereotipo del Natale è stravolto e trasformato in una caccia all'uomo senza esclusione di colpi, condotta al caldo delle sconfinate piantagioni di caffè di Tapachula in Messico. Il testo racchiude al suo interno una minuziosa descrizione della ricetta del café de olla, una miscela straordinariamente profumata, arricchita e aromatizzata con cannella, chiodi di garofano e piloncillo (zucchero di canna). Mentre a seguire "L'odore nero del caffè" di Gianfranco Nerozzi, cela dietro il rituale di preparazione dell'odorosa bevanda, una storia di prevaricazione e catartica vendetta. Spostandoci nel bolognese, in "Sette ruole di lasagne" di Sandro Toni, assistiamo ad un gustoso ed avvincente match culinario, disputato tra gli specialisti nella confezione della mitica lasagna. E nella giuria, composta dai più prestigiosi esperti di cucina, figura anche l'ispettore capo di polizia Arrigo Carlo Loi, raffinato ed appassionato gourmet, chiamato ad individuare il miglior interprete ed esecutore della tradizionale preparazione, nonché l'autore del delitto compiuto per impossessarsi della "ricetta perfetta". Angela Capobianchi in "A pranzo con la zia" sposta l'azione in Abruzzo, nella casa di pietra di fronte al Gran Sasso, di proprietà della defunta Ersilia Goranti. Per disposizione testamentaria di quest'ultima, i sette nipoti per poter entrare in possesso della propria quota ereditaria annuale, devono obbligatoriamente prendere parte al pranzo di famiglia che si tiene ogni ventitré dicembre, per consumare la Zuppa di Natale, un ricco "minestrone" a base di verdure, legumi e carne frutto del contributo di tutti i partecipanti al convivio e di una precisa volontà del "de cuius" imposta allo scopo di mantenere viva nel tempo un'antica tradizione familiare. Ma nulla può contro l'ostilità e la cupidigia dei sette eredi e, in un vortice di accuse e recriminazioni, il brodame si tramuta in una vera e propria zuppa venefica, fatale e rovinosa come il lascito a cui si accompagna. L'antologia giallo-gastronomica si conclude con una singolare esposizione di ambientazione rinascimentale, di Marcello Simoni, intitolata "Il banchetto degli scacchi". Come nell'antico gioco di origine orientale che simula una battaglia campale fra due contendenti, lo scalco Malagise da Pietramarina, con un'abile tattica di offesa e difesa condotta attraverso fantasiose e prelibate preparazioni ("ripieno di cavallo", "pasticcio di torri, "pedoni di zucchero") - riproducenti i diversi pezzi degli scacchi mossi su di una personale scacchiera - vince lo scontro condotto contro il duca Alfonso d'Arcano che lo aveva ingiustamente accusato di tradimento. Ma dal pranzo della vigilia di Natale del 1496, nessuno uscirà indenne, in quanto l'abile stratega, non soltanto dà "scacco matto" al re, ma prima di dar seguito alla mossa risolutiva, sferra attacchi micidiali anche ai pezzi minori, sfruttando a proprio favore le debolezze di ciascun commensale al fine di incrinare il potenziale dell'avversario.
E dopo questo excursus dedicato a tutti i sapori del giallo, non resta che cimentarsi nella preparazione di un pranzo speciale, costruito attraverso i racconti e le ricette in essi racchiuse, un menù natalizio all'insegna della tradizione, per riscoprire i piatti classici della gastronomia italiana e perché no, il piacere di stare insieme a chi amiamo, in piena libertà e senza costrizioni di sorta. Buon appetito dunque, dalla tavola di "Giallo Panettone" e soprattutto, immancabilmente e senza retorica, Buon Natale!...
