Maddalena, che aveva per solito l’aria abbattuta di chi lavora troppo e di chi è costretto a lottare continuamente colle esigenze della vita, in quel giorno mostravasi animata e s’indovinava a prima giunta che la buona donna era felice.
Difatto Ginevra, la sua unica e adorata figliuola, era stata ammessa come alunna nella scuola normale, donde sarebbe uscita maestra dopo tre anni.
Maddalena non pensava punto alla lunghezza di quei tre anni, agl’incidenti che potevano sopraggiungere ad impedire o ritardare il compimento de’suoi voti; non si preoccupava dei sacrifizi che lei ed il marito avrebbero dovuto imporsi per sopperire alle spese di libri, di tasse e di vestiti.
Le pareva già di formare l’invidia e l’ammirazione di tutte le mamme del vicinato, le pareva che Ginevra esercitasse già la sua professione, guadagnando il necessario a mantener sé e la famiglia, senza essere costretta ad economizzare fino il centesimo […]
I tre anni passarono regolari e monotoni senza che nessun avvenimento straordinario venisse a turbare l’andamento della famiglia Gabrielli […]
La nomina giunse una domenica […]. Ginevra era nominata maestra in un paesello a poche miglia da Frascati collo stipendio di 600 lire annue e coll’ingiunzione di trovarsi al posto nel termine di pochi giorni […]
All’indomani si levarono di buon’ora, quantunque il treno che doveva portare Ginevra sino a Frascati partisse solo alle dieci […]
Alla stazione gli addii furono brevi, affrettati, quasi freddi in apparenza, poiché tutti sentivano il bisogno di finirla, in quella guisa che il condannato sollecita col desiderio il momento del supplizio per abbreviare gli strazi dell’agonia […]
Il sole che entrava pel finestrino, scaldandole i piedi e le ginocchia, le sembrava di buonaugurio ed ella fu presa ad un tratto dal desiderio di fantasticare come quando a 15 anni frequentava il primo corso normale e passava talora tutto il tempo della ricreazione sola nella classe, colla fronte appoggiata ai vetri dell’ampio finestrone, architettando colla pazza testolina tanti castelli folgoreggianti, tante cose belle, ridenti e luminose come racconti di fate.
Tornava ottimista e le utopie già vagheggiate riprendevano per poco parvenza di realtà. Dimenticava le umiliazioni subite, i disinganni sofferti; pensava che avrebbe potuto farsi amare da’ suoi piccoli alunni, farsi apprezzare dai superiori, e che in poco d’ora avrebbe trovato lodi, incoraggiamenti ed accoglienze festose dov’era stata per lo innanzi ricevuta con sussiego e freddezza […].
Fu richiamata alla realtà da una voce rauca e cadenzata che annunziava l’arrivo del treno a Frascati. Dopo aver preso a stento con una mano la pesante valigia Ginevra scese dal vagone e si avviò verso l’uscita, volgendosi ad un impiegato per sapere dove trovavasi la diligenza che doveva condurla nel piccolo paesello a lei destinato…
Tratto da Clarice Tartufari, “Maestra”, Roma, Avagliano, 2006