Quando Elis era a pesca, del cibo mi occupavo io, sul caicco e a casa. Cucinavo secondo la tradizione turca, soprattutto keftédes, una specie di polpetta morbida e profumata, e dolmàdes, foglie di vite farcite. Piacevano molto anche a Mirò perché erano facili da mangiare: era una bambina pigra, le era faticoso persino masticare, evidentemente aveva preso anche questo da suo nonno.
A Selim invece piaceva l’imam bayildi, un piatto turco a base di melanzane, quelle lunghe, che si tagliano e si riempiono con un battuto di prezzemolo aglio cipolla e cannella, anche se io preferisco la variante con l’uva sultanina. Si preparano con il pomodoro fresco e l’olio, si chiudono in una maniera particolare e si mettono nel forno o sul fuoco.
Selim adorava mangiare, ma mai da solo, non avrebbe concepito di aprire una bottiglia di vino e farsi cucinare qualcosa da me senza amici, senza donne, senza Mirò. Per lui la sala da pranzo era come una camera da letto: luoghi per vivere intensamente, per amare, per godere dell’altro. Gabre mangiava invece con me in cucina, poco, sempre molto poco.
Selim era goloso anche di pesce, in particolare di ostriche. Le andavo a comprare con Gabre, che conosceva i pescatori migliori. Le seccavo al sole e le mettevo in barattoli di vetro scuro. Nelle serate d’inverno le facevo rinvenire nel vino e le cuocevo alla griglia, Selim le adorava.
Cucinavo così anche i polipi, quelli piccolini che si prendono tra gli scogli, li facevo seccare inchiodati su una tavola di legno per tutta l’estate. Questo era il cibo che mi ordinavano.
A casa di Anastasija si cucinava in modo diametralmente opposto, anche per la diversità delle loro radici: Anastasija amava cibi freddi e delicati come i pilmieni, ravioli di carne di origine siberiana che si mangiano con la panna acida, o il borsch, oppure le cotolette di pollo alla Kiev, che somigliano solo vagamente a quelle austriache; soprattutto i piroski, un piatto presente in molte regioni dell’Asia minore, vol-au-vent di pasta filo ripieni di formaggi particolari con menta o yogurt. La pasta filo è molto fragile, per cui tutto ciò che si fa con essa diviene lieve e vitreo, facile a disintegrarsi: nella cucina del vicino oriente c’è l’idea che le cose vadano trattate con leggerezza.
Una cucina fredda e sofisticata, nella casa borghese di Anastasija e di Cleo, esattamente come quelle donne.
Tratto da: Paolo Crepet, “Dannati e leggeri”, Einaudi, 2004