[...] Non sapeva ancora chi fossero i concorrenti in gara. Il comitato organizzatore li avrebbe resi noti alla giuria solamente sul posto, la sera stessa della prova. Se ci pensava, non trovava più di tre o quattro persone in grado di cucinare delle lasagne degne di questo nome. [...] In ogni caso nessuno di questi era paragonabile a Sandrone Forcellini, di Bologna. Sandrone gestiva da molti anni una trattoria in Cirenaica, un quartiere nato nei primi anni del secolo passato e così detto perché tutte le vie, allora, erano state intitolate alle città e località libiche oggetto delle brame espansioniste e colonialiste di chi credeva, povera anima, che l'Italia fosse come l'Inghilterra, o la Spagna, o la Francia. Sandrone aveva ereditato dal padre quella che allora, subito dopo la guerra, era solo un'osteria dove si beveva vino acido e si mangiavano uova sode. Lui aveva cominciato a fare un po' di cucina alla fine degli anni Sessanta, poche cose, ma buone. Poi, quando in tempi più recenti gli emiliano-romagnoli avevano imparato a fare il vino, Sandrone si era dotato di una robusta cantina e di qualche piatto insolito, scovato fra le ricette di una bisavola, morta di indigestione all'età di centotré anni, mentre rantolava chiedendo del bicarbonato con un toscano fra le labbra. Ma la vera fortuna di Sandrone furono le lasagne. Nessuno le faceva come lui. E nessuno ne conosceva la ricetta. L'ispettore Loi pensò alle lasagne di Sandrone. In molti fanno buone lasagne, parecchi le fanno ottime, alcuni meravigliose, un paio strepitose. Ma solo le lasagne di Sandrone sembrano discese dal cielo. Sono sempre cotte al punto giusto, e il primo strato di pasta è croccante e saporito come se venisse curato a parte. Ma non è questo, no, non è solo questo. Quando la sua lasagna entra in bocca è come se un angelo soffiasse su tutto il palato, sulla lingua, sulle guance, i sapori più delicati e il gusto più deciso, fusi in un'armonia concreta ma che sfugge alle definizioni e va dritta al cervello come una musica di Bach o una terzina di Dante. E' come se fosse la Rosa mistica del sapore, dove tutti i gusti sono individuabili ma solo in una realtà superiore che tutti quei gusti comprende e trascende. Si sentono gli spinaci della pasta, il ragù esaltato dal durello, la besciamella che si infila nel ragù e assieme riempiono la bocca, come quando uno dice la parola "bombolone". L'ispettore Loi credette di capire perché si dice che la cucina bolognese è una cucina per papi, o per re. Non è perché richiede tempo, e nemmeno perché è la più buona, ma perché porta nei suoi sapori il senso della storia: è l'Adriatico, più la corte bizantina, più lo sfarzo solenne della curia, più la battaglia di Fossalta, e re Enzo che fa poesie nella dorata prigionia, e Federico II che minaccia e strepita contro Bologna. E l'università, e il rosso dei mattoni, e il verde della pianura, e... [...]
(Tratto da Sette ruole di lasagne di Sandro Toni)
[...] Io sono di quelli che, per quanto riguarda la pasta sfoglia, stanno dalla parte di De La Varenne. Ditemi quello che vi pare: la ricerca di Carême, il suo approccio storico, l'aver avuto l'intuizione di sostituire l'olio con il burro, ma senza i sei giri di De La Varenne, la pasta sfoglia non sarebbe quel miracolo meraviglioso che è. Io la faccio a mano, niente da dire sulla pasta confezionata, ma io no...no proprio: io la faccio da me. Ingredienti rigorosamente freddi. Sono fatto così, sono bravo per questo, niente al caso: per la pasta sfoglia bisogna pianificare, agire con pazienza, considerare i tempi morti. Fuori e dentro dal frigo, e poi badare a tenere la forma rettangolare. E poi esercitare la giusta pressione... A volte mi viene in mente che tutto dovrebbe procedere con quella precisione, che tutto, tutto dovrebbe scaturire dal rispetto per le procedure. [...] Tutti pensano che la soddisfazione del pasticcere si limiti ai complimenti del cliente. No, non è così: la soddisfazione del pasticcere consiste nel sapere che tutto quello che ha fatto è frutto di perfezione, di previsione, di precisione. Questa coscienza lo fa grande, non certo le reazioni di palati grossolani. Fin da subito ho capito che quella era la mia strada. [...] Ad esempio il ripieno dello strudel si fa mentre la pasta riposa. Le mele si fanno a pezzi regolari perché solo in questo modo cuoceranno uniformemente. Bisogna scegliere frutti consistenti: renette, a buccia gialla o buccia giallo-rossa. Qualche volta mi azzardo a unire al tutto una, una sola, mela cotogna, ma è un frutto talmente raro che è difficilissima da trovare... Tagli regolari dunque. Vedete l'essenza meravigliosa di questo lavoro? Tutto ha un senso, non è capriccio. E' significato. Solo il pasticcere trascurato, quello che si è inventato lì per lì, ritiene secondari questi particolari. [...] «E come lo fa lo strudel?» Classico, dico io senza tentennamenti. Un chilo e mezzo di mele renette oppure mele a buccia gialla o giallo-rossa, ma io ne uso anche una cotogna; due cucchiai di rum; sessanta grammi di uva sultanina, centoventi grammi di zucchero; cento grammi di pangrattato, sessanta grammi di burro; un limone; due stecche di cannella, ridotte in polvere, sei cucchiai di marmellata di albicocche; zucchero a velo [...]
