In questo delizioso racconto autobiografico, la critica culinaria più famosa d’America, direttore della rivista Gourmet, si dimostra anche una scrittrice coinvolgente, oltre che un’esperta gastronoma: il testo, ispirato chiaramente ad episodi di vita vissuta è, infatti, ricco di vicende commoventi, colpi di scena, personaggi indimenticabili, cui si affiancano naturalmente numerose ricette.
Cibo tentatore
[…] Incominciai con le ricette che avevo imparato dalla signora Peavey e da Alice, ma finirono presto. Tutti i libri di cucina di mia madre avevano titoli del tipo Come preparare una cena in cinque minuti d’orologio, così iniziai a sfogliare riviste e a ritagliare ricette. Il fatto che una ricetta potesse essere troppo difficile non mi aveva mai fermata; non ero forse riuscita a fare un soufflé all’età di tredici anni? Io sentivo il ritmo della cucina ed ero assolutamente tranquilla. E fortunata. Se qualcuno si fosse preoccupato di come sarebbe finita, forse le cose sarebbero andate diversamente, ma tutto quello che facevo andava bene. Avevo un pubblico perfetto: per i miei genitori era tutto normale, per i miei amici era tutto speciale. Così provavo ricette che richiedevano quattro giorni di preparazione o avevano venticinque passaggi solo per divertirmi. E mi venne la pelle di amianto dei cuochi: mescolando le pietanze con le dita se non c’era un cucchiaio a portata di mano, a volte dimenticando le presine prima di togliere qualcosa dal forno. Imparai a ignorare le piccole scottature. E a improvvisare: la cucina di mia madre era piuttosto disattrezzata, così usavo una bottiglia di vino come matterello e sbattevo le uova con una frusta a mano che avrà avuto quarant’anni. […] Quell’anno scoprii il segreto di ogni cuoco esperto: i dessert, un trucco facile facile. Piacciono sempre, anche quando vengono male. E così mi specializzai in torte, grata all’alchimia che è in grado di trasformare farina, acqua, cioccolato e burro nella torta del diavolo e di farla poi sparire in un baleno. Sembrava piacere soprattutto ai ragazzi…
La torta del diavolo
per l’impasto
1 quarto di litro di latte
120 g di cacao
60 g di zucchero bianco
80 g di burro
160 g di zucchero scuro
3 uova
5 cucchiai di panna acida
1 cucchiaino di essenza liquida di vaniglia
230 g di farina per dolci passata al setaccio
1 cucchiaino e mezzo di bicarbonato
mezzo cucchiaino di sale
Accendete il forno a 180°. Fate scaldare il latte in un pentolino finché sui bordi non iniziano ad apparire le prime bollicine. Toglietelo dal fuoco. Mescolate il cacao e lo zucchero bianco in una scodella e amalgamatevi lentamente il latte caldo. Lasciate raffreddare. Mescolando energicamente incorporate al burro lo zucchero scuro, poi le uova, la panna acida, l’essenza di vaniglia e infine il latte al cacao. Mescolate assieme gli altri tre ingredienti e incorporateli delicatamente al composto. Versatelo in due teglie con diametro di 22 cm circa ben imburrate, spolverizzate con farine e cuocete in forno per 25-30 minuti, finché le torte non si ritireranno leggermente dal bordo delle teglie e premendole delicatamente al centro con un dito le sentirete elastiche. Fatele raffreddare su una griglia per qualche minuto, quindi rovesciatele dalle teglie sulla griglia. Prima di glassarle, aspettate che si siano completamente raffreddate.
Glassa dei sette minuti
per la glassa
4 albumi
300 g di zucchero
1 cucchiaino di cremortartaro
5 cucchiai d’acqua
un pizzichino di sale
1 cucchiaino di essenza liquida di vaniglia
Mescolate albumi, zucchero, acqua, cremortartaro e sale in un pentolino, posatelo in una pentola più grande in cui stia sobbollendo un po’ d’acqua, e sbattete per 5 minuti con uno sbattitore elettrico, finché il composto non sarà montato, ma non troppo duro. Togliete dal fuoco e, sempre continuando a sbattere, aggiungete la vaniglia. Smettete di sbattere solo quando la glassa sarà abbastanza densa da poter essere spalmata. Quindi versatene una parte sulla prima torta e stendetela immediatamente. Poi sovrapponetevi in fretta la seconda torta e spalmate anche la superficie di questa e i bordi. La glassa vi sembrerà tantissima, ma utilizzatela tutta. E’ la quantità giusta per farcire e rivestire il dolce.
(Tratto da Ruth Reichl, La parte più tenera, Milano, Ponte alle Grazie, 2002)