Dalla fine degli anni Cinquanta fino a tutto il 1970 il settembre a Grottaferrata si anima di iniziative, di profumi e di colori. A via Domenichino, così come a via XX Settembre, a via del Corso e a via Gregorio di Tuscolo, le antiche fraschette tirano fuori le botti per farle stagnare, dopo averle rinfrescate con l’acqua della fontana dei cavalli. Per vedere se il legno regge il carico le botti si sistemano al contrario e si riempiono quasi all’orlo. L’operazione sembra delicatissima perché una piccola perdita può essere fatale e buttare all’aria i sacrifici di un anno intero. I maestri d’ascia rattoppano per tutto il giorno solare con martelli e pialle. Nell’aria i lenti rintocchi coprono le urla e le risate. Concede una tregua solo la campana dell’Abbazia, quasi a voler ricordare, da lontano, il richiamo del sacro. Qualche contadino ne approfitta: si asciuga il sudore con il fazzoletto dai colori rosso sgargianti e si fa il segno della croce. Il vecchio borgo riscopre, in questo modo, il volto antico e a nulla vale la tentazione del modernismo che si sviluppa da via del Corso in parallelo. La vendemmia che si approssima è riverita come un’antica divinità pagana. Tutto il paese si consuma nell’attesa, mettendo in mostra un patrimonio di riti e di esibizioni, mutuato dalla sacralità popolare. Le antiche credenze si mescolano alle preoccupazioni moderne, ma per la gente che vive d’agricoltura non resta da fare altro che affidarsi al mistero. Per i vignaioli sono giornate di duro lavoro. Prima si sono recati al mare a raccogliere la cortica, un’erba particolare che serve a tappare ermeticamente il fondo. Successivamente hanno lavorato di buzzo buono per consolidare i contenitori di castagno da cui ricavano la maggior parte del reddito annuale. La stagnazione è sempre stata un’operazione difficile e particolare ed abbisogna di mani esperte che accarezzano il legno e lo rendono duro come il cemento, senza farlo soffrire. La buona riuscita della vendemmia dipende dalla qualità dell’uva, ma anche le botti devono fare la loro parte. Le osterie con cucina di Meloni, Chiacchierini, Centioni Gustavo, Alcide e Gambaletto con le botti hanno occupato tutta le sede stradale. E sulla via Domenichino si girano scene di vita vissute con le matrone vigili che danno un occhio ai mariti ed un altro alla cantina, mentre i ragazzi schiamazzano, tirando qualche calcio ad un pallone. Per un momento l’animazione si contiene quando per il corso passano i giocatori della Lazio e della Roma, in ritiro presso l’Hotel Traiano. I ragazzini fanno festa ed i divi del pallone, abbronzati e scolpiti come divinità greche, lanciano qualche saluto e poi continuano a parlare. Qualcuno come Giovanni Trapattoni, mitico mister della nazionale, proprio in questa atmosfera del settembre grottaferratese trova l’ispirazione per fidanzarsi e sposarsi. E poi per tutta la vita non si è mai rammaricato ascoltando la celebre strofa sapessi come è strano sentirsi innamorati a Milano. Un poco più lontano al ristorante La Tranquillità, della famiglia Tidei, vicino agli stabilimenti della Scalea film, Renato Rascel tra odori di battuto, fettuccine ai funghi porcini e abbacchio alla scottadito scrive Arrivederci Roma, una canzone malinconica e struggente. All’ora di merenda, comunque, tutto il paese si inebria di profumi e di sapori oleosi. La trippa con mentuccia, le merende con la lonza di zibello, provolone Auricchio, olive e romanelle la fanno da padrone. Nelle osterie con cucina di Grottaferrata si sono alimentati migliaia di commercianti, turisti fuori porta e la popolazione locale. Anche gli artisti, all’epoca del massimo sviluppo di Cinecittà cominciano ad affollare le cantine che giocoforza devono aggiornarsi per rispondere alla richiesta pressante. Un poco per volta le matriciane, gli spaghetti cacio e pepe e le carbonare fanno fare il salto di qualità e comincia, così, l’era dei ristoranti che ha portato Grottaferrata ad avere una delle più alte percentuali di locali in rapporto alla popolazione […]
Fettuccine alla Squarciarella (ricetta in via di estinzione)
Ingredienti:
cinquecento grammi di farina, duecento grammi di fegatini di pollo, ovetti e creste di gallina, venti grammi di funghi secchi, un cucchiaio di strutto abbondante, mezza cipolla, sugo o brodo di carne (un mestolo), ottanta grammi di parmigiano grattugiato e cento grammi di burro.
Preparazione:
con la farina, le uova ed un pizzico di sale si preparano le fettuccine. In un tegame si fa soffriggere lo strutto e la cipolla tritata a cui si aggiungono gli ovetti e le creste di galline tagliate a pezzetti. Dopo aver aggiunto il sale si fa cuocere per qualche minuto. Si uniscono successivamente i fegatini tagliuzzati ed i funghi (ammorbiditi in acqua tiepida e strizzati) e si bagna con il sugo o il brodo di carne (preparato con puro estratto diluito) e si fa cuocere per un po’. Si lessano, poi, le fettuccine che vanno condite con fiocchetti di burro, il parmigiano grattugiato e la salsa.
Tratto da Luigi Jovino, “Pastelli romani: racconto sulla gastronomia locale: la mappa nascosta dei Castelli”, Frascati : Castelli in arte, 2005