(Tratto da Troppo buono di Marcello Fois)
(I brani riportati in corsivo sono tratti da Capobianchi... [et al. ], Giallo panettone, Milano, Mondadori, 2012)
La ricetta: Lasagne alla bolognese
Ingredienti (Dose per 6 persone)
Per le lasagne: 400 g di farina bianca; 4 uova intere; 150 g di spinaci lessati; sale q.b.; 200 g di parmigiano reggiano grattugiato.
Per la salsa béchamel: 50 g di farina; 70 g di burro; tre quarti di litro di latte; un pizzico di noce moscata; Sale e pepe q.b.
Per il ragù: 1 cipolla; 1 carota; 1 costola di sedano; 50 g di pancetta; 50 g di burro; 200 g di carne di manzo macinata; 150 g di carne di maiale macinata; 100 g di durelli o fegatini di pollo; 1 chiodo di garofano; 30 g di triplo concentrato di pomodoro; 250 ml di brodo di carne; mezzo bicchiere di vino rosso secco; 1 bicchiere di latte; sale e pepe q.b.
Procedimento: Per il ragù ponete il burro in un tegame dai bordi alti e appena sciolto, fatevi rosolare cipolla, carota, sedano e pancetta tritati; una volta imbionditi aggiungete quindi le carni e il chiodo di garofano e lasciate cuocere a fuoco moderato; unite il vino, aggiustate di sale e pepe e continuate la cottura fino a quando il composto risulterà dorato scuro. Aggiungete a poco a poco il brodo di carne nel quale avrete sciolto il concentrato di pomodoro e fate cuocere il ragù a fuoco lento per circa un'ora, mescolando di tanto in tanto e aggiungendo dapprima il brodo e infine il latte. Nel frattempo preparate la sfoglia con la farina, le uova, il sale e gli spinaci lessati, strizzati e passati al setaccio. Tirate la pasta con il matterello e tagliatela a quadri di circa 15 cm di lato. Per la salsa béchamel, fate sciogliere il burro in una casseruola, unite la farina a pioggia e quando sarà imbiondita diluite il tutto con il latte precedentemente scaldato, aggiungendolo poco alla volta. Mescolate continuamente con un cucchiaio di legno per circa 20 minuti, fino a quando la salsa risulterà liscia e non troppo densa, quindi aggiungete sale, pepe e noce moscata. Fate quindi cuocere le lasagne al dente, in acqua leggermente salata; scolatele bene e sistematele su di un canovaccio steso sul tavolo di cucina. Ungete con il burro una pirofila rettangolare e foderatene il fondo con uno strato di lasagne, copritelo con un po' di ragù, di béchamel e parmigiano reggiano grattugiato. Continuate questi strati fino ad esaurimento degli ingredienti, terminando con gli ultimi elencati e aggiungendo dei fiocchetti di burro. Fate cuocere in forno caldo (180°) per 20-25 minuti, cioè fino a quando la superficie sarà leggermente gratinata.
