Qualche giorno dopo, scoprii chi era il nuovo inquilino del mio palazzo. La nuova inquilina.
Verso le nove e mezza di sera, ero appena tornato a casa dalla palestra e mi accingevo a scongelare due petti di pollo, farli ai ferri e a preparare un’insalata. Il campanello suonò. Passai qualche secondo a chiedermi cosa fosse stato. Poi feci mente locale al fatto che doveva trattarsi del campanello di casa e mentre andavo alla porta pensai che quella doveva essere la prima volta che qualcuno suonava, da quando abitavo lì. Mi venne una fitta di tristezza e poi aprii.
Finalmente trovava qualcuno in casa. Era la quarta volta che provava a bussare ma non c’era mai nessuno. Abitavo da solo vero? Lei era la nuova inquilina e stava al quinto piano. Si era presentata a tutti gli altri, che abitavano nel palazzo, io ero l’ultimo. Si chiamava Margherita. Margherita, e non riuscii a capire il cognome. […] Poi le chiesi goffamente se voleva entrare. No, grazie, era solo passata per presentarsi. Rientrava a casa proprio in quel momento dopo tutta la giornata fuori. Aveva un sacco di cose da fare dopo il trasloco. Quando fosse stato tutto a posto mi avrebbe invitato a prendere un the. […] In cucina i petti di pollo si erano scongelati, nel microonde. Io però non avevo più voglia di farli semplicemente ai ferri e così aprii un libro di ricette che tenevo in cucina senza averlo mai usato. Polpette di pollo saporite. Questo andava bene. Intendo il nome. Lessi la ricetta e fui contento di vedere che avevo gli ingredienti. Prima di cominciare aprii una bottiglia di Salice Salentino, lo assaggiai e poi cercai un cd da ascoltare mentre facevo da mangiare.
White ladder.
Feci partire il ritmo sincopato di Please Forgive Me e poi, quasi subito arrivò la voce di David Gray. Rimasi ad ascoltare vicino alle casse fino a quando non arrivò la parte della canzone che mi piaceva di più.
I won’t ever have to lie
I won’t ever have to say goodbye
Every time I look at you
Every time I look at you.
Allora tornai in cucina e mi misi al lavoro. Lessai il pollo e lo macinai, insieme ad un etto di prosciutto cotto che era nel frigo da qualche giorno. Poi misi tutto in una scodella con un uovo, parmigiano grattugiato, noce moscata, sale e pepe nero. Impastai, prima con un cucchiaio di legno e poi con le mani, dopo avere aggiunto del pane grattugiato. Formai delle polpette delle dimensioni di un uovo e le passai in un altro uovo che avevo sbattuto con il sale e un po’ di vino. Le rotolai nel pane grattugiato cui avevo aggiunto ancora un pizzico di noce moscata e le feci crepitare in olio di oliva, a fuoco moderato.
Avvolsi le polpette – che davano un odore buonissimo – nella carta assorbente e preparai un’insalata con l’aceto balsamico. Apparecchiai la tavola, con tovaglia, veri piatti, vere posate e prima di mettermi a mangiare andai a cambiare cd.
Simon and Garfunkel. The concert in Central Park. Pigiai sul tasto skip fino alla canzone numero 16. The boxer.
La ascoltai tutta in piedi, fino all’ultima strofa. La mia preferita.
In the clearing stands a boxer and a fighter by his trade
And he carries the remainders
of every glove that laid him down
or cut him, till he cried out
in his anger and his shame
I’m leaving, I’m leaving
But the fighter still remains
Just still remains.
Poi spensi lo stereo e andai a mangiare.
Le polpette erano buonissime. Anche l’insalata, e il vino era profumato e mandava riflessi nel bicchiere.
Non ero triste, quella sera.
Tratto da Gianrico Carofiglio, “Testimone inconsapevole”, Sellerio, 2002