La ricetta: strudel di mele
Ingredienti:
Per la sfoglia: 300 g di farina bianca; 1,5 dl di acqua tiepida; 20 g di olio; farina bianca q.b. (per infarinare il panno da cucina utilizzato per sigillare lo strudel); olio q.b. (per ungere la pasta); 1 pizzico di sale.
Per il ripieno: 1,5 kg di mele renette oppure mele a buccia gialla o giallo-rossa; 2 cucchiai di rum; 60 g di uva sultanina; 120 g di zucchero; 100 g di pangrattato; 60 g di burro; 1 limone; 2 stecche di cannella ridotte in polvere; 6 cucchiai di marmellata di albicocche; zucchero a velo.
Inoltre per spennellare lo strudel prima della cottura: 1 tuorlo d'uovo e burro q.b.
Procedimento: Setacciate la farina e disponetela a fontana su di una spianatoia. Formate un incavo nel centro del quale metterete l'olio e a poco a poco l'acqua tiepida e il sale. Amalgamate gli ingredienti lavorando energicamente l'impasto con le mani per circa venti minuti, fino a renderlo estremamente elastico. Formate una palla, ungetela con l'olio e dopo averla ricoperta con un tovagliolo fatela riposare in luogo tiepido per almeno un'ora. Nel frattempo, mettete a bagno l'uvetta in acqua calda; sbucciate le mele e, una volta private del torsolo, tagliatele a fette. Dopo averle collocate in una terrina, aggiungetevi 60 g di zucchero, il rum ed il succo di limone. Fate rosolare in una padella il pangrattato con il burro. Disponete sulla spianatoia un panno da cucina, infarinatelo leggermente e appoggiatevi la palla di pasta: spianatela con il matterello, quindi con le mani infarinate tiratela prendendola per i lembi per renderla sottile il più uniformemente possibile, cercando di conferirle al contempo una forma rettangolare. Cominciate a farcire lo strudel: dapprima spennellatene la superficie con il burro e pangrattato, disponete quindi le mele lasciando libero tutt'intorno un bordo di circa due centimetri, lo zucchero (60 g), la marmellata di albicocche, la cannella in polvere, la buccia di limone grattugiata e l'uvetta ben strizzata. Sollevando i lembi dell'asciugamano arrotolate lo strudel su se stesso, in modo da formare un rotolo da schiacciare alle due estremità per sigillarlo. Disponetelo quindi su di una placca imburrata; a piacere potete spennellarne la superficie con un tuorlo d'uovo sbattuto leggermente e con del burro sciolto. Fate cuocere in forno già caldo (180°) per 45-50 minuti. Servite lo strudel spolverizzato con zucchero a velo, dopo averlo fatto .
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... "Quando la sua lasagna entra in bocca è come se un angelo soffiasse su tutto il palato, sulla lingua, sulle guance, i sapori più delicati e il gusto più deciso, fusi in un'armonia concreta ma che sfugge alle definizioni e va dritta al cervello come una musica di Bach o una terzina di Dante. E' come se fosse la Rosa mistica del sapore , dove tutti i gusti sono individuabili ma solo in una realtà superiore che tutti quei gusti comprende e trascende"...
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- Strudel
... Mia zia, lei sì. Faceva le torte, a occhio: farina "un tot", uova quelle che c'erano, lievito vanigliato, burro a volte, e zucchero... La maggior parte delle volte finivano nella spazzatura. E mia zia diceva: "Non capisco". A me sembrava di capire invece. Che c'è una misura perfetta per tutto, ad esempio, e solo se si rispetta quella misura poi le cose avvengono, gli impasti vivono, le lievitazioni si esprimono, le cotture ravvivano e non uccidono. "Forse sbaglio con la farina" rifletteva mia zia, come se volesse dire: "In tutta la mia vita non ho fatto altro che sbagliare le dosi"...
- Latte fritto
- Caffè
- Vino: Montepulciano d'Abruzzo
Ricette a cura di: Capobianchi, Colitto, Corciolani, Defilippi, Fois, Guccini e Macchiavelli, Nerozzi, Simoni, Toni